Dead Can Dance
album
in pagina
- Dead
Can Dance
- Spleen
And Ideal
- Within
The Real Of A Dying Sun
- The Serpent's Egg
- Into
The Labyrinth
- Spiritchaser
- Toward
The Within
- Aion
- Anastasis
-
Dionysus
Se
è vero, come ogni tanto capita, che il tempo è
galantuomo, il fatto di poter guardare a distanza la
carriera dei Dead Can Dance non può che coincidere con
un grande favore reso alla musica del duo. Non che
Brendan Perry e Lisa Gerrard abbiano bisogno di doni
retrospettivi che ne riabilitino l'opera, tutt'altro. Ma
il fatto è: che è sempre parso impossibile osservarli
distaccati dal contesto d'appartenenza. Ossia
quell'iconografia 4AD che se da una parte di tanto
mistero e fascino ha ammantato i gruppi affiliati,
dall'altra ne ha sempre amputato le ambizioni. Visti
cioè nella consueta dimensione, i Dead Can Dance non
sarebbero niente più che un buon gruppo new wave emerso
durante gli anni '80. La versione appena più
crepuscolare dei coevi Cocteau Twins. Una band
dall'immaginario fosco, buono per i dark, appunto, che
nell'appropriarsene hanno azzoppato tutto il sottotesto.
Mai attuale come in questo periodo, comunque, in cui si
fa un gran parlare degli ultimi vagiti del cosidetto
crossover.(...)
Nel caso dei Dead Can Dance l'imbastardimento della
musica non passa solo attraverso lo scimmiottamento degli
stereotipi indigeni più triti - cioè l'uso di un
determinato strumento - ma anche, se non sopratutto,
tramite il linguaggio - scale, melodie - delle musiche e
delle culture di volta in volta accarezzate. Qualcosa di
non troppo dissimile da quanto in Italia si è azzardato
a tentare il solo, compianto Fabrizio De Andrè di Creuza De Ma. Qualora si volesse fornire
di un minimo di significato la parola - sarebbe quasi
ora, dopo dieci anni di uso smodato - questo è il
crossover.
Il tragitto dei Dead Can Dance ha raggiunto il suo
massimo livello di sofisticatezza linguistica un decennio
dopo le prime registrazioni effettuate dalla coppia.
L'album si chiama Into The Labyrinth (1993): insieme al
successivo live - in realtà, a tutti gli effetti un
disco composto di inediti - rappresenta il picco
espressivo del duo. La pubblicazione del cofanetto triplo
Dead
Can Dance 1981/1998 - una colossale antologia
con oltre tre ore e un quarto di musica, circa 50 tracce
e il DVD del live a cui si alludeva sopra, Toward The Within - rappresenta il migliore
pretesto per soffermarci sulla carriera del duo.
Come spesso accade, sono i dettagli a timbrare una
svolta. Lisa Gerrard e Brendan Perry abitavano entrambi a
Melbourne. Si incontrano nel 1980, pieno periodo punk.
Perry suonava in un gruppo garage denominato The
Scavengers (poi Matching Girls). Gerrard già bazzicava
la musica d'avanguardia. Si ritrovarono assieme a lavare
i piatti in un locale ristorante libanese, facendo così
la conoscenza delle più diverse etnie e culture: turca,
greca, italiana, araba, irlandese. Fu quella la molla
della curiosità che fece avvicinare i due a musiche
"altre". In realtà i soldi guadagnati durante
le sessioni di lavaggio piatti dovevano servire per
emigrare a Londra e lì cominciare a suonare - speravano
i due - in un ambiente dove il concetto di scena non
fosse una bestemmia, come invece accadeva a Melbourne.
Detto fatto: nell'82 la grande decisione. Tra avere
ambizioni ma nessuna possibilità e poter invece far
ascoltare la propria musica a qualche etichetta passava
una certa differenza. Nel frattempo Perry e Gerrard
avevano già dato vita alla loro prima session assieme:
si chiama Frontier - sotto forma di demo la
trovate come incipit del box in questione - e non si
discostava troppo dalle riluttanti sgroppate percussive
dei Banshees. Certo, c'era già qualcosa che segnalava
una differenza, la voce di Lisa Gerrard. I suoi
gorgheggi, che col passare degli anni si sarebbero sempre
più trasformati in pigolio inintelligibile, un esperanto
della musica popolare che così lei stessa spiega:
"Probabilmente dovrei definirmi una cantante, se non
fosse che non credo di esserlo. Non credo ci sia una
parola adatta a descrivermi. Quello che faccio è fare
rumori. Esprimo qualcosa in cui credo e suppongo che
questa sia la ragione per cui anche altri ci
credono". Perry nel frattempo si applicava per
diventare il fenomenale multistrumentista in cui presto
si sarebbe convertito, ma certo sirtisce un certo effetto
- specie alla luce dell'immagine cupa e austera
normalmente attillata al duo - ritornare sui loro primi
anni inglesi: "Non c'è niente di peggio che essere
poveri a Londra. E' esteticamente brutto e le persone
sono dure e crudeli nei quartieri poveri. Per due anni
siamo morti di fame, ma grazie a Dio avemmo la buona idea
di comprarci delle biciclette per andare in giro e
lasciare i nostri nastri". Quello che poi sarebbe
poi diventato un matrimonio duraturo, non cominciò nei
migliori dei modi, comunque.
Il leggendario Ivo Watts-Russel, capo della 4AD, fece
capire al gruppo che per quanto buono fosse il loro
materiale, lui non era interessato a lavorarci. Le
giornate passavano: nell'Inghilterra di Miss Tatcher i
due avevano diritto a un assegno in quanto disoccupati,
che gli serviva per comprare le birre e il fumo
necessario - l'avreste mai detto, data l'immagine
monacale della coppia? - da consumare davanti al
televisore. Così per mesi. Poi, la svolta: nell'83 si
inaugurò il rapporto con la 4AD, anche se l'album di
debutto era destinato a uscire solo l'anno successivo. I
primi suoni vennero però propagati, al solito, già alla
fine di novembre dell'83 da John Peel nel suo show, in
cui il Dead Can Dance pensiero già manifestava elementi
che poi sarebbero stati ripresi da altri: si pensi solo
alla placida wave di Labour Of Love, che suggerisce più di un
contatto con i successivi Smiths, nonchè le visioni di Ocean, cioè Polly Jean Harvey
"ante-litteram. Un Ep di passaggio - Garden Of The Arcade
Delights - per approdare alla prima vera curva della
carriera: è con l'album Spleen And Ideal - secondo posto nelle
classifiche di vendita indipendenti, alla sua uscita -
che il duo abbandona le chitarre a favore di eterei
tappeti di suono (come in De Profundis) su cui Gerrard può
srotolare le sue corde vocali. Al contempo però emerge
anche una delle chiavi di lettura principali - e da
sempre ignorate - per comprendere l'opera dei "morti
danzanti". Ossia l'autentica passione di Brendan
Perry per Tim Buckley. Non è un mistero che tutto
l'indotto 4AD - vedi il coetaneo super-progetto parallelo
This Mortal Coil, a cui i Dead Can Dance parteciparono,
ma solo per il primo dei tre volumi, It'll End In Tears, dell'84, quello che
include l'ormai mitica versione di Song To The Siren, appunto - nutrisse un
debole per Buckley senior. Ma nel caso di Perry è lecito
parlare di venerazione: non solo la disperazione più
lucida e profonda che emerge dai suoi testi - Spirit, Sloth, quest'ultima riletta poi
anche in solitaria - rimanda all'autore di Goodbye And Hello, ma anche l'ispirazione di
numerose fra le migliori ballate dei Dead Can Dance
proviene dalla penna del Buckley maggiore: si pensi solo
alle molte raccolte in Toward The Within, da I Can See Now a Don't Fade Away. Per non dire poi della
rilettura di I
Must Have Been Blind che Perry ha dato nel suo
disco solista: The
Eye Of The Hunter, chissà perchè passato
sotto silenzio al tempo della sua pubblicazione (nel
1999). Tornando ai Dead Can Dance: album come Within The Realm Of
A Dying Sun, The
Serpent's Egg e Aion - editi tra l'87 e il '90 -
avvicinano il gruppo alle colonne sonore di Michael Nyman
(sentire The
Protagonist), ma in particolare alla riscoperta di
musiche del passato: siano esse medioevali, barocche,
rinascimentali o gregoriane. Brani come The Arrival And The
Reunion o le riletture di Saltarello e The Song Of The
Sybil
- tradizionali risalenti rispettivamente al XIV e al XVI
secolo - dicono dello slancio sacro verso cui la musica
del duo è proiettata. Una spinta portata a compimento,
come detto, nel capolavoro Into The Labyrinth e nel live registrato in
America Toward
The Within: How
Fortunate The man With None ripassa un testo di Bertold
Brecht, The
Wind That Shakes The Barley è un inno religioso alla
non violenza per sola voce. Ancora: The Spider's
Stratagem, The
Carnival Is Over e la riproposizione Persian Love Song affermano con chiarezza
l'ambizione di un crossover dove la ricerca di melodie -
sovente arabe - si sposa alla nozione occidentale di
canzone, ma tramite strumenti tradizionali (yang ch'in,
cioè il dulcimer cinese; bouzoki irlandese, flauti
orientali, ecc). In assoluto: l'apice emotivo del gruppo
di chiama Sanvean, di fronte alla quale c'è
poco da dire. La voce di Gerrard s'inerpica oltre
l'immaginabile in un crescendo d'archi e sussurri. Che il
pezzo in questione rappresenti uno dei fulcri dell'opera
del duo lo dimostra pure il fatto che la stessa Gerrard -
nel suo debutto solista del '95, The Mirror Pool - l'inserisce nel programma.
Prima di arrivare alla produzione per conto proprio, c'è
però ancora tempo per il passo dell'addio: Spiritchaser ('96). Nel quale Perry -
oltre a un'accresciuta competenza elettronica - mostra
un'inclinazione verso ritmi percussivi di estrazione
africana. L'album non è all'altezza del paio che l'hanno
anticipato. E nonostante abbia due o tre cose da dire su
tutta la cornucopia di produzioni oggi rubricate alla
voce "world music", firma la fine della storia.
In qualche maniera annunciata: ormai i due vivevano e
collaboravano a distanza. Perry dal suo studio in Irlanda
- dove ha impiegato quattro anni per dar forma
all'esordio - mentre Gerrard è rientrata in patria.
Proprio lei si è dimostrata sinora più attiva: a The Mirror Pool ha fatto seguire l'album Duality ( in compagnia di Pieter
Bourke e tutto sommato minore), oltre a colonne sonore di
rilievo come quelle di Heat, Insider e The Gladiator.
Liquidati di volta in volta come antesignani del dark
quanto della creazione di certi paesaggi new age o
terzomondisti, se non come semplici nostalgici per via di
quel pallido immaginario preraffellita, Perry e Gerrard
hanno invece assemblato come pochi altri lo slancio
dell'avanguardia con la complessità della scrittura.
Ecco perchè, lontano dall'assonante
"decadenza", Dead Can Dance è piuttosto
sinonimo di spinta verso lo sconosciuto: ossia il
modernismo nell'era del postmoderno. La ricerca contro il
riciclaggio. Quasi un'eresia, di questi tempi.
Rossano
Lo Mele da Rumore
n° 119 dicembre 2001
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- Dead Can Dance
(1984) 4 AD cad 404 - vinile
1. The Fatal Impact - 2. The Trial - 3. Frontier - 4. Fortune - 5. Ocean - 6. East Of Eden - 7. Thereshold - 8. A Passage In Time - 9. Wild In The Woods - 10. Musica Eternal
Musicians:
Brendan Perry, Lisa
Gerrard, Peter Ulrich
Produced by Dead Can Dance
Qualche tempo fa
questo nome, Dead Can Dance, il morto può ballare, mi
era entrato in mente stuzzicando la mia curiosità; tutto
ciò era dovuto alle recensioni favorevoli che le riviste
inglesi Sounds e Zig Zag avevano riservato al 33 giri
d'esordio di questo quartetto australiano.
Non affidandomi comunque al giudizio di quelle
pubblicazioni, data la frequente complicità con cui
vengono stilate,, mi accinsi all'ascolto del disco in
questione. Meraviglia delle meraviglie: un'opera
stupenda, spirituale, ricca di effetti e stati d'animo,
mi si poneva davanti attraverso uno sconvolgente e lento
incedere musicale. Qui, in un mondo permeato dalla
profonda realtà delle vicende umane, quasi religioso, la
valutazione personale lascia il posto alla meditazione
dei Dead Can Dance; dove la sincerità diventa segno di
misura, il sogno simbolico e il mistero un fondamento
legittimo per sprigionare uno stato d'animo alla ricerca
di una serie di decifrazioni.
Un suono oscuro, alla maniera dei Cocteau Twins, è
quello che esce dai solchi di Dead Can
Dance, ma non è un'oscurità che viene
elevata a dogma come in molte altre noiose occasioni: è
una preghiera ai sensi, una poesia che non ha mai
conosciuto l'enigma che voleva Mallarmè. In ogni brano
in cui fa capolino la voce paradisiaca della cantante,
sprigiona una precisa forza espressiva.
E' il caso questo di The Trial,
Ocean, A Passage In Time e Musica Eternal.
Quest'ultima una vera e propria confessione fatta di
passione e di straziante bellezza. Una sorta di
avvincente mania erotica possiede questo disco, che si
nasconde tra lamenti vocali ed improvvisi arpeggi di
chitarra.
Non crediamo di andare molto lontano dal vero affermando
che questo album è imperdibile: non capitano tutti i
giorni dischi come questo e noi non vogliamo passare il
tempo a rimpiangerlo.
Luca
Jandelli da
Rocherilla n° 44 aprile 1984
- Spleen And Ideal
(1985) 4 AD cad 404 - vinile
1. De Profundis (out of the depths of
sorrow) - 2. Ascension - 3. Circum Radiant Dawn - 4. The Cardinal Sin - 5. Mesmerism - 6. Enigma Of The Absolute - 7. Advent - 8. Avatar - 9. Indoctrination (a design for living)
Musicians:
Brendan Perry, Lisa
Gerrard,
Gus Ferguson, Martin McGarrick, James Pinker, Tony Ayres,
Richard Avison, Simon Hogg, Andrew Hutton, Carolyn Costin
Produced by Dead Can Dance
Recorded
at Woodbine St. Recording Studios during September -
November 1985
Engineering by John A. Rivers and Jonathan Dee
Cover photo by Colin Gray
(...) I
Dead Can Dance catturano questi attimi fugaci in cui i
sensi riecheggiano la stessa melodia, e cantano di un
amore sinceramente vissuto, offrendocelo per intero su di
un piatto diamantato, omaggio incommensurabile ad un
grande ispiratore, omaggio che trasparisce delicatamente
tra i forti riverberi tratteggiando vaghe linee
dpaffinità elettive.
Silenziosi, Lisa Gerrard e Brendan Perry, senza alcun
vezzo, e mettendosi in mostra forse nemmeno lo stretto
necessario (ricordiamo solo in contributo offerto a This
Mortal Coil), dopo l'ottimo esordio di circa un anno e
mezzo fa, approdano ora, al loro secondo album che segue
indicativamente le tracce male illuminate lasciate dal
suo precedessore, maturando un'espressione ancor più
raffinata, più completa, nella sua esposizione, di
ricchi particolari che ne sanciscono l'assoluta
originalità d'estro e fantasia.
Se il primo omonimo 'Lp Dead Can Dance
soffriva ancora, seppur minimamente, degli usuali,
antipatici paragoni che riesumevano, non a torto, le
spoglie dei soliti Joy Division & Co., quest'altro Spleen
And Ideal si erge in tutta la sua
pienezza di opera scevra di precedenti e ricolma di uno
stile proprio, generoso nell'elargire i suoi racconti
inediti. Le atmosfere che tinteggiano i Dead Can Dance
non si discostano eccessivamente da quelle comuni ad una
certa area musicale, e di cui la 4AD, se vogliamo, nè è
la principale etichetta fautrice, ma purtuttavia riescono
a caratterizzarsi autonomamente grazie allo sfruttamento
di una strumentazione unusuale comprendente anche
violini, violoncelli (noti quelli del "peccatore
volontario" Martin McGarrick), timpani, che
enfatizzano la struttura centrale dei brani rendendoli
antichi, sinfonici, classicheggianti.
Maestoso è quindi l'incedere di questi due paladini di
un suono che tanti vorrebbero ormai ai suoi ultimi
sussurri e che invece si scopre a volte denso di nuove
prospettive, e solenne è la loro poesia musicale che
rimane sospesa nell'aria, impalpabile, per poi adagiarsi
al suolo come una foglia morta, in lenta ondulazione
quasi religiosa. Suddette inclinazioni all'imponenza
sonora che, puntualizziamo, non è mai fine a sè stessa
e, oltre a ciò. è sempre mitigata dalla delicatezza
delle composizioni, si captano in modo più esplicito tra
le belle geometrie della side A che si apre con il brano
più che esemplificativo De Profundis,
sommessa recita di gregoriana memoria che vede il soprano
Andrew Hutton accompagnare la voce della brava Lisa
Gerrard in una coralità possente e miseriosa.
Ma anche il seguente strumentale Ascension
e la rilasciata The Cardinal Sin
offrono simili ambientazioni emananti una serietà e una
compostezza quasi regale atta a significare la
specialità degli eventi, la specialità di queste
armonie pacate eppur così sgomentevoli. Ad esclusione
della sostenuta Enigma Of The Absolute,
splendida nelle sue ardimentose evoluzioni, i brani che
appaiono sul lato opposto sembrano invece intenti a
disegnare più semplici figure, per sempre torbide nei
contorni e cupe nei colori. Ecco allora Advent
in cui l'Angoscia si apre a visioni cosmiche dilatate e
serene, oppure Avator,
più vicina alle sofferte emozioni del primo album, o
ancora Indoctrination,
canto finale innalzato alla libertà incodizionata
d'esser ciò che si è senza alcuna limitazione
restrittiva, e che lascia senza parole per descrivere la
bellezza dei suoi cangianti fraseggi, realmente liberi
come il volo di una farfalla.
Un plauso particolare va ai Dead Can Dance per il loro
cantato, equamente spartito tra i due, che riflette
un'immedesimazione alquanto ricercata e possiede vibranti
modulazioni, in special modo quello di Lisa, tra i
migliori d'oggi, che similmente alla Frazer si libra
nell'aria lasciandosi cullare dal vento in
interpretazioni soavi e conturbanti al tempo stesso. Ma
al di là di ogni elogio che può esser proferito,
artisticamente, al gruppo v'è ancora prima, da parte
mia, il riconoscimento di due persone non ancora
intaccate dalle leggi che regolano il businnes
discografico, due persone segretamente pure, dall'animo
inviolato, e che proprio per questo riescono a comunicare
con sincerità e senza compromessi il loro messaggio,
ciò che noi siamo soliti chiamare Arte.
Clara
Cortellazzi
da Buscadero n° 55 gennaio 1986
- Within The Realm Of A Dying Sun
(1987) 4 AD cad 705 - vinile
1. Anywhere Out Of The World - 2. Windfall - 3. In The Wake Of Adversity - 4. Xavier - 5. Dawn Of The Iconoclast - 6. Cantara - 7. Summoning Of The Muse - 8. Persephone
Musicians:
Brendan Perry, Lisa
Gerrard,
Peter Ulrich, Alison Harling, Emlyn
Singleton, Piero Gasparini, Tony Gamage, Gus Ferguson,
Mark Gerrard, Richard Avison, John Singleton, Andrew
Claxton, Ruth Watson
Produced by Dead Can Dance
Recorded and mixed at Woodhine Street Recording Studios
Enginerring by John A. Rivers and Francisco Cabesa
Cover photo by Bernard Oudin
Nel regno del sole
che muore gli australi Dead Can Dance celebrano la loro
tera liturgia musicale. Definitivamente svaniti i flebili
ma irridescenti richiami ad uniconografia sonora
impropriamente denominata dark, ancora
presenti nel lavoro di esordio, è quella fulgida vena di
mistico sinfonismo, caratterizzante la prima facciata
della loro precedente opera Spleen and ideal, ad essere
qui ripresa e sviluppata per arrivare a risultati di una
bellezza talora difficilmente descrivibile.
Limmagine di copertina può esserci in questo senso
di aiuto in quanto sembra voler simbolicamente suggerire
quella metafisica e romantica tensione allinfinito
che luminosamente traspare dai solchi dellalbum. I
Dead Can Dance trovano espressione per questo angoscioso
e mai pago desiderio di unelevata alterità
creativa ed esistenziale conferendo alla materia sonora
una forma progettata secondo quella che può essere
definita una sorta di dialettica compositiva. Lisa
Gerrard e Brendan Perry si protendono infatti verso una
mirabile sintesi musicale nel cui seno confluiscono i
momenti antiteci del recupero della tradizione classica e
dellesplorazione dei territori impervi
dellavanguardia espressiva. Il minimalismo
strutturale dei Dead Can Dance si veste dunque di forme
sinfoniche che, grazie ad una misurata duttilità, si
lasciano plasmare in configurazioni musicali che si
deliano talora mediante momenti di onirica rarefazione
talalta in pieni orchestrali attraverso i quali si
libera felicemente lincontrollabile turgore
creativo dei due artisti. Nelluniverso sonoro di
questo lavoro sembrano daltro canto convivere in
pantica fusione una singolare disposizione verso un
misticismo che potremmo senza timori definire religioso,
manifestandosi attraverso modalità estetiche che
richiamano quelle di certa musica liturgica, si pensi
alla conclusiva Persephone (sei minuti di sublime
incanto); una serie di elementi dal sapore vagamente
etnico, anche se difficilmente localizzabili, quanto alla
loro origine, dal punto di vista geografico ed
avvertibili sopratutto in certe cantilenanti trame vocali
di di Lisa Gerrard; un richiamo, non sempre esplicito, ad
una eleganza sensuale e talvolta piuttosto torbida
propria del decadentismo europeo. Queste eterogenee fonti
ispirative, riviste attraverso la cristallina ed
inarrivabile sensibilità artistica dei Dead Can Dance,
danno vita a composizioni di vivida bellezza ma che
talora fanno sorgere il sospetto di un compiaciuto
ermetismo estetizzante che ci costringe a rimanere
allesterno delle stesse, senza poter penetrare
esaustivamente la loro natura. Forse però è proprio
questo che i Dead Can Dance vogliono, suggerendoci così
di frenare il nostro aggressivo desiderio di possesso
conoscitivo e di avvicinarsi a questo lavoro con il
pudore e la delicatezza che essa merita.
Alberto
Rossini da
Buscadero n° 74 ottobre 1987
- The Serpent's Egg
(1988) 4 AD conte 124 - vinile
1. The Host Of Seraphin - 2. Orbis De Ignis - 3. Severance - 4. The Writing On My Father's
Hand - 5. In The Kindom Of The Blind - 6. Chant Of The Paladin - 7. Song Of Sophia - 8. Echolalia - 9. Mother Tongue - 10. Ullyses
Musicians:
Brendan Perry, Lisa
Gerrard,
David Navarro Sust, Alison Harling, Rebecca Jackson,
Sarah Buckley, Andrew Beesley, Tony Gamage
Produced by Dead Can Dance
C'è chi
ipotizza che l'uomo che fece la sua comparsa sulla Terra
nel Terziario provenisse da altri mondi. Componenti di
una civiltà extraterrestre in fuga o sperduti
nell'Universo sarebbero approdati sul nostro pianeta. In
quel momento nacque l'uomo. O forse essi, o gli stessi
umani raggiunto un avanzato grado evolutivo, uccisero
l'idea di Dio, innescando anche un processo di
autodistruzione, e Dio li fece regredire a uno stato
primordiale facendo ricominciare la vita umana daccapo.
Un'altra versione propende per una regressione dovuta a
una guerra nucleare.
Fatto sta che Lisa Gerrard e Brendan Perry sembrano
fornire, con la loro musica, una sintesi di codeste
ardite teorie; una musica che nei solchi di questo 'Lp
miscela con sorprendente maestria aneliti dello spirito e
ritmi tribali, ossessivi e solenni. Non v'è dubbio
alcuno che quest'uovo sia frutto di serpente: vocalizzi e
cadenze avvolgono l'ascoltatore nelle loro spire
concentriche e stregate. Imprigionati in essi, si è
costretti a seguire l'ensamble nel suo viaggio al di là
del tempo alla ricerca delle radici perdute. L'Odissea
pare interminabile e dolorosa, giacchè non tutti gli
ostacoli vengono superati senza senza perdite, visto che
gli dei, irati da tanto coraggio, con le loro maledizioni
offuscano talvolta l'ingrato cammino; percorrendo
all'inverso l'itinerario dell'umanità, passando fra
cicliche sventure (guerre, epidemie, persecuzioni,
schiavitù), segnalate da costanti litanie, i Nostri
cavalcano il serpente (il fiume tortuoso, che come il
fluire della vita può essere duramente seguito a ritroso
sino alla foce, ai più inacessibile) e ritrovano la
"lingua madre" (la ritmica è finalmente
libera, e il suono dell'acqua rivela la vicinanza della
verità).
E' un viaggio inusuale e caparbio, che probabilmente
molti non si sentiranno di affrontare: non tutti possono
assaggiare "uovo di serpente" senza subirne le
conseguenze psicologiche. Tra coloro che correranno il
rischio, alcuni rimarranno persino delusi, poichè questi
Dead Can Dance sono in questa occasione più ostici del
solito nel concedersi; ciò nondimeno, regalano ancora
momenti di rara tensione emotiva.
Maurizio
Lucenti da Velvet n° 3 dicembre 1988
- Into The Labyrinth
(1993) 4 AD 45384 - cd
1. Yulunga - 2. The Ebiquitous Mr.
Lovegrove -
3. Thw
Wind That Shakes The Barley - 4. The Carnival Is Over - 5. Ariadine - 6. Saldek - 7. Toward The Within - 8. Tell Me About The Forest - 9. The Spider's Stratagem - 10. Emmeleia - 11. How Fortunate The Man With
None
Musicians:
Brendan Perry, Lisa
Gerrard
Produced by Brendan Perry
Gruppi come i Dead
Can Dance ne sono rimasti pochi. Veterani della 4AD,
Brendan Perry e Lisa Gerrard perseguono da anni un
progetto musicale che, per le sue qualità intrinseche,
non ha mai trovato e mai potrà trovare che l'attenzione
ed il consenso di un ristretto gruppo di fedeli
ascoltatori. E ciò nonostante i Dead Can Dance hanno
continuato a crederci, lavorando in un'ottica strategica
caratterizzata da rigore, coerenza e, sopratutto, da un
obiettivo di natura esclusivamente artistica. Questo tipo
di condotta, per certi versi enconiabile, aveva tuttavia
portato Brendan e Lisa ad una sorta di ripiegamento
emotico ed ispirativo, ad una introversione che appariva
con tutta evidenza in Aion,
album scarsamente comunicativo, disomogeneo ed avaro di
vive emozioni, soprafatte da una tendenza freddamente
estetizzante, sintomo, a nostro avviso, di una profonda
crisi creativa. Crisi che, d'altro canto, aveva radici
lontane.
Nei Dead Can Dance, infatti, sono sempre state presenti
due distinte anime: quella romantico-decadente di Perry e
quella sinfonica-etnico-arcaicizzante della Gerrard. Nei
primi tre album esse hanno convissuto in perfetta
armonia, realizzando sinergie creative dagli
entusiasmanti risultati. In seguito, tuttavia, questo
equilibrio ha cominciato ad incrinarsi e le due linee
espressive a divaricarsi in maniera preoccupante, a
giustapporsi anzichè confondersi.
Into The Labyrinth non
rappresenta un compiuto momento di riunione, ma comunque
un primo, significativo passo in questa direzione anche
se, paradossalmente, gran parte del materiale sonoro è
stato composto da Brendan e Lisa in modo del tutto
indipendente, vivendo l'uno in Irlanda ed in Australia
l'altra.
Se non nei contenuti strettamente musicali, in qualche
misura ancora dicotomici, l'album gode di un'omogeneità
"atmosferica" di fondo: gli arrangiamenti
d'archi sono molto misurati, il ricorso a strumenti di
antica fattura strettamente funzionale e non frutto di un
vezzo archeologico, mentre le percussioni vengono ad
assumere spesso un ruolo di primo piano, fungendo da base
unificante e conferendo alle composizioni un senso di
orientabilità molto marcato.
Quel che più conta, tuttavia, è il riaffacciarsi nella
musica dei Dead Can Dance dell'elemento emozionale,
ancora contenuto e timoroso ma, perlomeno, non più
imbavagliato dal formalismo esasperato e talvota sterile
che caratterizzava Aion.
Rileviamo dunque in Into The Labyrinth
il ritorno ad un'espressività più sincera, forse meno
colta ed attenta dal punto di vidta filologico, ma
certamente più apprezzata da quanti, come noi, hanno in
passato profondamente amato il suono del gruppo.
Alberto
Rossini da
Buscadero n° 159 settembre 1993
- Spiritchaser
(1996) 4 AD cad 6008 - cd
1. Nierika 5.43 - 2. Song Of The Stars 10.12 - 3. Indus 9.23 - 4. Song Of The Dispossessed 4.55 - 5. Dedicacè Outò 1.14 - 6. The Snake And The Moon 6.11 - 7. Song Of he Nile 8.00 - 8. Devorzhum 6.13
Musicians:
Brendan Perry, Lisa
Gerrard,
Peter Ulrich, Renaud Pion, Lance Logan,
Ronan O'Snodaigh
Produced by Brendan Perry and Lisa Gerrard
Recorded at Quivvy Church
Cover by Chris Bigg
Toward The Within
aveva segnato uno dei momenti più alti nella carriera
del duo Perry-Gerrard. La resposnsabilità che un
risultato del genere comportava, era necessariamente
quella di non vanificare le proprie conquiste artistiche.
E' bastato mescolare le carte in tavola per risolvere
questioni d'impostazione o indirizzo, accentuando
l'impatto fisico con ritmi ancora più incalzanti,
pescati nel reame acid-jazz come nelle ritualità del
vodoo haitiano.
Spiritchaser è un
lavoro che segna un ulteriore passaggio nella vicenda dei
due musicisti angloirlandesi. Senza per questo dover
rinunciare all'insegnamento di passate, e comunque
fruttuose, esperienze musicali.
Tonino
Merolli da World Music n° 23 ottobre 1996
- Toward The Within
(1994) 4 AD dad 4015 - cd
1. Rakim - 2. Persian Love Song - 3. Desert Song - 4. Yunga (spirit dance) - 5. Piece For Solo Flute - 6. The Wind That Shakes The
Barley -
7. I Am
Stretched On Your Grave - 8. I Can See Now - 9. American Dreaming - 10. Cantara - 11. Oman - 12. Song Of The Sibyl - 13. Tristan - 14. Sanvean - 15. Don't Fade Way
Musicians:
Brendan Perry, Lisa
Gerrard,
Robert Perry, John Bonnar, Ronan O'Snodaigh, Andrew
Claxton, Lance Hogan
Produced by Dead Can Dance
Recorded live at The Mayfair Theatre, Santa Monica,
California
Enginnering by Guy Charbonneau
- Aion
(1989) 4 AD conte 152 - vinile
1. The Arrival And The Reunion -
2. Saltarello -
3. Mephisto -
4. The Song Of The Sibyl -
5. Fortune Presents Gifts Not According To The
Book - 6. As The Bell Ribgs The Maypole Spins -
7. The End Of Words -
8. Black Sun -
9. Wilderness -
10. The Promised Womb -
11. The Garden Of Zephirus -
12. Radharc
Musicians:
Brendan Perry, Lisa
Gerrard
Produced by Dead Can Dance
- Anastasis
(2012) Pias 1 - cd
1. Children Of The Sun
- 2. Anabasis
- 3. Agape - 4. Amnesia - 5. Kiko - 6. Opium - 7. Return Of The She King
- 8. All In Good Time
Musicians:
Brendan Perry, Lisa
Gerrard,
David Klockermann
Produced by Dead Can Dance
Recorded at Outwy Studio
Engineered by Aidan Foley
Cover Art by Brendan Perry
Dopo sedici anni un ritorno tra i più graditi e che, una volta tanto,
non ci riserva alcuna delusione, Anastasis, il nuovo lavoro dei
Dead Can Dance, che ritroviamo grandi come un tempo nonostante la lunga
interruzione, è un disco davvero bello ed importante: lo straordinario
sodalizio Gerrard/Perry riprende a produrre musica di perfetta armonia.
I nuovi pezzi sono completamente in linea con il marchio Dead Can Dance:
la sempre unica voce di Lisa Gerrard, insieme a quella di Perry che non
è da meno, controlla il magico mondo dei loro suoni, che ci mostrano a
volte cattedrali ed a volte boschi misteriosi, a volte manieri
medioevali ed a volte deserti solitari, in una tempesta di emozioni che
si placa solo al termine della musica.
Anastasis, dal greco antico, significa resurrezione: la scelta di
questo titolo in effetti appare in sintonia con le fasi della loro
storia. Nella prima traccia, Children Of The Sun, è la voce di
Perry a conquistarci, accompagnata da un arrangiamento di amplissimo
respiro: orchestra, archi e ritmo potente. L'inizio di Anabasis è
lento e ipnotico, la voce della Gerrard incatena, scivolando dai nostri
nervi, con quella che sembra un'enigmatica invocazione. Agape
rispecchia le influenze mediorientali di cui i Dead Can Dance hanno in
effetti parlato diffusamente: l'esordio propone appunto suggestive
sonorità "arabeggianti", alle quali si aggiunge poi il seducente canto
di lei a creare un'affascinante nenia di sapore mediterraneo. Ma in
Amnesia è Brendan Perry ad incantare con una malinconica ed
introspettiva melodia. Kiko ripresenta l'attitudine "mediorentale"
ma la completa con i vocalizzi di sapore classico della Gerrard: otto
lunghi minuti di un viaggio psichico che può approdare solo lì dove
conducono le morbide note di una chitarra. Opium, firmata da
Perry, esordisce con percussioni tribali ma "migra" in paesaggi oscuti
in cui la voce di lui, elevandosi su un ricco tappeto di archi, ci
racconta parole cupe e segrete. The Return Of The She-King è una
storia dai suoni nordici e medioevali, con tamburi e le sorprendenti
note di arcaiche cornamuse, mentre il canto della Gerrard è di una
dolcezza ultraterrena; il brano si chiude con le due voci che duettano
inondandoci di indscrivibile magia. Chiude Perry con la struggente
All In Good Time e con solennità antica ci apre le porte del suo
mondo: ma purtroppo è l'ultima traccia.
Mrs. Lovett
- Dionysus
(2018) Pias r440cdx - cd
Act I
1. Sea Born
- 2. Liberator Of Minds
- 3. Dance Of The Bacchantes
Act II
4. The Mountain
- 5. The Invocation
- 6. The Forest
- 7. Psychopomp
Musicians:
Brendan Perry, Lisa
Gerrard
Produced by Dead Can Dance
Recorded at Ker Landelle Studios, Bretagne, France
Cover photo by Brendan Perry
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