Traffic
album in
pagina
-
On
The Road
- The
Low Spark Of High Heeled Boys
Un giovane, talentuoso musicista amante
del rhythm'n'blues, tale Stephen Winwood -per gli amici più
semplicemente Stevie-, nell'estate del 1963 dà vita ad un gruppo che
comprende il fratello Muff (basso), Spencer Davis (chitarra e voce) e
Peter York (batteria). Inizialmente la formazione prende il nome di
Muff Woody Jazz Band ma, poco più tardi, in mancanza di un nome più
originale, cambia in Spencer Davis Group. I quattro giovani musicisti
propongono una miscela di "british-blues e soul"; una volta
ottenuto un contratto discografico con la Island Production, iniziano
a sfornare una serie di singoli che non hanno alcun successo. Col
passaggio alla Decca nel 1966, il quarto singolo Keep
On Running tocca la vetta
della classifica inglese. La conferma arriva con i successivi Gimme
Some Lovin' e I'm
A Man ma nonostante ciò, la
struttura musicale del gruppo si mostra limitante per le velleità
artistiche di Stevie Winwood. Così, il musicista lascia il gruppo ed
entra a far parte per un breve periodo dei Powerhouse di Eric Clapton,
prima che quest'ultimo dia vita al monumentale trio
chitarra-basso-batteria dei Cream.
Nei primi mesi del 1967 Winwood incontra il batterista Jim Capaldi, il
polistrumentista Dave Mason e il flautista e sassofonista Chris Wood,
reduce dai Locomotive. Provenienti da Birmingham, i quattro si
stabiliscono in una fattoria del Berkshire dove trovano la giusta
dimensione e le necessarie energie per creare una brillante fusion di
folk, rock, blues e soul. La stagione dei consensi ha già inizio con
i primi due singoli, Paper
Sun è un eccellente
raga-rock con reminescenze psichedeliche e con un interessante uso del
sitar da parte di Dave Mason, mentre Hole
In My Shoes è un'ironica
filastrocca che raggiunge i vertici delle hit.
Sul finire del 1967 esce in Gran Bretagna l'atteso primo album dei
Traffic, Mr. Fantasy.
In virtù delle molteplici e diverse esperienze e delle grandi
aspirazioni che caratterizzano i musicisti, il lavoro si mostra maturo
e sembra uscire proprio al momento giusto, in un periodo di grandi
trasformazioni in ambito musicale, con l'eco del beat e della
psicadelia appena spenta. La musica dei Traffic è una fusion
intelligente in cui risonanze folk-blues e rock coesistono
egregiamente, mentre i musicisti si mostrano pronti a coinvolgere le
platee con una sperimentazione che spalanca le porte ad una nuova era:
quella del progressive.
Il disco raccoglie ballate folk-rock d'intenso calore, come Heaven
Is In Your Mind,
sapientemente condotta dal piano honky-tonk e dalla voce di Winwood, e
No Face No Name Number,
avolta da un inarrivabile romanticismo e da un incedere melodioso,
anticipando così la tendenza che dominerà il rock dei primi anni
'70. Brani come Coloured Man
risentono ancora delle influenze psichedeliche, come pure Utterly
Simple che Dave Mason, con
il sitar, conduce verso lidi orientaleggianti. Il "british-blues"
vive nello strumentale Givin'
To You, mentre Dear
Mr. Fantasy è il vero pezzo
portante dell'album. La voce di Winwood, soffocata e sofferta, quasi
strozzata, insieme alla chitarra e all'armonica, con il deciso
sostegno di Capaldi, tessono una struttura musicale imponente in un
roboante crescendo che mozza il fiato: un brano di rottura che
sancisce il definitivo approdo della musica del futuro.
Sebbene acclamati da più parti, i Traffic covano alcune frizioni
interne tra il geniale Winwood e l'istrionico Mason, il quale si
allontana momentaneamente per una collaborazione con gli Stones prima
di raggiungere gli appena formati Family. Sarà forse per questo che
l'edizione italiana e quella statunitense del primo album dei
Traffici, pubblicate con ritardo ripetto all'edizione britannica,
riportano in copertina un terzetto, senza apputo Dave Mason. In ogni
caso, nell'estate del 1968 i quattro componenti si ritrovano per
registrare il secondo album, pubblicato nell'ottobre di quell'anno. Il
disco, intitolato semplicemente Traffic,
sembra fare un passo indietro rispetto a quell'esordio. Da un lato i
brani scritti da Mason conservano un'impostazione tradizionale,
incline ad un rock lineare (You
Can All Join In, Don't Be Sad, Feelin' Alright?);
dall'altra Winwood e Capaldi autori di brani più incisivi come Forty
Thousand Headmen e No
Time To Live, ma sopratutto Pearly
Queen.
Seppure ricco di notevoli spunti, sembra comunque che il lavoro metta
a nudo le incertezze che regnano all'interno del gruppo e che
accompagnano anche l'uscita del terzo album, Last
Exit, del maggio 1969. Il
long playing presenta nella prima facciata cinque brani inediti,
mentre nella seconda sono presenti due lunghi classici rhythm'n'blues,
registrati dal vivo al Filmore West. Shangai
Noodle Factory, Something
Got A Hold Of My Toe e Medicated
Goo sono i brani migliori
della parte da studio, mentre risulta più godibile quella dal vivo,
con i musicisti liberi da schemi preordinati e sicuri di potersi
esprimere al meglio delle proprio possibilità lasciando spazio
all'inventiva e al calore nato dal contatto col pubblico.
Last Exit,
come se tutto fosse già stato scritto, è proprio l'ultima uscita
della band dal momento che Winwood scioglie i Traffic. Il leader non
è probabilmente soddisfatto del cammino sin qui intrapreso e stringe
ancor più l'antica amicizia che lo lega ad Eric Clapton mettendo a
fuoco un ambizioso quanto narcisistico progetto musicale: i Blind
Faith. Nasce il primo, vero "supergruppo" studiato a
tavolino. Winwood mette tutto il suo talento a disposizione di Clapton,
Ginger Baker (entrambi ex Cream) e Rick Grech (ex Family). Le tre
composizioni migliori sono firmate dal cantante e tastierista; Sea
Of Joy e Had
To Today sono vere e proprie
gemme che godono, peraltro, dell'eccelso apporto stilistico
dell'intero gruppo. I Blind Faith si presentano ufficialmente il 7
giugno 1969 ad Hide Park, davanti ad una folla oceanica, per chiudere
la loro avventura con una tournèe americana. Nel gennaio del '70 del
supergruppo non resta già più alcuna traccia e Winwood richiama
attorno a sè solo Jim Capaldi e Chris Wood.
Il distaco di Mason sembra giovare ai tre musicisti, che si presentano
qualche mese più tardi con un 'lp ricco di immaginazione e dalle
marcate inflessioni jazz. I Traffic riguadagnano popolarità e
credibilità con un capolavoro ricco di fantasia, caratterizzato da
una sfrenata vena compositiva unita ad una carica emotiva ed a superbi
arrangiamenti che cancellano le incertezze e la maturità ancora
acerba dei precedenti episodi. John
Barleycon Must Die, questo
il titolo del 33 giri, è una vera antologia che si apre con lo
strumentale Glad
(usato poi come sigla di alcuni programmi radiofonici), condotto dal
piano di Winwood e dal sax di Wood. Questo magistrale rock-jazz, nel
suo continuo mutare, finisce col dissolversi lentamente fino ad
incontrare le armonie del successivo Freedon
Rider. La voce di Winwood si
impadronisce nuovamente della scena e il brano che segue, Empty
Pages, sapiente rhythm'n'blues
venato di jazz, genera forti emozioni. Nella seconda facciata ancora
un blues sofferto (Every
Mother's Son) ed anche una
"folk song" tradizionale riarrangiata da Winwood e
trascritta in una delle pagine più importanti della storia del rock.
La stessa ballata John
Barleycon è avvolta da
un'aura di romanticismo che si basa su un delicato arpeggio di
chitarra e sul magico accompagnamento del flauto, suscitando
un'armoniosa quanto immortale emozione.
La raffinatezza dell'album tocca l'apice della parabola musicale della
band, la quale non riuscirà mai più a raggiungere risultati
paragonabili a questo. Infatti, al maestoso successo di John
Barleycon Must Die segue il
disordinato approcio ad una fusione di correnti musicali diverse e
all'amplimento dell'organico. Rientra Dave Mason e la line-up si
estende a Rick Grech al basso, Jim Gordon alla batteria e Reebop Kwaku
Baam alle percussioni. Sarà il suono a risentirne maggiormente,
avvicinandosi in modo troppo esplicito agli stilemmi del soul. La
conferma è in Welcome To The
Canteen, registrato dal vivo
al Fairfield Hall di Croydon, Londra, nel luglio 1971, dove classici
come Dear Mr. Fantasy
o Medicated Goo
perdono la caratteristica freschezza dei suoni. L'ennesima dipartita
di Mason è seguita, nel novembre dello stesso anno, dalla
pubblicazione di un nuovo album da studio: The
Low Spark Of High Heeled Boys.
Decisamente distante da quello dei precedenti lavori, il suono perde
di colpo freschezza ed originalità. I brani scorrono a fatica, privi
del piglio creativo e dell'immediatezza che avevano caratterizzato i
Traffic nel recente passato. Il nuovo corso investe anche il lavoro
seguente, Shoot Out At The
Fantasy Factory, del 1973.
Cambia ancora la formazione con Roger Hawkins e David Hood al posto di
Rick Grech e Jim Gordon. La title-track, che apre la prima facciata,
insieme a Roll Right Stones,
lungo brano di oltre dieci minuti, fanno assaporare piacevoli momenti
di rock e rhythm'n'blues. Nel secondo lato, Tragic
Magic è il brano migliore;
intento, persino Winwood sembra ammettere di aver perso la sua vena
creativa nel pezzo conclusivo Sometimes
I Feel So Unispired.
Sempre nel 1973 viene pubblicato l'ennesimo disco live, il validissimo
doppio On The Road,
una fresca riproposta di brani già noti con uno stile spiccatamente
jazz.
All'inizio del '74 Winwood pensa di tornare alle origini riformando il
terzetto con Capaldi e Wood. Con l'aiuto di Rocko Gee al basso, i
Traffic immettono sul mercato When
The Eagle Flies, ultimo
capitolo prima dell'imminente scioglimento. Pezzi come Dream
Gerrard e When
The Eagle Flies rimettono le
cose a posto, suggellando onorevolmente il commiato di un gruppo
troppo spesso prigioniero della propria continuità.
Franzo Brizi da
Raro n° 159 ottobre 2004
|
- On The Road
(1973) Island isdl 2 - vinile
1. Glad - 2. Freedom Rider - 3. Tragic Magic - 4. (Sometimes I Feel So)
Uninspired -
5. Shoot
Out At Fantasy Factory - 6. Light Up Or Leave Me Alone - 7. Low Spark Of High Heeled
Boys
Musicians:
Steve Windwood, Roger Hawkins, Jim Capaldi, Barry
Beckett, David Hood, Chris Wood, Reebop Kwaku Baah
Produced by Steve Windwood and Chris
Blackwell
Recorded live in tour in Germany
Engineering by Brian Humphries
Cover by Ann Borthwick
I Traffic
sono stati il capolavoro di Steve Windwood.
Nessuna esperienza musicale cui partecipò il giovane
musicista prodigio di Birmingham fu più stimolante di
questa, e poche lasciarono un segno così visibile nella
storia del rock.
Il tutte era iniziato nell'aprile del '67, quando Steve
lascia lo Spencer Davis Group, apparentemente senza alcun
valido motivo, ma in realtà per sfuggire l'immagine di
leader che la critica gli stava disegnando addosso, e per
inseguire le proprie fantasie musicali.
Il ritiro con tre amici (Chris Wood, Jim Capaldi, Dave
Mason) in un cottege del Berkshire darà come risultato My
Fantasy, lo splendido album di debutto,
sotto il marchio Traffic.
Dal R&B e soul, elementi determinanti nella musica
dello Spencer Davis Group, si passa una miscela,
assolutamente inedita, di jazz, rock e folk.
Le atmosfere diventano addirittura più delicate.
On The Road, l'album
in oggetto, è del 1973, ed in un certo senso rappresenta
il lavoro di commiato verso il proprio pubblico, anche se
cisarà, l'anno successivo, l'interessante When
The Eagle Flies a chiudere
definitivamente il capitolo.
Alle spalle di On The Road c'erano, invece, sette
bellissimi album che scandivano i momenti più importanti
di una tormentata unione artistica, ma non priva di
frequenti cambiamenti di organico e di scioglimenti
temporanei.
Il nucleo fisso attorno a cui ruoteranno le diverse
formazioni è quello costituito da Steve Windwood, Jim
Capaldi e Chris Wood.
Dopo i primi tre albums avviene lo svioglimento che
permetterà a Windwood di partecipare ai Blind Faith.
Non passeranno molti mesi ed il nucleo dei Traffic sarà
di nuovo assieme: per farsi perdonare ci regaleranno il
capolavoro che risponde al nome di John
Barleycorn Must Die.
Siamo verso la metà del 1970 e quell'album lascia senza
fiato tutti coloro che avevano seguito le vicende e la
musica di Windwood e compagni: l'interesse verso il folk
si fa più marcato, ma anche il jazz ha una presenza
determinante, e composizioni come Glad
diventano uno di quei motivi che possono identificare
immediatamente un'epoca musicale.
Prima di On The Road i
Traffic ci avevano già dato altre due prove dal vivo: la
prima è una facciata di Last Exit
del '69, e l'altra è l'ottima Welcome
To The Cantin, registrato in parte a
Croydon ed in parte a Londra nel 1971. Nel tour in
Germania del '73, da cui verrà tratto il doppio album,
la formazione è quella che ha partecipato alla
registrazione di Shoot Out At The
Fantasy Factory (1973) con l'aggiunta
di Barry Beckett alle tastiere.
Ciò significava Steve Windwood (voce, chitarra e piano),
Jim Capaldi (voce, percussioni e batteria), Chris Wood
(sax e flauto), David Head (basso), Roger Hawkins
(batteria), Rebop Kwaku Baah (percussioni).
La prima facciata, ovvero i primi 20 minuti filati di
musica affascinante, sono divise tra Glad
e Freedom Rider.
Glad, aveva già fatto
la sua prima comparsa sul disco John
Barleycorn Must Die, è una
composizione strumentale influenzata dal jazz.
Windwood al pianoforte e Chris Wood al sax elettrico sono
impareggiabili. Anche Freedom Rider,
che è cantato, appartiene all'album capolavoro dei
Traffic. In questo caso gli orizzonti musicali sono
ancora più dilatati in uno straordinario insieme di
rock, folk e jazz.
Tra le due composizioni non c'è soluzione di
continuità, per cui è quasi impercettibile il passaggio
da un lavoro all'altro.
Anche sulla seconda facciata due pezzi lunghissimi: Tragic
Magic e (Sometimes
Fell so) Unispired, entrambi comparsi
per la prima volta sul disco Shoot Out
At The Fantasy Factory.
(Sometimes Fell So) Unispired
è una stupenda canzone in cui Windwood all'inizio
accompagna la propria voce con il pianoforte. In seguito
una chitarra si inserisce progressivamente nel gioco, ed
induce un'evoluzione che porta ad un finale, tutto
strumentale, dove la parte determinante è rivestita
proprio da quella chitarra, suonata quasi all'uso
psichedelico.
Il lato tre è saturato, anch'esso, da due linghe
composizioni, dove il ritmo diventa le'elemento
principale. Saranno le chitarre e le percussioni a
condurre il gioco, in questo caso. Shoot
Out At The Fantasy Factory è tratto
dall'album omonimo, e la versione live non si discosta
molto da quella di studio. Mentre la versione di Light
Up Or Leave Me Alone è abbastanza
stravolta rispetto all'originale, compreso nel disco The
Low Spark Of High Heelded Boys. E' la
preponderanza del ritmo, ottenuto con chitarre e
percussioni, a colpirci ripetutamente negli oltre dieci
minuti del pezzo.
L'ultima facciata infine, è occupata interamente da una
stupenda versione di The Low Spark Of
Hugh Heelded Boys di quasi diciotto
minuti. Alle percussioni di Rebop Kwaku Baah/Jim Capaldi
ed al sax di Wood è riservato l'onore dell'overture. Man
mano si aggiungono la voce, il piano e tutto il resto
dell'ensamble strumentistico in un'azione corale, che
rende questa composizione una delle più riuscite
dell'album. E neppure la sua struttura marcatamente
ritmica, riesce ad impedire le improvvise divagazioni
jazzistiche dei fiati e del pianoforte.
A questo punto aggiungere che si tratta di un album
veramente valido mi pare superfluo. Ad ognuno di voi è
data l'occasione di scoprire (o riscoprire) questa
creatura raffinata ed inimitabile che risponde al nome di
Traffic. Non è l'album capolavoro del gruppo, ma è, a
mio parere, migliore di qualsiasi antologia.
Alberto
Merletti da Mucchio Selvaggio n° 51 aprile 1982
- The Low Spark Of High Heeled Boys
(1971) Island ilps 19180 - vinile
1. Hidden Treasure 4.14 - 2. The Low Spark Of High
Heeden Boys 12.10
- 3. Light
Up Or Leave Me Alove 5.00 - 4. Rock'n Roll Stew 4.29 - 5. Many A Mile To Freedom 7.30 - 6. Rainmaker 7.39
Musicians:
Steve Windwood, Roger Hawkins, Jim Capaldi, Barry
Beckett, David Hood, Chris Wood, Reebop Kwaku Baah
Produced by Steve Windwood
Recorded at Island Studios
Engineering by Brian Humphries
Cover by Tony Wright
Dopo un disco dal vivo
incentrato sul repertorio dei primi Traffic, Welcome To The Canteen,
la formazione si amplia con Ric Grech (dai Family) e la sezione
ritmica di Derek & The Dominos, che danno ulteriore compattezza
strumentale al suono.
Il nuovo corso, di gran successo negli USA, prevede composizioni che
scorrono senza scosse, ampliate da fluidi arrangiamenti jazz,
atmosfere quasi bucoliche, e un tono di pacata prog jam lungo tutto
l'album.
Cesare Rizzi
da Underground & Progressive ed. Giunti
|