Luigi Nono
(1924 - 1990)



album in pagina:

- ...Sofferte Onde Serene.../A Floresta E' Jovem E Cheja De Vida



A rileggere le cronache giornalistiche dell'epoca, la fine della vicenda umana di Luigi Nono sembrava apparentare nel dolore una folla composita che pure a posteriori si riesce con difficoltà a immaginare seduta allo stesso tavolo.

Dall'ora presidente della repubblica Cossiga a Tinto Brass, dal segretario del PCI Occhetto all'amico di sempre Emilio Vedova, le lacrime paiono scorrere a fiumi, anche se non sempre così sincere e naturali. Ilo mondo, non soltanto musicale, è costretto ad arrestarsi almeno un attimo, e come si usa fare per le grandi personalità o i divi popolari di cartapesta nessuno può esimersi dal pronunciare un commento, ancorchè banale. Era forse questo chiacchericcio indistinto fiorito il giorno dopo, in ogni caso, il segno più evidente che Nono aveva lasciato un segno profondo ed enigmatico al suo passaggio. E una dozzina di anni di distanza dalla scomparsa appare indubitabile la maestria di Nono nel porre interrogativi pertinenti, nell'insinuare dubbi lancinanti, nell'aprire ferite dolorose, più che nel compiere opera di chiarificazione piana e conclusiva. La sua parola non è mai stata l'ultima, semmai la prima, con tutti gli inconvenienti e i chiaroscuri del caso.

Se c'è una definizione di Nono che tutti sembrano accettare è quella della relativa all'essere un artista "impegnato". Un'etichetta sovente deleteria, incollata in particolare alle opere degli anni Sessanta, che talvolta non permette una scoperta diretta e profonda delle medesime. Un equivoco in cui è assai facile cadere, mentre si dovrebbe pensare alle produzioni di Nono come a un "materiale resistente", nel senso di partiture che non hanno come fine di piacere e che nello stesso tempo nascono dalla riflessione dell'autore sugli avvenimenti del mondo, portando impresse sulla pelle le lacerazioni dell'epoca in cui sono state create. Non è inutile ricordare che negli anni Sessanta e Settanta l'ambiente culturale europeo amava più le morbide raffinatezze intelettuali che i problemi sociali e nell'opinione comune era normale collegare la produzione e il consumo di musica contemporanea a una ristretta èlite. E dunque non deve stupire la scarsa presa di Nono in paesi che abitualmente consideriamo culturalmente aperti, quali la Francia e la Germania. I commenti transalpini alla scomparsa del maestro, per esempio, sono stati in gran parte legati al quartetto per archi
Fragmente-Stille, An Diaframma (1979-80), quasi a voler annullare tutta la produzione precedente all'interno di un lavoro che si usa considerare il punto d'inizio di una fase meno politicizzata dell'opera di Nono.

Il punto cardine è che con Nono non è facile separare l'uomo dal musicista, secondo un processo che tanto piace a chi teorizza la totale dismissione della paternità di un lavoro una volta che questo sia stato dato in pasto al pubblico. Nono continua invece a esercitare, suo malgrado, una forte attrazione sulle sue produzioni: le controlla e le segue anche dopo il taglio del cordone ombelicale e ciò crea un senso di disturbo nell'ascoltatore, impossibilitato a divenire unico e assoluto padrone della musica che gli è stata offerta. Scatenando il dibattito sui rapporti tra arte e politica il maestro veneziano non ottenne però grandi risultati. Gli addetti ai lavori e la stampa restarono perplessi e in qualche misura lo emarginarono. Il critico musicale con Nono non riusciva a esercitare il proprio mestiere perchè infastidito dalle numerose implicazioni esteriori e preferiva sovente il silenzio, inteso come segno di rifiuto. Oppure si accalorava nel tentativo di dimostrare che Nono non era Verdi e nelle fabbriche nessuno fischiettava la sua musica; e anzi, al contrario, la sua opera "impegnata" dai testi incomprensibili rimaneva appannaggio di un ristretto nucleo di intelettuali che rifletteva su una rivoluzione che non gli sarebbe mai appartenuta. Intendiamoci, qualcosa di vero c'era in quest'ultima affermazione, ma l'intento di Nono non verteva certo sulla ricerca di una facile popolarità e sul riconoscimento della sua figura a opera delle masse operaie, bensì sulla promozione della cultura come momento di discussione, di partecipazione, di lotta.

Del resto. se l'ostinato antimperialismo americano di Nono può sembrare, a trent'anni di distanza, assai ingenuo, che dire di tutti quegli artisti che hanno sottostato a qualsivoglia compromesso pur di esistere? Il rapporto tra musica e politica, che oggi appare mera archeologia, tenne banco sino a tutti gli anni Settanta e fece dire a Morton Feldman: "Nono vuole che tutti siano indignati; John Cage vuole che tutti siano felici. Sono due forme di tirannia [...]. Nono, che trova intollerabile la situazione sociale, vuole che l'arte la cambi. Cage, che trova intollerabile l'arte, vuole che la situazione sociale la cambi. L'uno e l'altro tentano di coprire il baratro, la distanza fra le due cose [...]. Ma come si può coprire ciò che è reale con ciò che è soltanto una metafora? L'arte è soltanto una metafora" (in Musica e Politica, Marsilio 1977) Nono si rende conto della difficoltà di conciliare la tessera comunista con la musica che viene componendo, ma nello stesso tempo ha chiara la convinzione che il suo sperimentare non è un fine ma soltanto un mezzo e che ciò che conta è condividere, comunicare.

I numerosi viaggi in America centromeridionale (nel 1967 viene incarcerato a Lima e poi espulso dal Perù), e prima ancora le esperienze dirette di dibattiti e concerti nelle fabbriche e nei circoloi studenteschi attuati a partire dal 1964 con la
Fabbrica Illuminata
ne sono una prova. Nonostante ciò anche Maderna, fraterno sodale, a un certo punto inizia a duitare della possibilità di far collimare impegno politico e arte, giudicando troppo semplistico l'accostamento. Nono è in quegli anni davvero su posizioni isolate, aggravate dalla rinuncia a esibire i suoi lavori nei circuiti usuali e ad accettare sovvenzioni istituzionali (forte è la polemica contro la Biennale di Venezia, qualificata come "ente culturale mercificante"). I titoli che si concatenano dopo l'esperienza della Fabbrica Illuminata, dedicata alla dura condizione del lavoro operaio,, mostrano la riflessione non di maniera (artistica e politica allo stesso tempo) che Nono conduceva su eventi storici o coevi particolarmente significativi per la sua generazione. In Ricorda Cosa Ti Hanno Fatto Ad Auschwitz (1966), estratto dalla musica di scena dell'anno precedente per L'Istruttoria di Peter Weiss (regia di Erwin Piscator), è la tragedia dello sterminio a trovare una originale rievocazione sonora. A Floresta E' Joven E Cheja De Vita (1996) omaggia la guerra di liberazione in Vietman, mentre Contrappunto Dialetto Alla Mente (1967-68), costruito su testi parodistici dello scrittore veneziano seicentesco Adriano Banchieri, è un'ironica rampogna contro il mondo politico, e valse a Nono anche un grottesco atto di censura da parte dei funzionari RAI, che pure gli avevano commissionato il lavoro per il Premio Italia (il quarto episodio, Lo Zio Sam Racconta Una Novella, avrebbe potuto scatenare le ire "dell'alleato" statunitense). La Musica-Manifesto N° 1 (1969), suddivisa in due parti diverse nell'assunto (Pavese Per Un Volto, Del Mare; le voci e le scritte murali del Maggio francese per Non Consumiamo Marx), raggiunge tuttavia un equilibrio complementare in grado di scandagliare le emozioni suscitate dai rivolgimenti sociali del 1968. Y Entonces Comprendio (1969-70), infine, attraversa la dedica ai movimenti rivoluzionari dell'America Latina, socchiude la porta su un decennio ricco di drammi e speranze, e nello stesso tempo prelude a nuove ispirazioni in cui oggi possiamo leggere con chiarezza le sorprendenti capacità anticipatrici di Nono. Lei sei voci femminili protagoniste dell'opera provengono da varie nazioni, si portano aprresso caratteristiche tecnico-stilistiche e culturali dissimili, ed è su tali differenze e unicità che Nono struttura, trent'anni prima, una musica poliforma e senza confini, "globalizzata" nel senso migliore del termine.

Nono ha sempre inseguito l'idea di un teatro musicale che si tenesse lontano dalla concezione tradizionale dell'opera. Niente libretti e librettisti dunque, semmai materiali e frammenti, sovente letterari, da far rivivere attraverso un'organizzazione originale dello spazio scenico e sonoro. Si inquadra in questa prospettiva l'uso, sin dagli anni Cinquanta, degli scritti di Garcia Lorca (Epitaffio), Eluard (La Victorie De Guernica), Ungaretti (Cori Di Didone) e Pavese (La Terra E La Compagna e Sarà Dolce Tacere) che, insieme alle lettere dei condannati a morte della Resistenza europea per il celebre
Il Canto Sospeso (1955-56), modellano una serie di partiture che preludono alle successive "azioni sceniche" vere e proprie. La prima delle qiali Intolleranza 1960, non mancò, al debutto veneziano del '61, di suscitare polemiche veementi. Il La Fenice si divise rumorosamente (e non solo) in due al momento di giudicare i testi assemblati da Angelo Maria Ripellino, la scarna vicenda sottesa dell'operaio emigrato e della sua compagna, le scenografie in movimento di Josef Svoboda, le lastre colorate di Emilio Vedova e naturalmente la partitura di Nono. Il maestro avrebbe mostrato ancor più la sua infatuazione per certo teatro russo d'avanguardia d'inizio Novecento in Al Gran Sole Carico D'Amore (1972-74), opera per la quale cercò in tutti i modi di avere (scomodando anche Enrico Berlinguer) l'aiuto del regista Jurij Ljubinov, allora direttore del celebre teatro moscovita Tanganka. La varietà tematica si accentua: la Comune di Parigi, la rivoluzione russa abortita del 1905, la Torino dei primi anni Cinquanta, l'assalto alla caserma cubana Moncada, e innumerevoli spunti letterari si alternano senza sosta, circoscritti da una leggerissima tela di ragno, costituita dalla presenza dell'universo donna in tutti questi eventi. Dentro Al Gran Sole Carico D'Amore confluirono in bella sintesi le esperienze e le intuizioni che Nono aveva sino a ora partorito e, oltre all'allestimento iniziale del Lirico di Milano, altre messe in scena posteriori (Francoforte, Lione) confermarono la validità di un lavoro complesso ma estremamente innovativo in tutte le sue componenti. All'inizio degli anni Settanta la parabola creativa di Nono continuava dunque a essere in piena ascesa, perchè non bisogna dimenticare che mentre iniziava a progettare il marchingegno di Al Gran Sole Carico D'Amore trovava il tempo di terminare Como Una Ola De Fuerza Y Luz (1971-72) per soprano, pianoforte, orchestra e nastro magnetico (testi dell'argentino Julio Huasi), dedicato alla memoria di Luciano Cruz, uno dei leader del MIR cileno, con il quale Nono aveva stretto un franco rapporto d'amicizia.

Per completare l'ultimo lavoro di carattere teatrale il compositore veneziano si prenderà un decennio esatto di studio e riflessione. Ma il
Prometeo vive ancor meno dei precedenti di drammaturgia lineare e consueta. Non a caso il sottotitolo è Tragedia Dell'Ascolto. Ideato con la collaborazione di Massimo Cacciari, il Prometeo intendeva avviluppare gli ascoltatori nel suono stesso, individuato come apportatore di tensioni fisiche. Il dramma è quindi acustico e non necessita di palchi, scenografie e luci, semmai di un contenitore idoneo (concepito da Renzo Piano) a ospitare su tre gallerie gli strumenti e a terra 400 persone in ascolto. Grazie anche al largo impiego del live electronic il Prometeo diverrà un'avventura di grande interesse, in cui all'orecchio sarà richiesto di rimanere teso per un paio d'ore alfine di inventariare le infinite trasformazioni a cui Nono sottopone la materia sonora.

Tutto nasce da un articolo del 1952 intitolato Schoemberg E' Morto, in cui Pierre Boulez attaccava e condannava la "tradizione". Nono si mostrò in disaccordo con le tesi espresse dal maestro francese a più riprese, sino a riassumere mirabilmente il suo pensiero il suo pensiero nella lettura Presenza Storica Nella Musica D'Oggi, tenuta a Darmstadt nel 1959. In sintesi, per Nono non è possibile dare inizio al nuovo semplicemente partendo dal nulla: nella pratica compositiva il grado zero storico non esiste. Ponendosi sulla linea di Dallapiccolo, per il quale nutriva una grande ammirazione, riaffermava l'idea che il passato non debba essere rinnegato bensì rinnovato e messo al servizio del presente. Citazioni, allusioni e riferimenti sono le pietre angolari che servono a sostenere nuovi contesti, una pratica che costituirà la marca costante del suo fare musica. Il compositore che intende il nuovo senza fasi precedenti si pone in una posizione di estrema comodità, perchè diventa egli stesso l'unico punto di riferimento, assumendosi il ruolo di principio-fine. Nono rimproverava inoltre a Boulez di avere unì'attitudine "capitalista", per il fatto di non considerare in alcun modo la possibilità di una relazione tra musica e politica (la separazione delle responsabilità e dei compiti è appunto una caratteristica precipua del capitalismo). Similmente, neppure a Stockhausen vengono risparmiate critiche: il modo in cui ricorre alla tecnologia, teorizza come un valore estetico, lo avvicina agli USA e all'Occidente secondo dettami "imperialisti". Boulez di Nono apprezzava le opere degli anni Cinquanta (
Polifonica-Monodia-Ritmica, Canti Per 13 e Incontri) ma non ha alcuna intenzione di sottoscrivere un programma musicale che si dedichi in modo totale alla politica e alla società. Non sarà dunque un caso che Boulez torni a dirigere opere di Nono soltanto dopo la morte di questi, nonostante lo stesso Nono avesse compiuto un passo distensivo nel 1985 con la stesura A Pierre Dall'Azzurro Silenzio, Inquietum offerta al compositore e direttore d'orchestra in occasione del suo sessantesimo compleanno. Il riavvicinamento, avvenuto in quell'occasione, non porterà a relazioni musicali di riguardo tra i due, anche se più tardi Boulez ammetterà che Nono era divenuto maggiormente disponibile ad accettare il giudizio di artisti meno impegnati di lui sul piano politico. Non è però inutile ricordare che nel 1977 l'Ircam aveva proposto un programma che sotto l'insegna Darmstadt Et Après presentava lavori di Nono, Stockhausen e Boulez sia appartenenti agli anni Cinquanta sia posteriori, al fine di testimoniare l'evoluzione dei tre autori citati. Se ne ricava che qualunque fosse il giudizio sulle opere di Nono non si poteva prescindere dal suo nome per tracciare la mappa dell'avanguardia dalla metà del Novecento in poi. E' altrettanto significativo però notare come in Francia, che possiamo assumere come paese simbolo dell'isolamento a cui fu condannato Nono dagli ambienti musicali europei, un vero e proprio omaggio esteso ci sarà soltanto nel 1987 in occasione di un parigino Festival d'Automne nel quale sarà presentato anche il Prometeo.

Le vicende di Darmstadt sono stranote e compaiono ormai anche nei libri delle elementari. Resta il fatto che nell'accostarsi a Nono non si può non accennare al clima visionario e assetato di nuovo che si respirava ai Ferienkursen della cittadina tedesca. Nono ci va per la prima volta nel 1950 su esortazione di Maderna e Scherchen che gli avevano consigliato di inviare le
Variazioni Canoniche.

La prima esecuzione di quest'opera suscita un certo clamore, ma contribuisce ad ammettere Nono nella cerchia degli appartenenti alla Neue Musik, etichetta forgiata all'epoca per riunire, un po' forzatamente a dire il vero, un nutrito gruppo di giovani sperimentatori che avrebbe segnato in modo forte l'esperienza musicale del mezzo secolo successivo. A quel tempo Darmstadt non era tanto un luogo di vacanza per compositori appartenenti a una medesima scuderia quanto piuttosto un crocevia dove gli incontri fra Berio, Boulez, Maderna, Stockhausen, Henz, ecc. avevano per tema non soltanto il superamento dell'estetica dodecafonica ma anche l'attacco diretto e polemico alle istituzioni musicali occidenatali, ree di continuare ad arroccarsi intorno a un concetto di tradizione ormai superato dagli eventi. Si trattava di una posizione che aveva ovviamente implicazioni politiche e sociali e poneva in modo deciso la musica a contatto con la società. La figura di Nono assunse in tale contesto un rilievo particolare, da un lato portando alle estreme conseguenze la serializzazione dei parametri musicali (estendendo il procedimento, oltre che alle altezze, anche alle intensità, alle durate, ai timbri) ed evitando che l'insegnamento di Webern invece di essere metabolizzato dalla nuova avanguardia venisse a poco a poco posto nell'angolo dell'accademismo, dall'altro mostrando un impegno politico entusiasta e un atteggiamento aperto verso le questioni del mondo. Il limite del tentativo di giungere a una musica del tutto pianificata e controllata sarebbe apparso chiaro di lì a non molto allo stesso Nono che operò presto per una semplificazione della prassi, conscio della possibilità di cadere nel dogmatismo più deleterio. L'esperienza di Darmstadt permise inoltre a Nono di avvicinarsi a Edgar Varèse, un nome che egli stesso ha più volte dichiarato di essere parte integrante della sua ispirazione.

Per chi come Nono ha condotto la propria esistenza sul filo della scoperta l'incontro con la tecnologia non poteva non rivelarsi denso di significati. Anche se in fin dei conti Nono si avvicina con una certa lentezza al mezzo elettronico (i primi approci risalgono al 1960 con il brano
Omaggio A Emilio Vedova per nastro magnetico a quattro tracce), condizionato dall'innata propensione a riflettere in profondità su tutto ciò che avviene attorno a lui. La questione che si poneva già negli anni Cinquanta concerneva se fosse stato giusto utilizzare strumenti tecnici prodotti da "enti" che la sua fede politica gli imponeva di contrastare. Esperimenti e contraddizioni a parte, il vero contatto con l'elettronica data al 1964 con La Fabbrica Illuminata, per voce e nastro magnetico, su testi di Cesare Pavese e Giugliano Scabia (che aveva registrato e assemblato dialoghi di operai dell'Italsider). I rumori dell'altoforno combinati a suoni e parole danno l'avvio a una stagione di ricerca che opera nel senso dell'intreccio dei materiali, trasferiti dal loro contesto abituale e posti a confronto dialettico, senza minimamente far pensare a operazioni di incollaggio posticcio. L'uso del nastro diviene una costante lungo tutti gli anni Sessanta e Settanta per poi approdare come naturale conseguenza ai "live electronics", all'esordio in Das Atmende Klarsein e Io, frammento dal Prometeo (1981), e destinati a contraddistinguere l'intera produzione successiva di Nono. Da un punto di vista meramente tecnico per Nono si tratta di un salto di qualità importante ma indubbiamente sofferto, perchè significa abbandonare il pioneristico studio di fonologia della RAI di Milano e ancor più il valente tecnico del suono Marino Zuccheri e raggiungere l'ipertecnologico Experimentalstudio Der Heinrich Strobel-Stiftung Des Sudwestfunks di Friburbo fondato da Hans Peter Haller. Nono trova a sua disposizione harmonizer, vocoder, delay, halaphon e quant'altro serva a una elaborazione in tempo reale dei suoni, che nello stesso momento in cui risuonano possono essere trasformati, selezionati, regolati. Mentre in quell'angolo di Foresta Nera nascono opere quali Quando Stanno Morendo. Diaro Polazzo n° 2 (1982), Guai Ai Gelidi Mostri, Omaggio A Gyorgy Kurtàg (1983), A Pierre (1985), Risonanze Erranti (1986), Cominantes... Ayacucho, Post-Prae-ludium n° 1 (1987), lo studio di Milano decade irrimediabilmente per il disinteresse dei vertici RAI e si chiude all'italiana la storia di un lungo davvero leggendario. L'ultimo nastro che Nono vi registrerà è per ...Sofferte Onde Serene... (1974-76) pensato per il pianoforte di Maurizio Pollini.

E' opinione corrente che il quartetto d'archi
Fragmente-Stille, An Diotima, composto tra il 1979 e il 1980, segni un punto di svolta importante nel percorso creativo di Nono, proponendosi in musica come un preludio anticipatore della fine delle utopie e del connesso contenuto politico di cui il compositore era stato sino ad allora appassionato interprete. Pur se è indubbio che la produzione degli anni Ottanta si presenti sensibilmente diversa da quella dei tre decenni precedenti, intentare un processo a Nono sulla base del suo presunto venir meno all'impegno civile a favore di uno spiritualismo venato di misticismo ci pare francamente fuori luogo. Nono e la sua musica hanno subito nel tempo un'evoluzione costante, com'è nell'ordine normale delle cose, senza per questo rinunciare mai alla ricerca di nuovi percorsi e, in fin dei conti, all'utopia. Anzi, a guardarla con il distacco di un ulteriore decennio, quanto coerente appare la sua esistenza se paragonata ai tanti agitatori politici, artisti impegnati e critici musicali barricadieri sessantottini che hanno terminato la loro lumnosa carriera rispettivamente in banca, a Canale 5 e a intervistare i Pooh senza vergognarsene nemmeno per un istante.

Nel 1985 Nono compie un viaggio in Spagna. A Toledo, sul muro di una chiesa francescana, il suo sguardo sempre vigile incrocia una frase che lo accompagnerà sino alla fine dei suoi giorni: "Caminantes, no hay caminos, hay que caminar" (per voi che camminate, non ci sono strade segnate, eppure bisogna camminare). L'indicazione sarà un'ulteriore fonte di ispirazione per una trilogia di lavori di rara bellezza:
Caminantes... Ayacucho (1987, per contralto, flauto, organo, due cori, orchestra e "live electronics"), No Hay Caminos, Hay Que Caminar... Andrej Tarkowskij (1987, per orchestra) e Hay Que Caminar Sognando (1989, per due violini). Insieme a La Lontananza Nostalgica Utopica Futura (1988, madrigale per violino e otto nastri magnetici), legato ai precedenti da evidente affinità (il movimento del suono nello spazio), compongono un estremo lascito che apre un ulteriore squarcio agli "infiniti possibili" dell'uomo-viandante, continuamente scosso dall'ansia di rimettere tutto in questione. Quel particolare Wanderer, per dirla con Nitzsche, che potremmo e dovremmo essere sempre tutti noi, come ci ha mostrato con grande chiarezza, nella vita e nell'arte, Luigi Nono.

Piercarlo Poggio da Blow Up  n° 55 dicembre 2002


- ...Sofferte Onde Serene... / A Floresta E' Jovem E Cheja De Vida
(1979) Deutsche Grammophon 2531 004 - vinile

1. ...Sofferte Onde Serene...
(1976) - 2. A Foresta E' Joven E Cheja (1965-66) - 3. A Foresta E' Joven E Cheja (seconda parte)

Musicians:
Maurizio Pollini, Liliana Poli, Kadigia Bove, Elena Vicini, Berto Troni, William O. Smith, Bruno Canino
(direttore d'orchestra)

Recorded at Studio di Fonologia, Milano
Engineering by Marino Zuccheri
Cover photo by Anette Lederer

Mentre si approfondisce sia l’amicizia con Maurizio Pollini, che la stupefatta coscienza mia per il pianismo, un duro vento di morte spazzò “l’infinito sorriso delle onde” nella famiglia mia e in quella di Pollini.
Questa comunanza ci accomunò ancor più nella tristezza dell’infinito sorriso di “...sofferte onde serene...”. La dedica: A Maurizio e a Marilisa Pollini significa anche questo.
Alla mia casa, alla Giudecca in Venezia, giungono continuamente suoni di campane varie, variamente ribattute, variamente significanti, di giorno e di notte, attraverso la nebbia e con il sole. Sono segnali di vita sulla laguna, sul mare. Inviti al lavoro, alla meditazione, avvenimenti.
E la vita vi continua nella sofferta e serena necessità “dell’equilibrio del profondo interiore”, come dice Kafka.
Pollini, pianoforte dal vivo, si amplia con Pollini, pianoforte elaborato e composto su nastro. Non contra-stante, nè contra-punto. Registrazioni di Pillini fatte in
studio, sopratutto attacchi di suoni, la sua percussione estremamente articolata sui tasti, vari campi intervallari, sono stati ulteriormente composti su nastro, sempre nello Studio di Fonologia della RAI di Milano, con l’assistenza di Marino Zuccheri. Ne risultano due piani acustici, che spesso “con-fondono”, annullando spesso l’estraneità meccanica del nastro.
Tra essi due sono stati studiati rapporti di formazione del suono. Compreso l’uso delle vibrazioni dei colpi di pedale, forse particolari risonanze “nel profondo interiore”. Non “episodi” che si esauriscono nella successione, ma “memorie” e “presenze” che si sovrappongono, in quanto memorie, in quanto presenze che si con-fondono, esse sì, con le “onde serene”.

Luigi Nono dalle note di copertina

Composta tra il 1965 e il 1966. Eseguita in prima assoluta al Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia nel 1966. Dedicata al Fronte di Liberazione del Vietnam.
Testi raccolti da Giovanni Pirelli. a) dal vivo (voci: soprano Liliana Poli, attrici Kadigia Bove e Elena Vicini, attore Berto Troni): undici momenti della lotta antimperialista, di riflessione, di difficoltà, di sconfitta, di lamento, di coscienza e di determinazione alla continuità di dura e lunga lotta, di interrogativi. b) testi composti su nastri magnetici (voci: Living Theatre, attrici Franca Piacentini e Enrica Minini, Kadigia Bove e Elena Vicini, soprano Liliana Poli): frammenti dall’appello del comitato americano per la cessazione della guerra in Vietnam, e “dall’escalation” teorizzata da Herman Kahn, esperto militare del Ministero della Difesa americano.
Materiali acustici: a) prodotti con nuova tecnica dal clarinettista americano William O. Smith b) emessi dalle voci e dal Living Theatre, in comune ricerca secondo specificità delle caratteristiche vocali personali, e in rapporto alla specifica fonetica dei testi, in lingua originale, e registrati con varia tecnica di uso di microfoni condensatore. Mobili e fissi, in studi, acusticamente differenziati, della RAI di Milano. c) ricavati da 5 lastre di rame, di differente spessore, usate anche dal vivo. d) prodotti elettricamente nello Studio di Fonologia della RAI di Milano
La sperimentazione e la scelta dei materiali si sono svolte in comune ricerca e analisi critica tra tutti i partecipanti, in rapporto sia alle loro qualità tecnico-acustiche, che alla semantica dei testi. La successiva elaborazione e composizione sui nastri (2 nastri a 4 piste) è avvenuta nello Studio di Fonologia della RAI di Milano, con la fedele collaborazione del tecnico Marino Zuccheri. Per le parti dal vivo, con gli undici momenti, la composizione è avvenuta in
stretta partecipazione con le 4 voci e con il clarinettista.

Luigi Nono dalle note di copertina