Meredith Monk



album in pagina:

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Dolmen Music
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Turtle Dreams
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Songs From The Hill/Tablet
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Book Of Days
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Do You Be
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Key



Meredith Monk, cresciuta in una famiglia di cantanti e musicisti, si formò a New York durante gli anni '60 come coreografa e performer. Mise a frutto la laurea al Sarah Lawrence College scrivendo musica vocale per i suoi spettacoli e prestando la sua voce a compositori d'avanguardia. Il primo brano di cui si abbia traccia è 16 Millimeter Earrings (1966), in cui si accompagnava alla chitarra.

A partire dal 1967 la sua attività musicale si fa sempre più consistente e nel gito di pochi anni alcune composizioni/interpretazioni la pongono ai vertici del vocalimo colto. Si esercita d'altronte intensamente, ampliando a dismisura la gamma delle sue performance canore. Oltre a questo difficile esercizio fisico, Monk costruisce la sua musica attraverso un'oculata revisione dei materiali sonori raccolti in anni di interdisciplinarietà, dal folk agli inserti pubblicitari, dall'opera all'alea cageana. Protesa alla ricerca di effetti che siano innanzitutto vocali, si accompagna con una strumentazione scarna, per lo più il suo piano e un po' di percussioni.

Dal 1967 al 1970 porta in giro per la California il suo "teatro invisibile" intitolato
The Key. La colonna sonora di quello spettacolo ambulante prevede una cantante (l'autrice stessa), organo, scacciapensieri, percussioni. Questo teatro musicale si affida sopratutto a cantilene a cappella alla maniera dei muezin (Porch) o dei cori gregoriani (Change), le quali possono diventare all'occorrenza vocalizzi astratti, demenziali, allucinati (Under Street) oppure bisbigli frenetici, come di un disco suonato a velocità doppia (What Does It Mean), o ancora striduli pigolii da nevrotica (Do You Be), con cadenze che ricordano ora il balletto kabuki ora le funzioni religiose.

Alflusso di coscienza rimandano i deliri più spigliati, come
Fat Stream, un gentile lamento di gorgheggi da soprano su pattern minimalisti dell'organo, e Dungeon, una danza rituale sostenuta da percussioni africane e contrassegnata da lenti mutamenti del registro della voce, la quale subisce un grottesco processo involutivo, gutturale poi nasale poi ansimante, ululato di pulcino, capriccio di bambina, riso, nitrito, verso di gufo.

Dello stesso periodo è
Vessel Suite (1971, parzialmente raccolta su Facing North), che re-interpreta il mito di Giovanna d'Arco.

L'opera
Education Of The Grandchild (1973) contiene diversi dei suoi frammenti più geniali. Biography inizia come una preghiera accorata, un lamento agonizzante che si riduce a una "i" agghiacciante e sconsolata di pianto dirotto e poi trascende in una disperazione rarefatta, rotta da un belato orientale gridato a tutta voce dallacima dell'Himalaya, fino a decomporsi nella follia nevrastenica di un ritornello cinese di "na-na".

Travelling è uno dei suoi crescendo più trascinanti: la cadenza marziale e incalzante è mantenuta dal piano e dai tonfi metodici della percussione, mentre la voce cavalca infrenabile in distese enormi, lanciando urla di guerra indiane e richiami per streghe, si inerpica libera e felice in progressioni smisurate e si arrotola in versi infantili, squittii e pigolii, riprende il galoppo a folle velocità, doppiata da un'eco angelica; quintessenza sonora di istinti scatenati, energia allo stato puro.

E' il principio delle "mutazioni continue" di
Dungeon portato alle estreme conseguenze, così come in The Tail, scherzo bizzarro non meno travolgente, girotondo per bambini, risata folle che cambia in continuazione e si arriccia su se stessa, che declama e delira sospinta dal ritmo frenetico del piano, dal rumore di oggetti spezzati e da brevi interventi di un violino asfittico, una gag tutta giocata sul registro dello sketch satirico-didattico alla Brecht.

Fear And Loathing In Gotham (1975) annovera altre chicche di questo genere di lied minimalista: una ninnananna nostalgica come Gotham Lullaby, favola malinconica che si propaga per acrobazie vocali in rapido mutamento su un ritmo ad onde del piano, e una filastrocca da carillon come Esther's Song.

Nel Frattempo Monk ha già composto, eseguito e registrato
Our Lady Of Late, che vedrà la luce soltanto nel 1986. Si tratta di uno dei suoi lavori più ostici, una raccolta di sedici brevi lied, ciascuno interpretato con una tecnica vocale diversa ma sempre con l'obbligo di suonare in consonanza con il suono prodotto dal bordo di un calice strofinato con il dito. In Unison Monk imita semplicemente il timbro del "drone", ma i brani successivi impiegano forme vocali che vengono ripetute con un certo periodo, in maniera da generare anche ritmo. In Sign intona un gorgheggio per sospiri e in Morning "canta" con i singhiozzi di un pianto. In Slide sembra imitare i canti dei pellerossa e in High Ring quelli dei monaci tibetani; in Free una bambina che gioca e in Prophecy una mamma che canta la ninnananna. Monk fa musica usando icone canore: in Edge l'acuto di una cantante d'opera, in Cow Song la risata di una bambina, in Waltz le grida di un'isterica, in Dumb il tremito di un'epilettica. Con questo arduo lavoro per voce e vetro Monk definisce in maniera rigorosa l'idea di un lessico canoro fatto di gesti elementari che rimandano ad emozioni primitive dell'animo umano.

Songs From The Hills, scritto su una collina della zona arida del New Mexico nell'estate del 1976, è una collezione di dieci aforismi senza accompagnamento che si ispirano al folklore indio, in ciascuno dei quali Monk interpreta un personaggio diverso con una voce diversa: Mesa è un angosciato lamento per la sterilità del deserto che attraversa con tensione spasmodica più di una voce, Jade un trepido petulante monologo di vecchia, Descending una stridula nenia-dialogo per due voci giapponesi, Prairie Ghost un'imitazione dei soffi di vento e dei versi degli animali che emergono dal nulla nel silenzio spettrale della notte, Bird Code un trillo radioso, Silo una vocale ronzante a sirena.

La grande varietà dei registri, e l'attenzione psicologica con cui Monk li interpreta, costituiscono un nuovo genere di recital. Ogni lied non per la melodia (banale) o l'orchestrazione (inesistente), ma per le evoluzioni canore in sè.

Il modello stabilito in quest'opera verrà ripetuto con esiti via via più suggestivi e aristocratici nelle composizioni successive. Il paradigma fondamentale della sua musica è la cantilena, una delle forme musicali più primordiali dell'umanità. E, infatti, ogni suo brano porta in sè qualcosa di arcaico, che giunge all'ascoltatore attraverso i millenni come un qualcosa di già noto. Anche Monk, come gran parte dei compositori americani da Cage in poi, opera una riduzione della musica ai suoi componenti elementari, ma, a differenza degli altri, Monk prende come riferimento non la struttura tecnico-scientifica del suono, ma la struttura emozionale della tonalità, ovvero il suo aspetto psicologico.

Tablet (1977), per quattro cantanti, flauto e tre pianoforti, è un conciliabolo sereno e vivace che fa di nuovo uso di materiale folkloristico, ma questa volta trattato secondo tecniche minimaliste e contrappuntiste.

Sui pattern ossessivi ripetuti dai pianoforti Monk attacca una delle sue litanie più angosciate, patetiche e folli. Rimasta sola, si lancia in una serie di acuti spettacolari. Poi, mentre il piano e il flauto abbozzano un passo di danza medioevale, tutte e quattro le cantanti si cimentano in una diversa serie di nitriti fino a comporre un coro giapponese. Un concitato e stridulo vociare, il declamato prepotente di Monk, un diluvio di trilli nasali da mantra che decolla nel ronzio di un reattore, il pianto singhiozzante di Monk, contrappuntato da un coro straniante di "tatarà tatarà", una confusione babelica di fomeni meccanici e gorgheggi robotici, i trilli in cascata e i deliri a gola spiegata che si alternano in vertiginosa successione compongono un mosaico sonoro di grande presa drammatica.

La suite si chiude con dei coretti giapponesi a velocità folle che tengono di fatto il tempo per la cantilena di Monk, disfandosi in ritmi diversi fino a comporre una piccola
In C (terry Riley) per il canto.

E' un'arte che, in effetti, discende dal minimalismo, sia per il meccanico ripetersi di pattern di fonemi sia per l'accompagnamento di accordi ossessivi al pianoforte. Quando la voce è unica, si limita a variare con continuità su un fronte molto ampio di registri. Quando le voci sono tante, e tutte in perpetuo mutamento, il loro polifonismo può raggiungere livelli disumani dicomplessità: ciascuna voce è un pattern a sè stante, consonante con quelle delle altre, e tutti i pattern tendono a muoversi in maniera da conservare quella consonanza. Non solo:  l'effetto d'assieme risulta quasi sempre incalzante perchè i pattern, talvolta assai brevi, si ripetono rapidamente, creando in tal modo un intreccio di poliritmi in crescendo.

I pattern sono a loro volta frammenti melodici di cantilene e litanie elementari, oppure semplici solfeggi o ancora brani colloquiati (ma sempre materiale sonoro "quotidiano"). Ognuno di tali frammenti viene strutturato come una successione di fonemi sillabici in un certo registro. Nonostante il meccanicismo esasperato che sta alla base del processo di composizione, le mutazioni continue imposte da Monk ai vari pattern fanno sì che la sinfonia vocale appaia in frenetica e organica evoluzione, e, grazie al contrasto drammatico dei registri e dei frammenti impiegati, fortemente emotiva.

Quarry (1976), la sua seconda opera, è dedicata all'olocausto visto attraverso gli occhi di una bambina. Sono di quest'epoca anche le performance (inedite) Travelogue Series (1976), Plateau Series (1978) e Recent Ruins  (1979, in parte su Dolmen Music e Facing North), suggestivi esperimenti di teatro musicale.

Gli anni '70 si concludono con
Dolmen Music, per sei voci, violoncello e percussioni, una delle sue opere più geniali e monumentali, summa della sua arte di suggestioni e illusioni.

La piece si apre con il suono teso del violoncello che strania l'ascoltatore e riporta indietro nei secoli, a una musica arcaica, fatta di vibrazioni lente e perenni. Le voci femminili entrano una alla volta, a cominciare dal lugubre e solenne "aù" di Monk; poi si presentano in contrappunto e all'unisono quelle maschili, in uno stranito conciliabolo di registri. Comincia allora asalire tutto insieme il coro misto, originando un complesso intreccio di pattern vocali ripetuti testardamente sul quale si libra la filastrocca orientale, stridula e velocissima, di Monk.

Con una delle sue tipiche mimesi Monk passa ad un registro più gutturale e nasale, affiancata da un altrettanto demente rantolo di Monica Solem (a tratti somigliano a due scacciapensieri, a tratti echi di un medesimo ancestrale rumore), finchè il possente coro a cappella maschile le sovrasta e fagocita in un vortice di frasi minimali,, con le voci maschili quasi yodel e quelle femminili in leggiadri acuti; le prime che vibrano violentemente come a scimmiottare gli strumenti a corda indiani, i mille fonemi che si intrecciano a perdifiato in un magico mosaico di note, una nebulosa fluttuante di solfeggi nei vari registri, il ronzio mantrico di tutte le voci all'unisono che sale in una preghiera assoluta, il violoncello che si lancia in un flamenco mozzafiato, i cantanti che si incalzano l'un l'altro in un convulso alternarsi di ragli alla tirolese, di cicale assordanti, di gracchi meccanici, di strida sconnesse e di osanna gregoriani.

Una formidabile tensione interna presiede alla produzione di questa musica "corporale", di questo canto imitativo e camaleontico sostenuto dagli equilibrismi più spericolati. La loro è una musica anche di respiri, amplificati dal riverbero dello studio.

Nel 1982 debutta
Specimen Days, uno spettacolo tratto dagli omonimi poemetti in prosa scritti da Walt Whiyman per esaltare i valori epici della nazione americana, un atto unico della durata di un'ora e mezza articolato in una serie di quadri che commemorano episodi della guerra di Seccessione.

Quell'ininterrotto delirio capriccioso d'infanzia, quel solloquio ludico che è la sua opera trova un temporaneo punto d'arrivo in
Turtle Dreams.

La pirotecnica del canto contrasta drammaticamente con l'accompagnamento, sempre scarno e funereo, di quattro organi che sovrappongono lente frasi cromaticamente e iterativamente rileyiane. Il monologo di Monk, coadiuvato da un coro di tre voci maschili con reminescenze folkloriche e chiesastiche, si svolge nella solita alternanza di registri, ma indulgendo sopratutto in quello salmodiante, e dà spazio a quelle grida lunghissime e acute affilate dalla pazzia più selvaggia che conferiscono a tutto il brano un carattere più tragico dei precedenti. Il convulso affabulare della prima voce e il gelido contrappunto del coro hanno un accento più sofferto e disperato. I pigolii affranti, i guaiti timidi, gli acuti marziali e i ronzii dimessi compongono una piece più meditata e profonda. La spensierata esuberanza ed innocenza dei lavori precedenti sembra perduta a favore di una maturità più pensierosa.

In
View 1 (tratto dalla colonna sonora di Am/Am) l'accompagnamento è un piano, romanticamente e perdutamente assorto in una frase iterativa, sul quale intervengono a intermittenza altre tastiere (ciascuna con un proprio caratteristico pattern ambientale) e la voce nei consueti travestimenti. La sensazione è quella di un vuoto cosmico ineluttabile perturbato di quando in quando da presenze fugaci e misteriose.

Monk ha coniato un suo personale ed eterogeneo linguaggio polifonico, un collage di stentoreo minimalismo, di voli operatici e di atmosfere evocative, tutti filtrati da una sensibilità in armonia con la natura e il divenire cosmico delle cose. Tutti i registri e tutte le tradizioni vengono rielaborati con solenni mimesi dell'assurdo e raccordati da una mutazione continua e perenne, senza altra trama che lo scorrere del tempo.

Acquisito l'apparato linguistico, la performer si è potuta cimentare anche in brani più narrativi, come
Games (1983, anche in versione per quindici cantanti), nel quale, accompagnata da un violino, descrive il futuro di una colonia axtraterrestre di umani che sanno vagamente com'era il pianeta dei loro antenati prima dell'olocausto nucleare.

Nella seconda metà del decennio la sua attività si è fatta frenetica, talvolta a scapito della qualità.
Acts From Under And Above (1986) è una performance per due soli personaggi, la cui prima parte è un suo assolo-monologo. Ringing Place (1987) coinvolge nove musicisti che si passano vocalizzi in circolo. Fayum Music (1987), per dulcimer a martello e doppia ocarina, è la colonna sonora di un documentario su alcuni cimeli funerari greco-romani.

Tipiche di questo periodo sono le composizioni per piccolo ensamble raccolte in
Do You Be, fra cui Shadow Song, un aforima pieno di gag ritmiche; Double Fiesta, uno spensierato girotondo a ritmo incalzante di fonemi e registri; Memory Song, un intermezzo classicheggiante delicato e onirico, I Don't Know, ricco di pathos e tragedia, è un altro dei suoi struggenti deliri introspettivi.

Wheel, uno dei vertici di questa fase, è un potente mantra orchestrato per voci femminili, cornamusa e sintetizzatore. Un intenso afflato mistico impregna brani come Astronaut Anthem, un coro a cappella che ha la solennità di un mottetto medioevale, o la non meno liturgica e imponente Scared Song, per quanto devastata da ogni sorta di mimetismi grotteschi. La nuova versione di Do You Be, che dà titolo alla raccolta, esalta la differenza d'umore rispetto al passato: è soltanto più una serie di urla lancinanti che gridano la disperazione più atroce.

Il suo avvicinamento al mondo del cinema è confermato dal suo primo film,
Book Of Days (1988), la cui colonna sonora (metà della quale verrà pubblicata due anni dopo) costituisce il vertice tecnologico della sua nuova tecnica di overdub vocale. Originariamente si trattava di un concerto vocale tenuto alla Carnegie Hall nel febbraio 1985. Di essa fanno parte i teneri lamenti rinascimentali di Early Morning Melody e Afternoon Melodies, le sequenze sincopate e gutturali di Travellers, il soave mottetto gregoriano di Dawn, la classicheggiante Cave Song, la tetra ninnananna di Evening, i fitti contrappunti di Jewish Storyteller e sopratutto  un altro dei suoi agghiaggianti, funerei raga-psicodrammi: Madwoman's Vision.

Facing North è per lo più una serie di duetti vocali con Robert Een: è la sua raccolta più atmosferica, ma anche la meno profonda.

L'opera
Atlas (1991) mette in musica (e in gorgheggi) la storia di una donna che si mette in cammino con quattro compagni e si avventura fino alla fine del mondo alla ricerca del senso della vita. Lungo la via il gruppo di pellegrini incontra Hungry Ghosts e Ice Demons, che ispirano per l'appunto le arie omonime. I testi sono le solite sillabe-nonsense di Monk. La novità è semmai rappresentata dall'accompagnamento, per un ensamble di dodici strumenti, che testimonia del crescente interesse di Monk per la parte strumentale, e non soltanto vocale.

Nel 1993 hanno debuttato altri tre lavori di spicco:
St. Petersburg Waltz, Volcano Songs e il poderoso New York Requiem. Monk sta lavorando alla sua nuova opera, Song Of The Lark.

In tutto Monk ha composto più di 80 lavori per il teatro nell'arco di trent'anni. Ha anche diretto il film Ellis Island, a cui sono andati alcuni premi internazionali.

Rispetto ai maestri minimalisti a cui la sua arte si ispira (Steve Reich su tutti) Monk è riuscita a riallacciare le sue ricerche alle sue radici culturali. Nei suoi pezzi si sente infatti un'eco, per quanto lontana, del folk europeo e americano, di ballate e ninnananne millenarie. Si sente persino l'eco di culture che lei non ha mai conosciuto, dai paesi slavi all'India, segno che in essi Monk riesce a convogliare qualcosa di estremamente quotidiano e casuale, di elementare e innocente, qualcosa che pre-esiste la diaspora delle culture nazionali, che pre-esiste la storia. Non a caso i suoi pezzi sono spesso soltanto delle "conversazioni" fra i membri di un ensamble vocale. Anche i suoi pezzi solisti sono una forma di conversazione, in quanto parte della sua rivoluzione canora consiste proprio nel fatto che una voce può assumere diverse personalità. Forse Monk si è avvicinata più di chiunque altro all'essenza del linguaggio, della comunicazione, della socialità. In tal senso la sua musica si configura sempre più come uno scavo antropologico alle ricerca delle origini della nostra civiltà.

Evolutasi dall'infantilismo eccentrico dei primi pezzi (di
Tablet e di Dolmen Music in particolare), l'arte di Monk costituisce oggi il contributo più originale e monumentale all'evoluzione del canto dopo il Gesang di Stockhausen e la Sinfonia di Berio. Il suo linguaggio multiforme, popolato dalle più svariate voci, compone un affresco canoro dell'umanità moderna di mole rinascimentale ma fedele ai canoni dell'autismo mutante del post modernismo newyorkese.

Gli acuti galattici e le deformità viscerali, i lamenti struggenti e gli scioglilingua innocenti dei suoi brani continuano la tradizione di trasgressione e di mitologizzazione del canto iniziata nel 1945 da Messiaen con
Harawi, e costituiscono una delle conquiste artistiche più cospicue del Dopoguerra.

Piero Scaruffi da:
Enciclopedia della Musica New Age, Elettronica, etc
ed. Arcana (1996)


- Dolmen Music
(1981) ECM 1197 - cd

1. Gotham Lullaby (1975) 4.15 - 2. Travelling (1973) 6.15 - 3. The Tale (1973) 2.47 - 4. Biography (1972) 9.24 - 5. Dolmen Music (1979) 23.39

Musicians:
Meredith Monk,
Collin Walcott, Steve Lockwood, Andrea Goodman, Monica Solem, Julius Eastman, Robert Een, Paul Langland

Produced by Manfred Eicher and Collin Walcott
Recorded at Tonstudio Bauer, Ludwigsburg, January 1981 and at Hometown Studios, New York City, March 1980
Engineering by Martin Balk
Cover photo by Sarah Van Ouwerkerk

Teatro, danza, musica, componenti tra loro legate dal comune denominatore: voce. Quasi impossibile scindere un uso musicale da quello del ritmo, è, qui, il gesto che diventa rappresentazione. E chi se non la Monk, che con il teatro ha una lunga storia, poteva meglio rappresentare il tutto.
Voce non particolarmente dotata quella della Monk, ma indubbiamente ricca di intuizioni e di buoni propositi. Un retaggio che tocca sicuramente da vicino il Mediterraneo, ancora una volta come culla della civiltà, si può spaziare dalle Launedds sarde, ai canti sacri ebraici. In tutte le composizioni di Meredith si avverte la sacralità del gesto, l'importanza del movimento non è data dalla voce, ma è la voce stessa. Sorta di minimalista della voce, tutto è filtrato da una calma estrema, condizione, secondo la stessa Monk, essenziale per lavorare bene.
Dolmen Music. La prima parte è composta da vecchi pezzi composti tra il 1972 e il '75, brani che nella sola eccezione di Biography, erano ancora inediti su disco. Brani che malgrado gli intervalli di tempo, sembrano essere usciti nello stesso istante e, tra loro sono legati da uno scarno fraseggio di pianoforte e da una voce che è ora un racconto, ora lamento e ora canto.
Dolmen Music prende il nome dalla seconda parte del disco, l'ultima fatica della Monk. E' sintetizzata molto bene dalla foto al centro della copertina, la natura del lavoro. Sorta di cenacolo per voci miste dedicato alla cultura dei Dolmen. Lascio alla vostra immaginazione l'evocazione, la teatralità, che una cantata profana ha su un argomento cos' carico di mistero.
Angelo Gatazzi da Buscadero n° 16 maggio 1982

- Turtle Dreams
(1983) ECM 1240 - vinile

1. Turtle Dream - 2. View 1 - 3. Engine Step - 4. Ester's Song - 5. View2

Musicians:
Meredith Monk,
Collin Walcott, Robert Eleen, Andrea Goodman, Paul Langland, Julius Eastman, Steve Lookwood

Produced by Manfred Eicher and Collin Walcott
Engineering by John Kilgore, Thomas Lazarus, Howard Kaufman, Phil Lee
Cover photo by Sarah Van Ouwerkerk

Perseguita dalla fama di artista d'avanguardia (danzatrice e autrice di teatro, oltre che musicista e vocalist), Meredith Monk aspira invece a forme di espressione molto dirette e semplici, "a creare un'arte che permetta alla gente di vedere le cose con la purezza di un bambino". In questi "Sogni Della Tartaruga", così come nel precedente Dolmen Music, sempre per la ECM, il desiderio si avvera: semplici canti di innocenza scanditi dal pinoforte o da pudiche tastiere per i monologhi della Monk, viaggi all'interno dei propri pensieri svelati con disarmante arrendevolezza.
Chi ha seguito il percorso discografico dell'artista fin dalle pagine di
Key, che ormai hanno più di dieci anni, troverà che nulla è cambiato negli intendimenti della Monk, non la voglia di deliquiare con la voce e di parlare eterodosse lingue di nuove parole, non la predilizione per scarni paesaggi sonori; Semmai una maggior serenità e una sempre più assidua tensione al sogno e al gioco. Così, come una grande cospirazione ludica, vanno interpretati gli intrecci della prima facciata (Turtle Dreams - Waltz), dove il canto della protagonista si lega a quello di Robert Eleen, Andrea Goodman e Paul Langland su un tappeto d'rgano; e i più meditati soliloqui della seconda parte, dove la Monk, con voce e tastiere e piccoli turbamenti elettronici, accetta la sporadica compagnia del solo Colin Walcott. Il Waltz della prima facciata e la View 2 conclusiva sono parti dell'ultima pièce dell'artista, che dovrebbe essere presentata anche in Italia nei prossimi mesi; il resto sono composizioni scritte apposta per l'album, "ponendo l'accento sugli aspetti di danza della musica" e sforzandosi di "ricreare il feeling di una folk musi metropolitana".
Riccardo Bertoncelli da Rockerilla n° 39 novembre 1983

- Songs From The Hill/Tablet
(1979) Wergo sm 1022 - vinile

1. Songs From The Hill
a) Lullaby - b) Mesa - c) Jade (old woman song) - d) wa-lie-oh - e) insect - f) descending - g) silo - h) bird code - i)jew's harp - j) praire ghost
2. Tablet

Musicians:
Meredith Monk, Andrea Goodman, Susan Kampe

Produced by Richard Einhorn
Recorded at County Church, Fort Edward, N.Y. and Soundmixers, N.Y City
Engineering by Bob Bielecki and Neal Ceppos

- Book Of Days
(1990) ECM 839 624 - vinile

1. Early Morning Melody - 2. Travellers 1, 2, 3 - 3. Dawn - 4. Travellers 4 Churxhyard Entertainement - 5. Afternoon Melodies - 6. Fields/Clouds - 7. Dusk - 8. Eva's Song - 9. Evening - 10. Travellers 5 - 11. Jewish Storyteller/Dance/Dream - 12. Plague - 13. Madwoman's Vision - 14. Cave Song

Musicians:
Meredith Monk, Robert Een, Ching Gongalez, Andrea Goodman, Wayne Hankin, Nazz Hosseini, Nicky Paraiso, Nurit Tilles, Johanna Arnold, Joan Barber, John Eppler, Toby Newman, Timothy Sawyer

Produced by Manfred Eicher
Recorded at Clinton Studios, New York on June 1989
Engineering Jan Erick Kongshaug

- Do You Be
(1987) ECM 1136 - cd

1. Scared Song 6.04 - 2. I Don't Know 3.31 - 3. Window In 7's 2.12 - 4. Double Fiesta 5.21 - 5. Do You Be 4.02 - 6. Panda Chant I 1.56 - 7. Memory Song 6.40 - 8. Panda Chant II 1.35 - 9. Quarry Lullaby 2.00 - 10. Shadow Song 1.57 - 11. Astronaut Anthem 4.56 - 12. Wheel 3.40

Musicians:
Meredith Monk, Robert Een, Ching Gonzalez, Andrea Goodman, Wayne Hankin, Naaz Hosseini, Nicky Paraiso, Nurit Tilles, Johanna Arnold, John Eppier, Edmund Niemann

Produced by Manfred Eicher
Recorded at Tonstudio Bauer, Ludwigsburg, June 1986 and January 1987
Engineering by Martin Wieland
Cover photo by Jo Ann Verburg

- Key
(?) Lovely Music lml 1051 - vinile

1. Porch - 2. Under Street - 3. What Does It Mean? - 4. Vision - 5. Fat Stream - 6. Vision II - 7. Do You Be? - 8. Vision III - 9. Change - 10. Dungeon

Musicians:
Meredith Monk,
Collin Walcott, Daniel Ira Sverdlik, Dick Higgins, Lanny Harrison, Mark Monstermaker

Produced by Collin Walcott
Recorded at Gary Wies's, Santa Monica, C.A., The Ace Gallery, Los Angeles, The House, New York
Engineering by Peter Pilafiam, John Horton, Tom Clack, Daniel Nagrin
Cover photo by Peter Moore