Meredith Monk
album
in pagina:
- Dolmen
Music
- Turtle
Dreams
- Songs
From The Hill/Tablet
- Book
Of Days
- Do
You Be
- Key
Meredith Monk, cresciuta in una famiglia
di cantanti e musicisti, si formò a New York durante gli anni '60 come
coreografa e performer. Mise a frutto la laurea al Sarah Lawrence
College scrivendo musica vocale per i suoi spettacoli e prestando la sua
voce a compositori d'avanguardia. Il primo brano di cui si abbia traccia
è 16 Millimeter Earrings
(1966), in cui si accompagnava alla chitarra.
A partire dal 1967 la sua attività musicale si fa sempre più consistente
e nel gito di pochi anni alcune composizioni/interpretazioni la pongono
ai vertici del vocalimo colto. Si esercita d'altronte intensamente,
ampliando a dismisura la gamma delle sue performance canore. Oltre a
questo difficile esercizio fisico, Monk costruisce la sua musica
attraverso un'oculata revisione dei materiali sonori raccolti in anni di
interdisciplinarietà, dal folk agli inserti pubblicitari, dall'opera
all'alea cageana. Protesa alla ricerca di effetti che siano innanzitutto
vocali, si accompagna con una strumentazione scarna, per lo più il suo
piano e un po' di percussioni.
Dal 1967 al 1970 porta in giro per la California il suo "teatro
invisibile" intitolato The Key.
La colonna sonora di quello spettacolo ambulante prevede una cantante
(l'autrice stessa), organo, scacciapensieri, percussioni. Questo teatro
musicale si affida sopratutto a cantilene a cappella alla maniera dei
muezin (Porch)
o dei cori gregoriani (Change),
le quali possono diventare all'occorrenza vocalizzi astratti,
demenziali, allucinati (Under
Street) oppure bisbigli
frenetici, come di un disco suonato a velocità doppia (What
Does It Mean), o ancora
striduli pigolii da nevrotica (Do
You Be), con cadenze che
ricordano ora il balletto kabuki ora le funzioni religiose.
Alflusso di coscienza rimandano i deliri più spigliati, come
Fat Stream,
un gentile lamento di gorgheggi da soprano su pattern minimalisti
dell'organo, e Dungeon,
una danza rituale sostenuta da percussioni africane e contrassegnata da
lenti mutamenti del registro della voce, la quale subisce un grottesco
processo involutivo, gutturale poi nasale poi ansimante, ululato di
pulcino, capriccio di bambina, riso, nitrito, verso di gufo.
Dello stesso periodo è Vessel
Suite (1971, parzialmente
raccolta su Facing North),
che re-interpreta il mito di Giovanna d'Arco.
L'opera Education Of The
Grandchild (1973) contiene
diversi dei suoi frammenti più geniali.
Biography
inizia come una preghiera accorata, un lamento agonizzante che si riduce
a una "i" agghiacciante e sconsolata di pianto dirotto e poi trascende
in una disperazione rarefatta, rotta da un belato orientale gridato a
tutta voce dallacima dell'Himalaya, fino a decomporsi nella follia
nevrastenica di un ritornello cinese di "na-na".
Travelling
è uno dei suoi crescendo più trascinanti: la cadenza marziale e
incalzante è mantenuta dal piano e dai tonfi metodici della percussione,
mentre la voce cavalca infrenabile in distese enormi, lanciando urla di
guerra indiane e richiami per streghe, si inerpica libera e felice in
progressioni smisurate e si arrotola in versi infantili, squittii e
pigolii, riprende il galoppo a folle velocità, doppiata da un'eco
angelica; quintessenza sonora di istinti scatenati, energia allo stato
puro.
E' il principio delle "mutazioni continue" di
Dungeon
portato alle estreme conseguenze, così come in
The Tail,
scherzo bizzarro non meno travolgente, girotondo per bambini, risata
folle che cambia in continuazione e si arriccia su se stessa, che
declama e delira sospinta dal ritmo frenetico del piano, dal rumore di
oggetti spezzati e da brevi interventi di un violino asfittico, una gag
tutta giocata sul registro dello sketch satirico-didattico alla Brecht.
Fear And Loathing In Gotham
(1975) annovera altre chicche di questo genere di lied minimalista: una
ninnananna nostalgica come
Gotham Lullaby, favola
malinconica che si propaga per acrobazie vocali in rapido mutamento su
un ritmo ad onde del piano, e una filastrocca da carillon come
Esther's Song.
Nel Frattempo Monk ha già composto, eseguito e registrato
Our Lady Of Late,
che vedrà la luce soltanto nel 1986. Si tratta di uno dei suoi lavori
più ostici, una raccolta di sedici brevi lied, ciascuno interpretato con
una tecnica vocale diversa ma sempre con l'obbligo di suonare in
consonanza con il suono prodotto dal bordo di un calice strofinato con
il dito. In Unison
Monk imita semplicemente il timbro del "drone", ma i brani successivi
impiegano forme vocali che vengono ripetute con un certo periodo, in
maniera da generare anche ritmo. In
Sign
intona un gorgheggio per sospiri e in
Morning
"canta" con i singhiozzi di un pianto. In
Slide
sembra imitare i canti dei pellerossa e in
High Ring
quelli dei monaci tibetani; in
Free una bambina che gioca e
in Prophecy
una mamma che canta la ninnananna. Monk fa musica usando icone canore:
in Edge
l'acuto di una cantante d'opera, in
Cow Song
la risata di una bambina, in
Waltz le grida di un'isterica,
in Dumb
il tremito di un'epilettica. Con questo arduo lavoro per voce e vetro
Monk definisce in maniera rigorosa l'idea di un lessico canoro fatto di
gesti elementari che rimandano ad emozioni primitive dell'animo umano.
Songs From The Hills,
scritto su una collina della zona arida del New Mexico nell'estate del
1976, è una collezione di dieci aforismi senza accompagnamento che si
ispirano al folklore indio, in ciascuno dei quali Monk interpreta un
personaggio diverso con una voce diversa:
Mesa
è un angosciato lamento per la sterilità del deserto che attraversa con
tensione spasmodica più di una voce,
Jade
un trepido petulante monologo di vecchia,
Descending
una stridula nenia-dialogo per due voci giapponesi,
Prairie Ghost
un'imitazione dei soffi di vento e dei versi degli animali che emergono
dal nulla nel silenzio spettrale della notte,
Bird Code
un trillo radioso, Silo
una vocale ronzante a sirena.
La grande varietà dei registri, e l'attenzione psicologica con cui Monk
li interpreta, costituiscono un nuovo genere di recital. Ogni lied non
per la melodia (banale) o l'orchestrazione (inesistente), ma per le
evoluzioni canore in sè.
Il modello stabilito in quest'opera verrà ripetuto con esiti via via più
suggestivi e aristocratici nelle composizioni successive. Il paradigma
fondamentale della sua musica è la cantilena, una delle forme musicali
più primordiali dell'umanità. E, infatti, ogni suo brano porta in sè
qualcosa di arcaico, che giunge all'ascoltatore attraverso i millenni
come un qualcosa di già noto. Anche Monk, come gran parte dei
compositori americani da Cage in poi, opera una riduzione della musica
ai suoi componenti elementari, ma, a differenza degli altri, Monk prende
come riferimento non la struttura tecnico-scientifica del suono, ma la
struttura emozionale della tonalità, ovvero il suo aspetto psicologico.
Tablet
(1977), per quattro cantanti, flauto e tre pianoforti, è un conciliabolo
sereno e vivace che fa di nuovo uso di materiale folkloristico, ma
questa volta trattato secondo tecniche minimaliste e contrappuntiste.
Sui pattern ossessivi ripetuti dai pianoforti Monk attacca una delle sue
litanie più angosciate, patetiche e folli. Rimasta sola, si lancia in
una serie di acuti spettacolari. Poi, mentre il piano e il flauto
abbozzano un passo di danza medioevale, tutte e quattro le cantanti si
cimentano in una diversa serie di nitriti fino a comporre un coro
giapponese. Un concitato e stridulo vociare, il declamato prepotente di
Monk, un diluvio di trilli nasali da mantra che decolla nel ronzio di un
reattore, il pianto singhiozzante di Monk, contrappuntato da un coro
straniante di "tatarà tatarà", una confusione babelica di fomeni
meccanici e gorgheggi robotici, i trilli in cascata e i deliri a gola
spiegata che si alternano in vertiginosa successione compongono un
mosaico sonoro di grande presa drammatica.
La suite si chiude con dei coretti giapponesi a velocità folle che
tengono di fatto il tempo per la cantilena di Monk, disfandosi in ritmi
diversi fino a comporre una piccola
In C
(terry Riley) per il canto.
E' un'arte che, in effetti, discende dal minimalismo, sia per il
meccanico ripetersi di pattern di fonemi sia per l'accompagnamento di
accordi ossessivi al pianoforte. Quando la voce è unica, si limita a
variare con continuità su un fronte molto ampio di registri. Quando le
voci sono tante, e tutte in perpetuo mutamento, il loro polifonismo può
raggiungere livelli disumani dicomplessità: ciascuna voce è un pattern a
sè stante, consonante con quelle delle altre, e tutti i pattern tendono
a muoversi in maniera da conservare quella consonanza. Non solo:
l'effetto d'assieme risulta quasi sempre incalzante perchè i pattern,
talvolta assai brevi, si ripetono rapidamente, creando in tal modo un
intreccio di poliritmi in crescendo.
I pattern sono a loro volta frammenti melodici di cantilene e litanie
elementari, oppure semplici solfeggi o ancora brani colloquiati (ma
sempre materiale sonoro "quotidiano"). Ognuno di tali frammenti viene
strutturato come una successione di fonemi sillabici in un certo
registro. Nonostante il meccanicismo esasperato che sta alla base del
processo di composizione, le mutazioni continue imposte da Monk ai vari
pattern fanno sì che la sinfonia vocale appaia in frenetica e organica
evoluzione, e, grazie al contrasto drammatico dei registri e dei
frammenti impiegati, fortemente emotiva.
Quarry
(1976), la sua seconda opera, è dedicata all'olocausto visto attraverso
gli occhi di una bambina. Sono di quest'epoca anche le performance
(inedite)
Travelogue Series
(1976),
Plateau Series
(1978) e
Recent Ruins
(1979, in parte su
Dolmen Music
e
Facing North), suggestivi
esperimenti di teatro musicale.
Gli anni '70 si concludono con
Dolmen Music, per sei voci,
violoncello e percussioni, una delle sue opere più geniali e
monumentali, summa della sua arte di suggestioni e illusioni.
La piece si apre con il suono teso del violoncello che strania
l'ascoltatore e riporta indietro nei secoli, a una musica arcaica, fatta
di vibrazioni lente e perenni. Le voci femminili entrano una alla volta,
a cominciare dal lugubre e solenne "aù" di Monk; poi si presentano in
contrappunto e all'unisono quelle maschili, in uno stranito conciliabolo
di registri. Comincia allora asalire tutto insieme il coro misto,
originando un complesso intreccio di pattern vocali ripetuti
testardamente sul quale si libra la filastrocca orientale, stridula e
velocissima, di Monk.
Con una delle sue tipiche mimesi Monk passa ad un registro più gutturale
e nasale, affiancata da un altrettanto demente rantolo di Monica Solem
(a tratti somigliano a due scacciapensieri, a tratti echi di un medesimo
ancestrale rumore), finchè il possente coro a cappella maschile le
sovrasta e fagocita in un vortice di frasi minimali,, con le voci
maschili quasi yodel e quelle femminili in leggiadri acuti; le prime che
vibrano violentemente come a scimmiottare gli strumenti a corda indiani,
i mille fonemi che si intrecciano a perdifiato in un magico mosaico di
note, una nebulosa fluttuante di solfeggi nei vari registri, il ronzio
mantrico di tutte le voci all'unisono che sale in una preghiera
assoluta, il violoncello che si lancia in un flamenco mozzafiato, i
cantanti che si incalzano l'un l'altro in un convulso alternarsi di
ragli alla tirolese, di cicale assordanti, di gracchi meccanici, di
strida sconnesse e di osanna gregoriani.
Una formidabile tensione interna presiede alla produzione di questa
musica "corporale", di questo canto imitativo e camaleontico sostenuto
dagli equilibrismi più spericolati. La loro è una musica anche di
respiri, amplificati dal riverbero dello studio.
Nel 1982 debutta
Specimen Days,
uno spettacolo tratto dagli omonimi poemetti in prosa scritti da Walt
Whiyman per esaltare i valori epici della nazione americana, un atto
unico della durata di un'ora e mezza articolato in una serie di quadri
che commemorano episodi della guerra di Seccessione.
Quell'ininterrotto delirio capriccioso d'infanzia, quel solloquio ludico
che è la sua opera trova un temporaneo punto d'arrivo in
Turtle Dreams.
La pirotecnica del canto contrasta drammaticamente con
l'accompagnamento, sempre scarno e funereo, di quattro organi che
sovrappongono lente frasi cromaticamente e iterativamente rileyiane. Il
monologo di Monk, coadiuvato da un coro di tre voci maschili con
reminescenze folkloriche e chiesastiche, si svolge nella solita
alternanza di registri, ma indulgendo sopratutto in quello salmodiante,
e dà spazio a quelle grida lunghissime e acute affilate dalla pazzia più
selvaggia che conferiscono a tutto il brano un carattere più tragico dei
precedenti. Il convulso affabulare della prima voce e il gelido
contrappunto del coro hanno un accento più sofferto e disperato. I
pigolii affranti, i guaiti timidi, gli acuti marziali e i ronzii dimessi
compongono una piece più meditata e profonda. La spensierata esuberanza
ed innocenza dei lavori precedenti sembra perduta a favore di una
maturità più pensierosa.
In
View 1
(tratto dalla colonna sonora di
Am/Am)
l'accompagnamento è un piano, romanticamente e perdutamente assorto in
una frase iterativa, sul quale intervengono a intermittenza altre
tastiere (ciascuna con un proprio caratteristico pattern ambientale) e
la voce nei consueti travestimenti. La sensazione è quella di un vuoto
cosmico ineluttabile perturbato di quando in quando da presenze fugaci e
misteriose.
Monk ha coniato un suo personale ed eterogeneo linguaggio polifonico, un
collage di stentoreo minimalismo, di voli operatici e di atmosfere
evocative, tutti filtrati da una sensibilità in armonia con la natura e
il divenire cosmico delle cose. Tutti i registri e tutte le tradizioni
vengono rielaborati con solenni mimesi dell'assurdo e raccordati da una
mutazione continua e perenne, senza altra trama che lo scorrere del
tempo.
Acquisito l'apparato linguistico, la performer si è potuta cimentare
anche in brani più narrativi, come
Games
(1983, anche in versione per quindici cantanti), nel quale, accompagnata
da un violino, descrive il futuro di una colonia axtraterrestre di umani
che sanno vagamente com'era il pianeta dei loro antenati prima
dell'olocausto nucleare.
Nella seconda metà del decennio la sua attività si è fatta frenetica,
talvolta a scapito della qualità.
Acts From Under And Above
(1986) è una performance per due soli personaggi, la cui prima parte è
un suo assolo-monologo.
Ringing Place
(1987) coinvolge nove musicisti che si passano vocalizzi in circolo.
Fayum Music
(1987), per dulcimer a martello e doppia ocarina, è la colonna sonora di
un documentario su alcuni cimeli funerari greco-romani.
Tipiche di questo periodo sono le composizioni per piccolo ensamble
raccolte in
Do You Be,
fra cui
Shadow Song,
un aforima pieno di gag ritmiche;
Double Fiesta,
uno spensierato girotondo a ritmo incalzante di fonemi e registri;
Memory Song,
un intermezzo classicheggiante delicato e onirico,
I Don't Know,
ricco di pathos e tragedia, è un altro dei suoi struggenti deliri
introspettivi.
Wheel,
uno dei vertici di questa fase, è un potente mantra orchestrato per voci
femminili, cornamusa e sintetizzatore. Un intenso afflato mistico
impregna brani come
Astronaut Anthem,
un coro a cappella che ha la solennità di un mottetto medioevale, o la
non meno liturgica e imponente
Scared Song,
per quanto devastata da ogni sorta di mimetismi grotteschi. La nuova
versione di
Do You Be,
che dà titolo alla raccolta, esalta la differenza d'umore rispetto al
passato: è soltanto più una serie di urla lancinanti che gridano la
disperazione più atroce.
Il suo avvicinamento al mondo del cinema è confermato dal suo primo
film,
Book Of Days
(1988), la cui colonna sonora (metà della quale verrà pubblicata due
anni dopo) costituisce il vertice tecnologico della sua nuova tecnica di
overdub vocale. Originariamente si trattava di un concerto vocale tenuto
alla Carnegie Hall nel febbraio 1985. Di essa fanno parte i teneri
lamenti rinascimentali di
Early Morning Melody
e
Afternoon Melodies,
le sequenze sincopate e gutturali di
Travellers,
il soave mottetto gregoriano di
Dawn,
la classicheggiante
Cave Song,
la tetra ninnananna di
Evening,
i fitti contrappunti di
Jewish Storyteller
e sopratutto un altro dei suoi agghiaggianti, funerei
raga-psicodrammi:
Madwoman's Vision.
Facing North
è per lo più una serie di duetti vocali con Robert Een: è la sua
raccolta più atmosferica, ma anche la meno profonda.
L'opera
Atlas
(1991) mette in musica (e in gorgheggi) la storia di una donna che si
mette in cammino con quattro compagni e si avventura fino alla fine del
mondo alla ricerca del senso della vita. Lungo la via il gruppo di
pellegrini incontra
Hungry Ghosts
e
Ice Demons,
che ispirano per l'appunto le arie omonime. I testi sono le solite
sillabe-nonsense di Monk. La novità è semmai rappresentata
dall'accompagnamento, per un ensamble di dodici strumenti, che
testimonia del crescente interesse di Monk per la parte strumentale, e
non soltanto vocale.
Nel 1993 hanno debuttato altri tre lavori di spicco:
St. Petersburg Waltz,
Volcano Songs
e il poderoso
New York Requiem.
Monk sta lavorando alla sua nuova opera,
Song Of The Lark.
In tutto Monk ha composto più di 80 lavori per il teatro nell'arco di
trent'anni. Ha anche diretto il film Ellis Island, a cui sono andati
alcuni premi internazionali.
Rispetto ai maestri minimalisti a cui la sua arte si ispira (Steve Reich
su tutti) Monk è riuscita a riallacciare le sue ricerche alle sue radici
culturali. Nei suoi pezzi si sente infatti un'eco, per quanto lontana,
del folk europeo e americano, di ballate e ninnananne millenarie. Si
sente persino l'eco di culture che lei non ha mai conosciuto, dai paesi
slavi all'India, segno che in essi Monk riesce a convogliare qualcosa di
estremamente quotidiano e casuale, di elementare e innocente, qualcosa
che pre-esiste la diaspora delle culture nazionali, che pre-esiste la
storia. Non a caso i suoi pezzi sono spesso soltanto delle
"conversazioni" fra i membri di un ensamble vocale. Anche i suoi pezzi
solisti sono una forma di conversazione, in quanto parte della sua
rivoluzione canora consiste proprio nel fatto che una voce può assumere
diverse personalità. Forse Monk si è avvicinata più di chiunque altro
all'essenza del linguaggio, della comunicazione, della socialità. In tal
senso la sua musica si configura sempre più come uno scavo antropologico
alle ricerca delle origini della nostra civiltà.
Evolutasi dall'infantilismo eccentrico dei primi pezzi (di
Tablet
e di
Dolmen Music
in particolare), l'arte di Monk costituisce oggi il contributo più
originale e monumentale all'evoluzione del canto dopo il
Gesang
di Stockhausen e la
Sinfonia
di Berio. Il suo linguaggio multiforme, popolato dalle più svariate
voci, compone un affresco canoro dell'umanità moderna di mole
rinascimentale ma fedele ai canoni dell'autismo mutante del post
modernismo newyorkese.
Gli acuti galattici e le deformità viscerali, i lamenti struggenti e gli
scioglilingua innocenti dei suoi brani continuano la tradizione di
trasgressione e di mitologizzazione del canto iniziata nel 1945 da
Messiaen con
Harawi,
e costituiscono una delle conquiste artistiche più cospicue del
Dopoguerra.
Piero Scaruffi
da:
Enciclopedia della Musica New Age,
Elettronica, etc
ed. Arcana (1996)
|
- Dolmen Music
(1981) ECM 1197 - cd
1. Gotham Lullaby (1975) 4.15 - 2. Travelling (1973) 6.15 - 3. The Tale (1973) 2.47 - 4. Biography (1972) 9.24 - 5. Dolmen Music (1979) 23.39
Musicians:
Meredith Monk, Collin Walcott, Steve Lockwood, Andrea
Goodman, Monica Solem, Julius Eastman, Robert Een, Paul
Langland
Produced by Manfred Eicher and Collin Walcott
Recorded at Tonstudio Bauer, Ludwigsburg, January 1981
and at Hometown Studios, New York City, March 1980
Engineering by Martin Balk
Cover photo by Sarah Van Ouwerkerk
Teatro,
danza, musica, componenti tra loro legate dal comune
denominatore: voce. Quasi impossibile scindere un uso
musicale da quello del ritmo, è, qui, il gesto che
diventa rappresentazione. E chi se non la Monk, che con
il teatro ha una lunga storia, poteva meglio
rappresentare il tutto.
Voce non particolarmente dotata quella della Monk, ma
indubbiamente ricca di intuizioni e di buoni propositi.
Un retaggio che tocca sicuramente da vicino il
Mediterraneo, ancora una volta come culla della civiltà,
si può spaziare dalle Launedds sarde, ai canti sacri
ebraici. In tutte le composizioni di Meredith si avverte
la sacralità del gesto, l'importanza del movimento non
è data dalla voce, ma è la voce stessa. Sorta di
minimalista della voce, tutto è filtrato da una calma
estrema, condizione, secondo la stessa Monk, essenziale
per lavorare bene.
Dolmen Music. La prima
parte è composta da vecchi pezzi composti tra il 1972 e
il '75, brani che nella sola eccezione di Biography,
erano ancora inediti su disco. Brani che malgrado gli
intervalli di tempo, sembrano essere usciti nello stesso
istante e, tra loro sono legati da uno scarno fraseggio
di pianoforte e da una voce che è ora un racconto, ora
lamento e ora canto.
Dolmen Music prende il
nome dalla seconda parte del disco, l'ultima fatica della
Monk. E' sintetizzata molto bene dalla foto al centro
della copertina, la natura del lavoro. Sorta di cenacolo
per voci miste dedicato alla cultura dei Dolmen. Lascio
alla vostra immaginazione l'evocazione, la teatralità,
che una cantata profana ha su un argomento cos' carico di
mistero.
Angelo
Gatazzi da Buscadero n° 16 maggio 1982
- Turtle Dreams
(1983) ECM 1240 - vinile
1. Turtle Dream - 2. View 1 - 3. Engine Step - 4. Ester's Song - 5. View2
Musicians:
Meredith Monk, Collin Walcott, Robert Eleen, Andrea
Goodman, Paul Langland, Julius Eastman, Steve Lookwood
Produced by Manfred Eicher and Collin Walcott
Engineering by John Kilgore, Thomas Lazarus, Howard
Kaufman, Phil Lee
Cover photo by Sarah Van Ouwerkerk
Perseguita
dalla fama di artista d'avanguardia (danzatrice e autrice
di teatro, oltre che musicista e vocalist), Meredith Monk
aspira invece a forme di espressione molto dirette e
semplici, "a creare un'arte che permetta alla gente
di vedere le cose con la purezza di un bambino". In
questi "Sogni Della Tartaruga", così come nel
precedente Dolmen Music,
sempre per la ECM, il desiderio si avvera: semplici canti
di innocenza scanditi dal pinoforte o da pudiche tastiere
per i monologhi della Monk, viaggi all'interno dei propri
pensieri svelati con disarmante arrendevolezza.
Chi ha seguito il percorso discografico dell'artista fin
dalle pagine di Key,
che ormai hanno più di dieci anni, troverà che nulla è
cambiato negli intendimenti della Monk, non la voglia di
deliquiare con la voce e di parlare eterodosse lingue di
nuove parole, non la predilizione per scarni paesaggi
sonori; Semmai una maggior serenità e una sempre più
assidua tensione al sogno e al gioco. Così, come una
grande cospirazione ludica, vanno interpretati gli
intrecci della prima facciata (Turtle
Dreams - Waltz), dove
il canto della protagonista si lega a quello di Robert
Eleen, Andrea Goodman e Paul Langland su un tappeto
d'rgano; e i più meditati soliloqui della seconda parte,
dove la Monk, con voce e tastiere e piccoli turbamenti
elettronici, accetta la sporadica compagnia del solo
Colin Walcott. Il Waltz
della prima facciata e la View 2
conclusiva sono parti dell'ultima pièce dell'artista,
che dovrebbe essere presentata anche in Italia nei
prossimi mesi; il resto sono composizioni scritte apposta
per l'album, "ponendo l'accento sugli aspetti di
danza della musica" e sforzandosi di "ricreare
il feeling di una folk musi metropolitana".
Riccardo
Bertoncelli da Rockerilla n° 39 novembre 1983
- Songs From The Hill/Tablet
(1979) Wergo sm 1022 - vinile
1. Songs From The Hill
a) Lullaby
- b) Mesa - c) Jade (old woman song) - d) wa-lie-oh - e)
insect - f) descending - g) silo - h) bird code - i)jew's
harp - j) praire ghost
2. Tablet
Musicians:
Meredith Monk, Andrea Goodman, Susan Kampe
Produced by Richard Einhorn
Recorded at County Church, Fort Edward, N.Y. and
Soundmixers, N.Y City
Engineering by Bob Bielecki and Neal Ceppos
- Book Of Days
(1990) ECM 839 624 - vinile
1. Early Morning Melody - 2. Travellers 1, 2, 3 - 3. Dawn - 4. Travellers 4 Churxhyard
Entertainement -
5.
Afternoon Melodies - 6. Fields/Clouds - 7. Dusk - 8. Eva's Song - 9. Evening - 10. Travellers 5 - 11. Jewish
Storyteller/Dance/Dream - 12. Plague - 13. Madwoman's Vision - 14. Cave Song
Musicians:
Meredith Monk, Robert Een, Ching Gongalez, Andrea
Goodman, Wayne Hankin, Nazz Hosseini, Nicky Paraiso,
Nurit Tilles, Johanna Arnold, Joan Barber, John Eppler,
Toby Newman, Timothy Sawyer
Produced by Manfred Eicher
Recorded at Clinton Studios, New York on June 1989
Engineering Jan Erick Kongshaug
- Do You Be
(1987) ECM 1136 - cd
1. Scared Song 6.04 - 2. I Don't Know 3.31 - 3. Window In 7's 2.12 - 4. Double Fiesta 5.21 - 5. Do You Be 4.02 - 6. Panda Chant I 1.56 - 7. Memory Song 6.40 - 8. Panda Chant II 1.35 - 9. Quarry Lullaby 2.00 - 10. Shadow Song 1.57 - 11. Astronaut Anthem 4.56 - 12. Wheel 3.40
Musicians:
Meredith Monk, Robert Een, Ching Gonzalez, Andrea
Goodman, Wayne Hankin, Naaz Hosseini, Nicky Paraiso,
Nurit Tilles, Johanna Arnold, John Eppier, Edmund Niemann
Produced by Manfred Eicher
Recorded at Tonstudio Bauer, Ludwigsburg, June 1986 and
January 1987
Engineering by Martin Wieland
Cover photo by Jo Ann Verburg
- Key
(?) Lovely Music lml 1051 - vinile
1. Porch - 2. Under Street - 3. What Does It Mean? - 4. Vision - 5. Fat Stream - 6. Vision II - 7. Do You Be? - 8. Vision III - 9. Change - 10. Dungeon
Musicians:
Meredith Monk, Collin Walcott, Daniel Ira Sverdlik, Dick
Higgins, Lanny Harrison, Mark Monstermaker
Produced by Collin Walcott
Recorded at Gary Wies's, Santa Monica, C.A., The Ace
Gallery, Los Angeles, The House, New York
Engineering by Peter Pilafiam, John Horton, Tom Clack,
Daniel Nagrin
Cover photo by Peter Moore
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