Captain Beefheart
album
in pagina:
- Trout
Mak Replica
-
Shiny Beat
- Strictly Personal
collabora in:
- V
(AAVV)
- Hot Rats
- The Lost Episodes
-
Bongo Fury
(Frank Zappa)
Due soldi
di notiziuole introduttive, innanzitutto. Don Vliet (il
Van verrà aggiunto qualche anno dopo) nasce a Glendale
in California il 15 gennio del 1941 e fin da piccolissimo
mosra notevoli doti nel campo delle arti figurative, al
punto di essere chiamato a partecipare, alla tenera età
di cinque anni, a un programma televisivo nel corso del
quale esibisce le sue sculture. L'enfant prodige, che
sembra essere già anche pittore di qualche pregio,
studia scultura sotto la guida del maestro Augustinio
Rodriguez. La famiglia però, lungi dall'aiutarlo,
addirittura lo ostacola - "i miei credevano che gli
artisti fossero tutti froci" ha dichiarato a tal
proposito il Nostro a Kristine McKenna - giungendo ad
impedirgli di sfruttare una borsa di studio per studiare
Belle Arti in Europa. Concluso il liceo il ragazzo pare
rassegnarsi a un'esistenza grigia e per qualche tempo -
udite udite! - lavora come manager in una catena di
negozi di scarpe. Dura poco, naturalmente. Troppo forti i
richiami del deserto (ai cui bordi è sempre vissuto e
che esercita su di lui un'attrazione fortissima - "
I was born in a desert" saranno le parole con cui si
aprirà il suo primo 33 giri), della musica (il blues,
scoperto ascoltando Robert Johnson, Jimmy Reed, Howlin'
Wolf, Lightin' Hopkins e Sonny Boy Williamson) e delle...
cattive compagnie rimproverategli dai genitori. Leader
delle quali è l'amico del cuore di Don fin dalla prima
classe della Hight School: si chiama - tapum! - Frank
Zappa.
All'epoca Zappa è tutto infervorato nella progettazione
e nella realizzazione, in pieno deserto, di filmetti
sperimentali a bassissimo costo. Dal titolo di una di
queste operine, Captain Beefheart Meets The Grunt People,
ideato congiuntamente dai dui fra i fumi della marijuana,
Don Van Vliet prende il suo nome di battaglia. E' il 1963
e del film non si farà mai nulla, così come a uno stato
men che embrionale rimarranno i vari gruppi vagheggiati
insieme dai due amici. Un anno dopo il primo dei tanti
divorzi Zappa/Beefheart si consuma. Mentre il baffuto
chitarrista si trasferisce in quel di Los Angeles e
comincia a organizzare le Mothers Of Invention il nostro
eroe si da da fare per mettere su la prima edizione della
Magic Band.
Scovati in quel di Lancaster quattro giovanotti
talentuosi che rispondono ai nomi di Alex St. Clair
(chitarra), Doug Moon (chitarra), Jerry Handley (basso) e
Paul Blakeley (batteria), il Capitano inizia a battere il
circuito californiano dei club, soffiando a pieni polmoni
nella sua armonica e berciando con la sua vociaccia dalla
poso usuale estensione di cinque ottave. La musica
suonata dalla Magica Banda è un muscoloso rhythm'n'blues
sgrezzato a colpi di accetta ma straordinariamente
efficace. A tal punto che prima che alcunchè venga posto
su vinile sorgono numerosi fan club e la A&M,
impressionatissima, si affretta a ingaggiare "Cuor
di Bue" e compagni. Il rapporto durerà sì e no un
anno. Il tempo di fare uscire due singoli di discreto
successo in California (il primo in special modo) ma che
falliscono l'ingresso nelle classifiche di vendita
nazionali. Alla A&M ciò non piace e meno ancora
piace l'album, molto convenzionale rispetto alle prove
che seguiranno ma indubbiamente più "avanti"
rispetto ai 45 giri, che Captain Beefheart And His Magic
Band propongono all'inizio del '66 per la pubblicazione.
"Too much weird" sentenziano i discografici e
il contratto è sciolto.
Safe As
Milk
vedrà la luce diversi mesi più tardi (i singoli di cui
si è detto sono stati raccolti nel 1984 in un mini-'Lp, The Legendary A&M
Sessions)
per la Buddah, completamente riregistrato da una Magic
Band nella quale nel frattempo John French aveva
rimpiazzato Paul Blakeley e un giovanissimo Ry Cooder,
reduce dall'esperienza con i Rising Sons di Taj Mahal,
aveva rilevato Doug Moon. Lavoro d'esordio fra i più
memorabili nella storia della nostra musica. Safe As Milk assequia a suo modo la tradizione del
blues elettrico: soguendone sovente i canoni ma
sconfinando altrettanto spesso dai suoi territori. l
Capitano canta come solo lui sa e Cooder ricama da par
suo lussuosi merletti chitarristici, sorretto da una
sezione ritmica che ha pochi uguali per versatilità e
scioltezza. L'agro blues di Where There's A Woman, il rude errebì di Sure Nuff N Yes, I Do, di Abba Zaba e di Dropout Boogie, il soul stranito di I'm Glad e il pop di Yellow Brick Road sono gli episodi che più colpiscono
in questo disco, all'epoca passato quasi inosservato
negli Stati Uniti e invece - nemo propheta in patria -
vendutissimo in Gran Bretagna.
Nel giugno del '67 a "Cuor di Bue" e accoliti
viene comunque offerta una grossa chance di diventare
popolari anche negli States: l'invito a partecipare al
festival di Monterey. Ma a Monterey la Magic Band, orfana
di Cooder (sostituito poco dopo da Jeff Cotton), non può
andare e il treno del successo sarà perso per sempre. In
compenso, la fama in Europa sta contemporaneamente
crescendo a dismisura, alimentata da curiose voci che
giungono dalla California e che dicono di concerti
trasformati in incredibili heppenings, con i membri della
Magica Banda che, fattisi crescere i capelli e gettate
alle ortiche giacche e cravatte, hanno tirato fuori da
chissà quali armadi bardature da manicomio (pregasi
porre a confronto le foto di Safe As Milk con quelle di Strickly Personal) con le quali si aggirano sul palco
suonando un miscuglio sempre più stralunato di blues e
di free jazz.
Mirror Man, album edito dalla Buddah nel '71
con note di copertina errate che ne fanno risalire la
registrazione in concerto al 1965 ('68 in realtà), è
l'unica documentazione disponibile di uno di questi show
e riempie di invidia per quanti ne furono testimoni.
Quattro lunghe composizioni jazzate, per un totale di
cinquanta minuti di durata, estrose e, a dispetto di più
di una spigolisità, fluide. Quattro brani che rivelano
in pieno il genio beefheartiano.
Mentre la Magic Band è per la prima nel Vecchio
Continente per presentare il suo spettacolo, a Los
Angeles il produttore Bob Krasnow ha la bella idea di
manipolare pesantemente, allo scopo di renderli più
psichedelici, i nastri dell'appena uscito Strickly Personal e di farli uscire in questa versione
riveduta e corretta (si fa per dire). Al ritorno a casa
il Capitano, furioso con Krasnow anche perchè ha venduto
i suddetti a due diverse etichette discografiche e li ha
poi pubblicati su una terza di sua proprietà provocando
un diluvio di carta bollata, giustamente se ne adombra e
disconosce il prodotto. Che ad ogni modo, alla faccia del
signor Krasnow e come anni dopo ammetterà lo stesso
Beefheart, "riluce come un diamante nel fango".
Uno splendido 'Lp, insomma.
Siamo dunque giunti alla fine del 1968 e Cuor di Bue e
compagni sono a spasso. In loro soccorso, dopo qualche
timida avance di Paul McCartney, giunge - indovinate chi
- Frank Zappa, nel frattempo assurto a fama planetaria e
fondatore di due case discografiche.
Forte di un contratto con la Straight che gli concede la
più assoluta libertà, Captain Beefheart scavalca senza
timore quegli argini mentali che fino a quel momento si
era limitato a lambire e confeziona, componendolo in una
seduta al pianoforte di otto ore e mezza consecutive (sia
detto, en passant, che non aveva mai suonato il piano
prima di allora), Trout
Mask Replica,
colossale, unico e irripetibile capolavoro di -
definizione rubata al maestro Bertoncelli - rock
dadaista. Dopo di che riorganizza il gruppo, mantenendo
della vecchia formazione Jeff Cotton e John French e
ingaggiando tali Bill Harkleroad (chitarra) e Mark Boston
(basso), ne ribatezza con assurdi pseudonimi i componenti
(Cotton diventa Antennae Jimmy Semens, Harkleroad Zoot
Horn Rollo, Boston Rockette Morton e French Drumbo) e si
rinchiude con loro e con un suo - così sembra - cugino,
un non meglio identificato Mascara Snake, in una villa in
pieno deserto nella quale per mesi e mesi le ventotto
canzoni vengono ossessivamente provate e riprovate, fino
a quando il loro autore non ne è soddisfatto. Tanto sono
lunghe le prove quanto si fa alla svelta in sala
d'incisione. Il tutto viene posto su nastro in quattro
ore e mezza, che il mito vuole che Zappa, che poi si
accrediterà come produttore, abbia trascorso dormendo
alla grossa sul mixer.
Opera totalmente "aliena" fin dalla sua
allucinante foto di copertina (il celebre uomo pesce: lo
scatto che sul retro immortala la Magic Band fa
adeguatamente il paio) Trout
Mask Replica
è quanto di più disturbante e folle, di una follia
sonora e poetica lucidissima, la storia del rock ricordi.
Nessun paragone è possibile per dire di questa - si
permetta il paradosso - organizzatissima anarchia. Il
blues può essere ancora tirato in ballo, d'accordo, e
una certa influenza di quei jazzisti che il Capitano, che
in questo doppio album mette da parte l'armonica e
imbraccia sax e clarino, riconosce come modelli (Eric
Dolphy, Archie Sheep, Albert Ayeler e Ornette Coleman) è
qui e là individuabile, ma il risultato finale è
"altro" rispetto a qualsiasi cosa sia stata
impressa su vinile, prima e dopo. Lavoro che suona
tuttora avanguardista fino all'eccesso e tuttavia non è
affatto indigeribile (basta accostarvi con pazienza e
mente aperta), Trout
Mask Replica resterà
inimitabile oper tutti, Beefheart compreso. Venderà
ovviamente pochissimo, con la consueta eccezione del
Regno Unito, e soltanto una recensione entusiasta su
Rolling Stones del compianto Lester Bangs gli eviterà di
terminare in breve fra i "tagliati".
Inconcepibile una replica della Replica, Lick My Decals Off, Baby provvede comunque, nel 1970, a
raccoglierne l'eredità con innarivvabile classe. Mascara
Snake se n'è andato, sostituito dall'ex Mothers Of
Invention Art Tripp (Ed Marimba) e la musica, i cui
elementi costitutivi non sono sostanzialmente mutati, ha
smussato i suoi angoli più taglienti, si è addolcita.
Perdendo qualcosa in genialità ha acquistato in
compattezza. Un altro disco imperdibile, a farla breve.
Se non irripetibili perlomeno buonissimi sono i due 'LP
successivi, The
Spotlight Kid e
Clear Spot, pubblicati rispettivamente nel '71
e nel '72 dalla Reprise, una dipendenza come la Straight
della Warner Bros., dopo che Cuor di Bue, irritato da
campagne pubblicitarie che lo presentava come un freak
demente e contestandogli i diritti d'autore non pagati,
aveva mandato a quel paese Frank Zappa. Sono i due
vinili, in special modo il secondo, molto negroide, più
piacevoli nella discografia beefheartiana, i più
(intelligentemente) canzonettari. Canzonette, però, di
fattura non di rado ardita (relativamente, per il
Capitano) e di spessore artistico notevole.
Le stesse cose non si possono dire di quelle che
compongono Unconditionally
Guaranted
e Bluejeans
& Moonbeans,
opere partorite da Captain Beffheart nel 1974 nel corso
del suo sciagurato soggiorno britannico (si era
trasferito in Gran Bretagna, Cuor di Bue, perchè era
l'unico paese ove il seguito dei fans era realmente
numeroso) e edite dalla Virgin. In esse il processo di
normalizzazione dell'arte beefheartiana prosegue e il
piede va a premere il pedale della commercializzazione
più deteriore. Le canzonette di Unconditionally Guaranted
e di Bluejeans & Moonbeans (meno peggio il primo) non hanno
nemmeno un briciolo della verve di quelle dei due albums
precedenti e non meritano altro, tolte due o tre
eccezioni, che l'oblio.
A complicare la vita del Capitano e a rendere un vero
disastro la sua permanenza in terra d'Albione accade
inoltre che, terminate le registrazioni del primo dei due
dischi, la Magic Band, che aveva già perso qualche pezzo
per strada, lo pianta in asso. Il divorzio è parecchio
burrascoso e ci vorranno anni per saldare le fratture a
livello di rapporti umani.
Scornatissimo, Beefheart tenta di ricostruire il gruppo
assoldando mercenari inglesi, fallisce e torna mestamente
in patria. Appena giuntovi compie un'inattesa giravolta e
va a bussare alla porta di Zappa, presenta deferenti
scuse per le vecchie polemiche e si aggrega in tour alle
Mothers.
Artisticamente poco rilevanti i risultati che ne
consegueno. Bongo
Fury è
accreditato congiuntamente a Frank Zappa e a Captain
Beefheart ma è quasi tutta farina di Zappa, e non della
migliore.
Il baffo maledetto esce definitivamente da questa storia.
Capitan Cuor di Bue, dopo una tournèe britannica nel
novembre '75 con una Magic Band che ha recuperato John
French "Drumbo" e Elliot "Winged Eel
Fingerling" Ingber (in organico in The Spotlight Kid, sparisce per lungo tempo.
Riappare fra la sorpresa generale nel 1978, con
un'edizione nuova di zecca della Magica Banda (vi è
solamente un superstite, Art Tripp, delle precedenti
formazioni; due musicisti, Jeff Moris Tepper, chitarrista
di buona lega, e Eric Drew Feldman, eccellente
polistrumentista, suoneranno anche nei due lavori
seguenti) e con un 'Lp per la Warner Bros., Shiny Beast, di superba bellezza, che rispolvera
gli antichi amori blues e jazz e li miscela
magnificamente con inediti aromi centroamericani (Tripical Hot Dog Night, Candle
Mambo),
coloriture zappiane (Ice
Rose, Suction Prints) e una scintillante vena
cabarettistica (Harry
Irene). La
critica è in visibilio e il pubblico, stimolato
probabilmente dai continui omaggi a Beefheart di molti
esponenti di spicco del nuovo rock (i Tubes, i Buzzcocks
e John Lydon i primi nomi che vengono in mente), segue
questa insperata e inattesa rentrèe con simpatia.
Un dipinto e due disegni di Don Van Vliet, la cui firma
era già apparsa sul retro della confezione di Lick My Decals Off, Baby, adornano copertina e busta interna
di Shiny
Beast. I
due albums seguenti, gli ultimi di Captain Beefheart,
avranno ancora copertine siglate Don Van Vliet, chiaro
annuncio del prevalere imminente del pittore sul
musicista.
Aveva giurato Cuor di Bue, dopo Lick My Decals Off, Baby, eterna inimicizia a Zappa; dopo Clear Spot che non avrebbe mai più inciso per
la Warner Bros; dopo Blujeans
& Moonbeans
che mai e poi mai sarebbe tornato alla Virgin.
E proprio la Virgin che pubblica - il primo nel 1980, il
secondi due anni dopo - Doc
At The Radar Station e Ice
Cream For Crow,
due ottimi lavori che insieme confermano la ritrovata
forma del Capitano e costituiscono i suoi ultimi segnali
di vita.
Meno scanzonati di Shiny
Beast
(aleggia palpabile sul secondo un senso di
claustrofobia), sono un testamento, se Captain Beefheart
non dovesse più risorgere, assai più che semplicemente
dignitoso. (...)
Eddy Cilia da Velvet n° 1 ottobre 1988
|
- Trout Mask Replica
(1969) Reprise 927 196 - cd
1. Frowland 1.39 - 2. The Dust Blows Forward'n
The Dust Blows Back 2.04 - 3. Dachau Blues 2.21 - 4. Ella Guru 2.23 - 5. Hair Pie: Bake 1 4.57 - 6. Moonlight On Vermount 3.55 - 7. Pachuco Cadaver 4.37 - 8. Bills Corpse 1.47 - 9. Sweet Sweet Bulbs 2.17 - 10. Neon Meate Dream Of
Octafish 2.25
- 11.
China Pig 3.56
- 12. My
Human Gets Me Blues 2.42 - 13. Dali's Car 1.25 - 14. Hair Pie:Bake 2 2.23 - 15. Pena 2.31 - 16. Well 2.05 - 17. When Big Joan Sets Up 5.19 - 18. Fallin' Ditch 2.03 - 19. Sugar'n Spikes 2.29 - 20. Ant Man Bee 3.55 - 21. Orange Claw Hammer 3.35 - 22. Wild Life 3.07 - 23. She's Too Much For My
Mirror 1.42
- 24. Hobo
Chang Ba 2.01
- 25. The
Blimp 2.04
- 26.
Steal Softly Thru Snow 2.13 - 27. Old Fart At Play 1.54 - 28. Veteran's Day Poppy 4.30
Musicians:
Captain Beefheart, Zoot Horn Rollo, Antennae Jimmy
Semens, The Mascara Snake, Rockette Morton, Doug Moon
Produced by Frank Zappa
Engineering by Dick Kunh
Cover by Carl Schenkel
La
genialità sferragliante di Captain Beefheart macera un
gusto dadaista della sperimentazione nei fumi del Delta
Blues e confeziona un lavoro grande e terribile.
E' un doppio album dal percorso irto di asperità (per
l'ascoltatore, non per Beefheart che lo ha inciso di
getto): lunghe, disarticolate disgressioni del sapore
free affiancano sprazzi densi e contorti; brusche
interruzioni musicali introducono stentoree declamazioni
in rima; ritmica frammentata,, intrichi strumentali
sconclusionati fanno da tappeto alla voce sferzante e
brutale del Capitano, capace di scoppi laceranti da cui
trasudano Howlin Wolf
e Bukka White; le
liriche che si aggrovigliano in questo tempestoso insieme
splendono della luce obliqua dei più folli non-sense.
L'affresco sonoro che ne risulta è inimitabile per stile
e forza espressiva.
Marco
Longhi
da Buscadero n° 100 febbraio 1990
- Shiny Beast
(Bat
Chain Puller)
(1979) Virgin Records v 21 49 - vinile
1. The Floppy Boot Stomp 3.51 - 2. Tropical Hot Dog Night 4.48 - 3. Ice Rose 3.27 - 4. Harry Irene 3.42 - 5. You Know You're A Man 3.13 - 6. Bat Chain Puller 5.26 - 7. When I See Mommy I Feel
Like A Mummy 5.03
- 8. Owed
T'Alex 4.04
- 9.
Candle Mambo 3.23
- 10. Love
Lies 5.00
- 11.
Suction Prints 4.20
- 12.
Apes-Ma '38
Musicians:
Captain Beefheart, Jeff Moris Tepper, Bruce Lambourne
Fowler, Eric Drew Feldman, Richard Redus, Robert Arthur
Williams, Art Tripp III
Produced by Captain Beefheart and Pete Johnson
Recorded at the Automatt, San Francisco
Engineering by Glen Kolotkin
Cover painting by Captain Beefheart
La verità è che la redenzione è
pronta da tempo, ma al solito Beefheart ha problemi con i discografici
quando canta a modo suo. Così Shiny Beast vede la luce
soltanto tre anni dopo, nel 1978. Il disco risolleva di parecchio le
quotazioni dell'eroe solitario, perchè anche quando il ruggito si
affievolisce a entertainement di lusso (Candle Mambo) mantiene
un suo decoro repellente, e quando dà libero sfogo alla sua
spaventosa bruttezza vocale (Bat Chain Puller e Floppy Boot
Stomp) recupera parecchio del vecchio naive blues. Si tratta più
precisamente di un nonsense blues disinnescato con cura, blues
dell'assurdo che non si è ancora liberato di tutti i compromessi e
vive un po' alla giornata, senza fornire precise indicazioni. Della
Magic Band smantellata è rimasto soltanto Ed Marimba ed anche questo
è un segno dell'eterna solitudine che attanaglia l'uomo-specchio, ora
"bestia splendente".
La macchina destatrice riprende giri anche in Doc At The Radar
Station (1980), con Drumbo di nuovo alla chitarra più sbilenca
del blues. Beefheart frequenta funk, free jazz, alea, recupera la
micro.musica (il minuto scarso di Flavor Bud Living per sola
chitarra) e azzeca una Making Love To A Vampire With A Monkey On My
Knee nella miglior tradizione licantropa, e qualche recitazione
free form del tipo Sue Egypt (il sottofondo è un riff
continuato di hard rock) o Brickbats (il sottofondo è un free
jazz aritmico e dissonante).
Doc At The Radar Station segna il ritorno all'anarchia, al
blues rocambolesco, ai riff strampalati, al canto sgolato, alle
sceneggiate satiriche, ai racconti dell'orrore parodistici, ai ritmi
criminali e alle schitarrate arbitrarie. Hot Head nel classico
stile caracollante (e nell'ottava più acuta), Ashtray Heart
nel più sincopato sarcasmo (e nell'ottava più rauca), Run Paint
Run Run nel tono più goliardico (nell'ottava più ruggente), Sheriff
Of Hong Kong con ferocia monolitica e marziale (nell'ottava più
licantropa), Dirty Blue Gene nel caos primordiale (e
nell'ottava più sgolata) sono gli aforismi più geniali. (...)
Piero Scaruffi da
Storia del Rock (Underground & Progressive 1967-1973) - 1989 ed.
Arcana
- Strictly Personal
(1969) Liberty 7243 - vinile
1. Ah Feel Like Ahcid - 2. Safe As Milk - 3. Trust Us - 4. Son Of Mirror Man/Mere Man - 5. On Tomorrow - 6. Beatle Bones'n' Smokin'
Stones -
7. Gimme
Dat Harp Boy -
8. Kandy
Korn
Musicians:
Captain Beefheart, Alex St. Claire, Jeff Cotton, Jerry
Handley, John French
Produced by Bob Krashnow
Recorded at Sunset Sound, Hollywood, California on April
25 through May 2
Engineering by Gene Shiveley and Bill Lazerus
Nel 1968 la Magic Band può
incidere un nuovo disco, il cui titolo, Strictly Personal, è
una chiara allusione all'isolamento artistico in cui vive.
Nonostante ciò l'album si spinge al di là di ogni esperimento
predente: gargarismi vocali e deliqui strumentali, cannibalismi
ritmici, sono abusati fino a stravolgere del tutto il blues in clima
di happening infernale. I musicisti compongono un mosaico allucinante
di suoni, al limite della cacofonia premeditata (anche se in realtà
ogni brano segue una linea ben precisa e non perde mai il controllo).
Purtroppo chi produce il disco sembra pentirsi all'ultimo momento e
non trova di meglio che pasticciare i nastri originali, rendendo così
inascoltabile gran parte del lavoro. Uno spesso velo di alterazioni e
distorsioni, un rumor bianco steso sui solchi impedisce la fruizione
delle gag musicali di Beefheart e compagni, anche se ne lascia intuire
la portata. E' l'ennesimo atto di sabotaggio discografico di cui sono
vittime i complessi freak.
I brani sono comunque otto, di lunghezza media; roccioso e disperato,
il disco si presenta come un'entità unica, senza punti di
discontinuità. Nonostante la produzione ce la metta tutta per
nascondere le sconcezze del suono, l'album rivela un numero
impressionante di soluzioni d'avanguardia. Il jazz,, e in particolare
lo sperimentalimo free, è il vero ispiratore dell'opera. I deliri
vocali di Ah Feel Like Ahcid (su una base strumentale scarna e
sonnolenta) e di Trust Us (il cui climax viene raggiunto con un
urlo a metà fra lo strillo di un muezzin, l'ululato di una strega
valpurgica e l'acuto di un tenore d'opera, e con un finale tribale e
demoniaco), e i ricami fantasiosi di Gimme Dat Harp Boy (laida
arguzia folk per il fil di voce spinoso, armonica putrefatta e ritmica
ossessiva), sanciscono definitivamente la statura di cantante di
Beefheart, che non ha eguali nella storia del rock.
Le baraonde strumentali di Sake As Milk (con finale dissonante
di chitarra sostenuto da un galoppo di bacchette) e On Tomorrow,
l'improvvisazione "acida" delle roprese di Mirror Man
e di Kandy Korn consacrano il disco come gigantesco organico
mucchio di spazzatura che si trascina a fatica dall'armonica e
vomitando dalla chitarra. Il personale omaggio al beat, Beatle
Bone'n' Smokin' Stones, è una delle più potenti satire dei
presunti dei dell'Olimpo rock, Beatles e Rolling Stones, oltre che
sfogo personale dell'artista incompreso.
Il blues naif di Safe As Milk compie un grosso passo avanti e
si trasforma in un free acid blues, blues acido e libero all'interno
del quale psicadelia e improvvisazione si complementano e giustificano
a vicenda. La rotta è verso il caos assoluto.
Piero Scaruffi
da Storia del Rock (Underground & Progressive 1967-1973) - 1989
ed. Arcana
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