Leonard Cohen
album
in pagina
- Songs
Of Leonard Cohen
- Songs
Of Love And Hate
- New
Skin For The Old Cerimony
collabora in:
- Fill Your Head With Rock
(AAVV)
Dare un abito in musica ad una
poesia è un'operazione che comporta dei rischi. Il
pericolo è di generare una creatura abnorme, in cui
l'autore non riesca a riconoscersi, nè come poeta, nè
come musicista.
Il nome di Leonard Cohen si sarebbe probabilmente spinto
poco più in là degli appassionati di letteratura off se
qualcosa, un desiderio di successo in moneta sonante o
una banale intuizione non lo avesse convinto ad afferrare
a mani nude la poesia, ma con l'aiuto della musica
sapendo di poter fare più tagliente la parola spoglia
con la metrica di una ballata, alla maniera di Dylan.
Nel '67, l'anno dei suoi primi e abbaglianti successi
come cantautore, Cohen è un poeta trentenne, un ex
bambino prodigio come se ne sprecano tanti, che
percepisce i non vasti confini della sua notorietà di
letterato e intende servirsi della sua tenica musicale
come di un grimardello per forzare le sbarre. Se ne
accorge Judy Collins, che lo convince a presentarsi su di
un palcoscenico, se ne accorgono le migliaia di
spettatori che hanno il privilegio di ascoltare i suoi
primi concerti, se ne accorgono i discografici, che gli
spalancano le porte delle sale d'incisione. Nel dicembre
di quell'anno è pronto il primo album che uscirà nel
gennaio seguente per la CBS, col semplice titolo di Songs Of Leonard Cohen.
Il disco è ben promosso, vende oltre ogni rosea
aspettativa, procura fama e quattrini. Quel che più
conta, è una stupenda opera prima. La sua fortuna è
legata a Suzanne, una canzone d'amore tinta di una
anticonvenzionalità mistica e dolce, di un'avvolgente
sensualità intelettuale, raccontata con un'appagante
novità di linguaggio.
Saper trattare l'amore sfuggendo ogni forma di banalità
è una delle costanti più significative di Cohen, ma
andrebbero citati anche gli altri nove titoli che
compongono senza sbavature il suo primo affresco
musicale. The
Stranger Song,
Sister Of
Mercy, So Long Marianne
vanno ascoltate,
anche per capire che cosa le leghi all'esperienza
dylaniana e cosa invece da quella le allontani. La
critica scopre come una canzone possa sgorgare da un
testo senza bisogno di pagare alcun tributo a quel
"folk" tanto spesso chiamato in causa al solo
apparire di una chitarra acustica. Da quei solchi, da
quelle canzoni si sprigionano una gente e una cultura
cosmopolita, propria di chi ha tanto visto, tanto
ascoltato, tanto saputo.
La crudezza di questo ebreo di Montreal non è ben
temperata, codificata o riciclata, forse per questo
conquista anche i grandi raduni di una generazione
"inquieta", come quello dell'isola di Wight.
Due anni devono passare prima che veda la luce il secondo
album, Song
From A Room,
tradotto a casaccio dai discografici nostrani con
"viaggio in una stanza".
Intanto c'è la diversa situazione umana portata dai
guadagni di soldi e di gloria, e il senso di isolamento
derivato dal gestire gli uni e l'altra. Poi c'è il
ritiro lungo sei mesi in una camera d'albergo, un
"fortissimamente volli" per tornare a comporre.
Si obietterà che l'ispirazione a comando non è
ortodossa, d'accordo, ma ascoltate il risultato e
giudicate voi se questo costringersi a scrivere non sia
piuttosto una boutade provocatoria.
L'ispirazione c'è (se parlarne ha un senso), unitamente
alla voglia di superare il dualismo, classico fino allo
stereotipo, voce-chitarra, con una strumentazione più
agguerrita, più varietà musicale, e un po' di
elettricità ad insaporire l'effetto.
Bird On The
Wire, Nancy, The
Partisan, The Story Of Isaac sono alcune fra le canzoni più
belle di tutta la produzione coheniana; i temi sono
diversi eppure legati insieme dal filo rosso della
solitudine, dall'ostentata indifferenza (che nascondo il
bruciante sforzo di resistere al dolore) di chi guarda il
dramma degli altri dalla finestra di una stanza.
Ciò che più coinvolge è quell'imbarazzo di vivere, la
rinuncia ai pudori ipocriti, il coraggio di ricoltare
l'anima come un guanto, fino a mettere a nudo una
scandalosa intimità.
Il terzo capitolo esce nel '71, si chiama Songs Of Love And Hate, ed è più scarno tanto nel numero
delle canzoni (otto), quanto in quello dei collaboratori.
Il parto è travagliato, l'uscita del disco è ritardata
perchè Cohen all'ultimo momento decide di far
riarrangiare le canzoni da Paul Buckmaster, con
comprensibile disperazione dei discografici CBS.
Le "canzoni d'amore e di odio", discretamente
omogenee dal punto di vista musicale, accentuano nei
testi la tendenza ad evocare immagini e simboli,
piuttosto che storie concrete, con un ermetismo che
rasenta l'incomprensibilità. Stupenda Let's Sing Another Song, Boy, registrata dal vivo al festival di
Wight, densa di un'amarezza sconvolgente: quando Cohen
intona il coro finale, salendo e scendendo di un'ottava
per le scale dell'inconscio si ha la sensazione di
sporgersi su di un pozzo senza fondo, messi faccia a
faccia con una confessione che ci riguarda tutti; Famous Blue Raincoat, altro pezzo forte del disco, è
d'amore e di odio insieme, scritta in forma di lettera
aperta come già certi passi del romanzo "Beautiful
losers", e dipinge una terribile New York notturna,
dove tutto sembra freddo e possibile. In Joan Of Arc si celebra
l'eroina destinata ad essere sposa del suo rogo, con la
stessa ineluttabilità con cui la protagonista femminile
di "Beautiful losers" muore schiacciata da un
ascensore, nel sudicio squallore quotidiano reso
soprannaturale da un destino liberatorio. Dal punto di
vista tecnico è riproposto il gioco delle due voci sovrincise, così che la prima e l'ultima strofa suonano
parlate e cantate nel medesimo tempo. Invece nella
grottesca Diamonds
In The Mine
Cohen ruggisce frasi moleste, intrise di tristezza
schizofrenica, con un disgusto da osteria; e per ruvido
contrasto il ritornello è sostenuto da un bel oliato
coro di voci femminili. Se Charles Bukowski scrivesse
canzoni, probabilmente le farebbe così.
Il passo successivo (1973) è Live Songs, raccolta di registrazioni dal vivo
in tempi e luoghi diversi, che danno un'immagine
frammentaria dell'artista da palcoscenico, regalandoci
quanto meno un'idea dell'iperrealismo espressionistico
usato sulla scena nella lunga Please, Don't Pass Me By, che è insieme un dialogo e una
preghiera pagana.
La musica cambia con New
Skin For The Old Cerimony (1974), un album ricco di
arrangiamenti ricercati, dove la melodia diventa docile,
in alcuni episodi persino commerciale e pronta ad
introdurre, se del caso, una levigata ironia (Field Commander Cohen, Why
Don't You Try).
Ancora c'è l'amore e il sesso inteso come l'antica
cerimonia, da dissacrare in una stanza d'albergo (Chelsea Hotel) e ci sono addii privi delle
astrazioni concettuali care a Dylan ma smisuratamente
penosi, come in Leaving
Greensleeves,
una delle perle del disco. Nulla farebbe presagire il
tonfo dell'album successivo.
Death Of A
Ladies' Man (1977)
è una delusione cocente dopo il lungo silenzio, ma la
responsabilità grava in gran parte su Phil Spector, che
firma musiche e arrangiamenti trascinando Cohen in un
naufragio di banalità da turista americano. E pensare
che dentro c'è persino Dylan!
Qualcosa, qua e là, si salva, ma non vale neanche la
pena di separare il men peggio dal peggiore. Tant'è.
Cohen dirà poi di aver affidato al produttore i suoi
nastri e di essersi disinteressato a tutto il successivo
lavoro di realizzazione. Pallide attenuanti.
Passano altri due anni, e le Recent Songs
sanno di
resurrezione.
Con le "canzoni recenti", Lenny Cohen non va
molto fuori strada rispetto al suo passato più
rispettabile. Si può fare riferimento a New Skin For The Old Cerimony per qualche arrangiamento ricercato
ma non opulento, con in più una nuova passione per il
violino, che caratterizza molte delle dieci canzoni
presenti. Perde sempre più dimensione il paragone con
Dylan, l'altro volto della cultura musicaletteraria
giovanile, mentre affiora sempre più certa somiglianza
con altre personalità di "Beatiful losers"
(valga per tutti il nome di Jacques Breil), con le quali
tuttavia sopravvivono differenze stilistiche abissali.
Resta la capacità di trattare il dolore, l'odio, la
vita, il sesso e l'amore in modo tenero o caustico,
disperato o rassegnato, lucido o intossicato e delirante.
Ma c'è anche l'irrealismo che non fatica a diventare
sognante, di certe situazioni; così nella conclusiva Ballad Of The Absent Mare, che ha la ritmica ripetitiva tipica
delle ballate coheniane, fantasia e realtà si mischiano
sospese a metà tra cielo e terra, fra le immagini che
abbiamo ad ogni passo e il richiamo brusco del presente.
E in questa dimensione di letterato con pentagramma, in
questo isolamento che è una condanna prima ancora che
una scelta, Leonard Cohen sa essere grande, per davvero.
Claudio
Buja da
Buscadero
n° 13 gennaio/febbraio 1982
|
- Songs Of Leonard Cohen
(1967) CBS s 63241 - vinile
1. Suzanne 3.47 - 2. Master Song 5.58 - 3. Winter Lady 2.14 - 4. The Stranger Song 5.05 - 5. Sisters Of Mercy 3.30 - 6. So Long, Marianne 5.37 - 7. Hey, That's No Way Say
Goodbye 3.05
- 8. Stories
Of The Street 4.35
- 9.
Teachers 2.58
- 10. One
Of Us Cannot Be Wrong 4.25
Leonard Cohen solo
Produced by John Simon
(...)Le
cose che Leonard ascoltava, nei primi '60, erano Pete
Seeger, Leadbelly e country & western. Con due amici
aveva anche messo insieme un trio acustico, ma
l'idea-base era quella di "rimorchiare", come
avrebbe confessato in seguito. Facile rendersi conto che
il suo passato musicale verrà a galla convenientemente
rimodellato, adattato ad un rigore lirico non comune. Nel
suo primo 'Lp del gennaio 1968 Songs Of
Leonard Cohen, egli non è che uno
scrittore faccia a faccia con le proprie canzoni,
ritratti di amicizie e conoscenze, descrizioni spinte
oltre la soglia dell'intimo.
Songs Of Leonard Cohen,
prodotto da John Simon e registrato nella più totale
estraneità con musicisti di sala d'incisione, è ricco
di immagini esplosive.
Come nell'album di una sua amica, quella Joni Mitchell
che esordisce un anno prima con storie metropolitane
filtrate attraverso la sua particolarissima
predisposizione per l'onirico. In Songs
Of Leonard Cohen il poeta canadese si
prende gioco della disponibilità del pubblico per
regalargli Suzanne, The
Stranger Song, Master
Song, esercizi poetici tra i più
ardimentosi e nuovi per il voluttuario pezzo di plastica
nera col buco in mezzo. Teachers
è una storia di clinica neurologica in prima persona. Stories
Of The Street un ritratto di montante
decadenza pre-bellica, Suzanne
la canzone più conosciuta.
Immagini in cui il "Visionario" si piega e
aderisce alla realtà per evidenziarne i tratti oscuti,
fuori fuoco (l'orario dei treni di The
Stranger Song, il pastore tedesco di Master
Song, l'impianto narrativo dell'intero
disco - a Cohen non interessa il simbolismo intricato del
Dylan di John Wesley Harding
più di quanto non lo attragga il descrivere un simbolo
qualsiasi. Dove Dylan è parabola, evocazione di una
realtà immanente a quella descritta. Cohen è in questo
disco un fotografo di realtà differenti e tutte
egualmente importanti, caricabili di signigicati, di
flussi di coscienza perfettamente tenuti a freno).
L'importanza di Songs Of Leonard Cohen è la sua assoluta
unicità, il rigore formale delle liriche,
l'inconsuetudine degli accostamenti armonici. Qualcosa du
nuovo, che però vende abbastanza copie per far sì che
Cohen partecipi all'Ed Sullivan Show e a Camera Three.
Siamo nel 1968. (...)
Leonardo
Rossi
da Mucchio Selvaggio n° 65 maggio 1983
- Songs Of Love And Hate
(1971) CBS s 64090 - vinile
1. Avalance - 2. Last Year's
Man - 3. Dress Rehearsal Rag - 4. Diamonds In The Mine -
5. Love Calls You, By Your Name - 6. Famous Blue Raincoat
- 7. Sing Another Song, Boys - 8. Joan Of Arc
Leonard Cohen solo
Produced by Bob Johnson
Songs
Of Love And Hate ha una copertina nero lucida
sul cui retro sono impresse alcune frasi da una piccola
raccolta di poesie che verrà pubblicata seguente, The
Energy Of Slaves. Canzoni o poesie che dir si voglia, Songs
Of Love And Hate è un'operazione di
mascheramento, di proiezioni verso microcosmi non
personali, un campionario di altrui problematiche anche
poco coinvolgenti e molto distanti. Le canzoni sono di
pietà e di disprezzo. Le prime - Last
Year's Man, Famous
Blue Raincoat la dicono lunga sul
talento dell'artista, consolano l'ascoltatore dove le
altre lo feriscono (Avalance,
Dress Rehearsal Rag, Diamond
In The Mine). Disprezzo anche per il
protagonista di Love Calls You, By Your
Name dove in un montaggio di situazioni
e oggetti a cui l'autore impone un andamento quasi
filmico, l'importanza della rivelazione non serve a
cancellare il passato, il rimpianto. Ma è tutto un
gioco, un'opera falsamente chiara all'interno della
discografia coheniana, un divertimento tra ironia e
tragedia dove il carattere più evidente è la ricerca
della gloria. In questo Songs Of Love
And Hate recupera le tematiche di Beautiful
Losers; la domanda finale è
"qual'è il prezzo di tutto questo?". L'amore
è crudele quasi quanto la luce. Vale la pena rischiare?
Leonardo
Rossi
da Mucchio Selvaggio n° 64 maggio 1983
- New Skin For The Old Cerimony
(1974) CBS 69092 - vinile
1. Is This What You Wanted 4.12 - 2. Chelsea Hotel # 2 3.04 - 3. Lover Lover Lover 3.18 - 4. Field Commander Cohen 4.04 - 5. Why Don't You Try 3.50 - 6. This Is A War 2.58 - 7. A Singer Must Die 3.16 - 8. I Tried To Leave You 2.36 - 9. Who By Fire 2.32 - 10. Thake This Longing 4.04 - 11. Leaving Green Sleeves 2.39
Musicians:
Leonard Cohen, Emily Bindiger, Erin Dickins, Gerald
Chamberlain, Lewis Furey, Ralph Gibson, Armen Halburian,
Jeff Layton, Barry Lazarowits, John Lissauer, Roy
Markowitz, John Miller, Don Payne
Produced by Leonard Cohen
Recorded at Sound Ideas, New York
Engineering by Rock Rowe and Frank Laico
Cover design by Teresa Alfieri
(...) Lo
spirito che domina le composizioni di New
Skin For The Old Cerimony non è quello
di sempre, il modo di porgere la musica è diverso; come
il produttore, che non è più Bob Johnston ma l'amico e
musicista John Lissaeur.
L'album disorienta e stupisce a sufficienza. Forse è
"molto bello", forse no. I giochi ritmici che
vi si rincorrono, gli arrangiamenti particolarissimi
riescono solo parzialmente a catturare attenzione;
l'importante è un Cohen dalla faccia cambiata, ironico e
provocatorio tra idee che si ripetono - Lover
Lover Lover e There Is
A War - e schemi consueti mescolati a
episodi di più nuova concezione. Un passato da non
dimenticare, quello di qualche anno prima, delle solite
amicizie raccontate come se ci fosse da fidarsi di ogni
acquirente di dischi, ce lo ritroviamo in Chelsea
Girl n° 2.
L'amante di Lover Lover Lover
è Dio in persona, in una suggestione di carattere
religioso e politico dove la colpevolizzazione del popolo
palestinese è zavorra fastidiosa, da non prendere alla
lettera. Nonostante la carica provocatoria dell'opera, New
Skin For The Old Cerimony mi sembra
l'album di Cohen che meno confince e meno affascina. Tra
la molta autoindulgenza salverei ancora un vecchio brano,
Take This Longing: quando Cohen parla d'amore è
veramente insuperabile. (...)
Leonardo
Rossi
da Mucchio Selvaggio n° 64 maggio 1983
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