Dead Can Dance



album in pagina

- Dead Can Dance
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Spleen And Ideal
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Within The Real Of A Dying Sun
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The Serpent's Egg
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Into The Labyrinth
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Spiritchaser
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Toward The Within
- Aion
- Anastasis
- Dionysus


Se è vero, come ogni tanto capita, che il tempo è galantuomo, il fatto di poter guardare a distanza la carriera dei Dead Can Dance non può che coincidere con un grande favore reso alla musica del duo. Non che Brendan Perry e Lisa Gerrard abbiano bisogno di doni retrospettivi che ne riabilitino l'opera, tutt'altro. Ma il fatto è: che è sempre parso impossibile osservarli distaccati dal contesto d'appartenenza. Ossia quell'iconografia 4AD che se da una parte di tanto mistero e fascino ha ammantato i gruppi affiliati, dall'altra ne ha sempre amputato le ambizioni. Visti cioè nella consueta dimensione, i Dead Can Dance non sarebbero niente più che un buon gruppo new wave emerso durante gli anni '80. La versione appena più crepuscolare dei coevi Cocteau Twins. Una band dall'immaginario fosco, buono per i dark, appunto, che nell'appropriarsene hanno azzoppato tutto il sottotesto. Mai attuale come in questo periodo, comunque, in cui si fa un gran parlare degli ultimi vagiti del cosidetto crossover.(...)

Nel caso dei Dead Can Dance l'imbastardimento della musica non passa solo attraverso lo scimmiottamento degli stereotipi indigeni più triti - cioè l'uso di un determinato strumento - ma anche, se non sopratutto, tramite il linguaggio - scale, melodie - delle musiche e delle culture di volta in volta accarezzate. Qualcosa di non troppo dissimile da quanto in Italia si è azzardato a tentare il solo, compianto Fabrizio De Andrè di
Creuza De Ma. Qualora si volesse fornire di un minimo di significato la parola - sarebbe quasi ora, dopo dieci anni di uso smodato - questo è il crossover.

Il tragitto dei Dead Can Dance ha raggiunto il suo massimo livello di sofisticatezza linguistica un decennio dopo le prime registrazioni effettuate dalla coppia. L'album si chiama
Into The Labyrinth (1993): insieme al successivo live - in realtà, a tutti gli effetti un disco composto di inediti - rappresenta il picco espressivo del duo. La pubblicazione del cofanetto triplo Dead Can Dance 1981/1998 - una colossale antologia con oltre tre ore e un quarto di musica, circa 50 tracce e il DVD del live a cui si alludeva sopra, Toward The Within - rappresenta il migliore pretesto per soffermarci sulla carriera del duo.

Come spesso accade, sono i dettagli a timbrare una svolta. Lisa Gerrard e Brendan Perry abitavano entrambi a Melbourne. Si incontrano nel 1980, pieno periodo punk. Perry suonava in un gruppo garage denominato The Scavengers (poi Matching Girls). Gerrard già bazzicava la musica d'avanguardia. Si ritrovarono assieme a lavare i piatti in un locale ristorante libanese, facendo così la conoscenza delle più diverse etnie e culture: turca, greca, italiana, araba, irlandese. Fu quella la molla della curiosità che fece avvicinare i due a musiche "altre". In realtà i soldi guadagnati durante le sessioni di lavaggio piatti dovevano servire per emigrare a Londra e lì cominciare a suonare - speravano i due - in un ambiente dove il concetto di scena non fosse una bestemmia, come invece accadeva a Melbourne. Detto fatto: nell'82 la grande decisione. Tra avere ambizioni ma nessuna possibilità e poter invece far ascoltare la propria musica a qualche etichetta passava una certa differenza. Nel frattempo Perry e Gerrard avevano già dato vita alla loro prima session assieme: si chiama
Frontier - sotto forma di demo la trovate come incipit del box in questione - e non si discostava troppo dalle riluttanti sgroppate percussive dei Banshees. Certo, c'era già qualcosa che segnalava una differenza, la voce di Lisa Gerrard. I suoi gorgheggi, che col passare degli anni si sarebbero sempre più trasformati in pigolio inintelligibile, un esperanto della musica popolare che così lei stessa spiega: "Probabilmente dovrei definirmi una cantante, se non fosse che non credo di esserlo. Non credo ci sia una parola adatta a descrivermi. Quello che faccio è fare rumori. Esprimo qualcosa in cui credo e suppongo che questa sia la ragione per cui anche altri ci credono". Perry nel frattempo si applicava per diventare il fenomenale multistrumentista in cui presto si sarebbe convertito, ma certo sirtisce un certo effetto - specie alla luce dell'immagine cupa e austera normalmente attillata al duo - ritornare sui loro primi anni inglesi: "Non c'è niente di peggio che essere poveri a Londra. E' esteticamente brutto e le persone sono dure e crudeli nei quartieri poveri. Per due anni siamo morti di fame, ma grazie a Dio avemmo la buona idea di comprarci delle biciclette per andare in giro e lasciare i nostri nastri". Quello che poi sarebbe poi diventato un matrimonio duraturo, non cominciò nei migliori dei modi, comunque.
Il leggendario Ivo Watts-Russel, capo della 4AD, fece capire al gruppo che per quanto buono fosse il loro materiale, lui non era interessato a lavorarci. Le giornate passavano: nell'Inghilterra di Miss Tatcher i due avevano diritto a un assegno in quanto disoccupati, che gli serviva per comprare le birre e il fumo necessario - l'avreste mai detto, data l'immagine monacale della coppia? - da consumare davanti al televisore. Così per mesi. Poi, la svolta: nell'83 si inaugurò il rapporto con la 4AD, anche se l'album di debutto era destinato a uscire solo l'anno successivo. I primi suoni vennero però propagati, al solito, già alla fine di novembre dell'83 da John Peel nel suo show, in cui il Dead Can Dance pensiero già manifestava elementi che poi sarebbero stati ripresi da altri: si pensi solo alla placida wave di
Labour Of Love, che suggerisce più di un contatto con i successivi Smiths, nonchè le visioni di Ocean, cioè Polly Jean Harvey "ante-litteram. Un Ep di passaggio - Garden Of The Arcade Delights - per approdare alla prima vera curva della carriera: è con l'album Spleen And Ideal - secondo posto nelle classifiche di vendita indipendenti, alla sua uscita - che il duo abbandona le chitarre a favore di eterei tappeti di suono (come in De Profundis) su cui Gerrard può srotolare le sue corde vocali. Al contempo però emerge anche una delle chiavi di lettura principali - e da sempre ignorate - per comprendere l'opera dei "morti danzanti". Ossia l'autentica passione di Brendan Perry per Tim Buckley. Non è un mistero che tutto l'indotto 4AD - vedi il coetaneo super-progetto parallelo This Mortal Coil, a cui i Dead Can Dance parteciparono, ma solo per il primo dei tre volumi, It'll End In Tears, dell'84, quello che include l'ormai mitica versione di Song To The Siren, appunto - nutrisse un debole per Buckley senior. Ma nel caso di Perry è lecito parlare di venerazione: non solo la disperazione più lucida e profonda che emerge dai suoi testi - Spirit, Sloth, quest'ultima riletta poi anche in solitaria - rimanda all'autore di Goodbye And Hello, ma anche l'ispirazione di numerose fra le migliori ballate dei Dead Can Dance proviene dalla penna del Buckley maggiore: si pensi solo alle molte raccolte in Toward The Within, da I Can See Now a Don't Fade Away. Per non dire poi della rilettura di I Must Have Been Blind che Perry ha dato nel suo disco solista: The Eye Of The Hunter, chissà perchè passato sotto silenzio al tempo della sua pubblicazione (nel 1999). Tornando ai Dead Can Dance: album come Within The Realm Of A Dying Sun, The Serpent's Egg e Aion - editi tra l'87 e il '90 - avvicinano il gruppo alle colonne sonore di Michael Nyman (sentire The Protagonist), ma in particolare alla riscoperta di musiche del passato: siano esse medioevali, barocche, rinascimentali o gregoriane. Brani come The Arrival And The Reunion o le riletture di Saltarello e The Song Of The Sybil - tradizionali risalenti rispettivamente al XIV e al XVI secolo - dicono dello slancio sacro verso cui la musica del duo è proiettata. Una spinta portata a compimento, come detto, nel capolavoro Into The Labyrinth e nel live registrato in America Toward The Within: How Fortunate The man With None ripassa un testo di Bertold Brecht, The Wind That Shakes The Barley è un inno religioso alla non violenza per sola voce. Ancora: The Spider's Stratagem, The Carnival Is Over e la riproposizione Persian Love Song affermano con chiarezza l'ambizione di un crossover dove la ricerca di melodie - sovente arabe - si sposa alla nozione occidentale di canzone, ma tramite strumenti tradizionali (yang ch'in, cioè il dulcimer cinese; bouzoki irlandese, flauti orientali, ecc). In assoluto: l'apice emotivo del gruppo di chiama Sanvean, di fronte alla quale c'è poco da dire. La voce di Gerrard s'inerpica oltre l'immaginabile in un crescendo d'archi e sussurri. Che il pezzo in questione rappresenti uno dei fulcri dell'opera del duo lo dimostra pure il fatto che la stessa Gerrard - nel suo debutto solista del '95, The Mirror Pool - l'inserisce nel programma. Prima di arrivare alla produzione per conto proprio, c'è però ancora tempo per il passo dell'addio: Spiritchaser ('96). Nel quale Perry - oltre a un'accresciuta competenza elettronica - mostra un'inclinazione verso ritmi percussivi di estrazione africana. L'album non è all'altezza del paio che l'hanno anticipato. E nonostante abbia due o tre cose da dire su tutta la cornucopia di produzioni oggi rubricate alla voce "world music", firma la fine della storia.

In qualche maniera annunciata: ormai i due vivevano e collaboravano a distanza. Perry dal suo studio in Irlanda - dove ha impiegato quattro anni per dar forma all'esordio - mentre Gerrard è rientrata in patria. Proprio lei si è dimostrata sinora più attiva: a
The Mirror Pool ha fatto seguire l'album Duality ( in compagnia di Pieter Bourke e tutto sommato minore), oltre a colonne sonore di rilievo come quelle di Heat, Insider e The Gladiator.

Liquidati di volta in volta come antesignani del dark quanto della creazione di certi paesaggi new age o terzomondisti, se non come semplici nostalgici per via di quel pallido immaginario preraffellita, Perry e Gerrard hanno invece assemblato come pochi altri lo slancio dell'avanguardia con la complessità della scrittura. Ecco perchè, lontano dall'assonante "decadenza", Dead Can Dance è piuttosto sinonimo di spinta verso lo sconosciuto: ossia il modernismo nell'era del postmoderno. La ricerca contro il riciclaggio. Quasi un'eresia, di questi tempi.

Rossano Lo Mele da Rumore n° 119 dicembre 2001


- Dead Can Dance
(1984) 4 AD cad 404 - vinile

1. The Fatal Impact - 2. The Trial - 3. Frontier - 4. Fortune - 5. Ocean - 6. East Of Eden - 7. Thereshold - 8. A Passage In Time - 9. Wild In The Woods - 10. Musica Eternal

Musicians:
Brendan Perry, Lisa Gerrard, Peter Ulrich

Produced by Dead Can Dance

Qualche tempo fa questo nome, Dead Can Dance, il morto può ballare, mi era entrato in mente stuzzicando la mia curiosità; tutto ciò era dovuto alle recensioni favorevoli che le riviste inglesi Sounds e Zig Zag avevano riservato al 33 giri d'esordio di questo quartetto australiano.
Non affidandomi comunque al giudizio di quelle pubblicazioni, data la frequente complicità con cui vengono stilate,, mi accinsi all'ascolto del disco in questione. Meraviglia delle meraviglie: un'opera stupenda, spirituale, ricca di effetti e stati d'animo, mi si poneva davanti attraverso uno sconvolgente e lento incedere musicale. Qui, in un mondo permeato dalla profonda realtà delle vicende umane, quasi religioso, la valutazione personale lascia il posto alla meditazione dei Dead Can Dance; dove la sincerità diventa segno di misura, il sogno simbolico e il mistero un fondamento legittimo per sprigionare uno stato d'animo alla ricerca di una serie di decifrazioni.
Un suono oscuro, alla maniera dei Cocteau Twins, è quello che esce dai solchi di
Dead Can Dance, ma non è un'oscurità che viene elevata a dogma come in molte altre noiose occasioni: è una preghiera ai sensi, una poesia che non ha mai conosciuto l'enigma che voleva Mallarmè. In ogni brano in cui fa capolino la voce paradisiaca della cantante, sprigiona una precisa forza espressiva.
E' il caso questo di
The Trial, Ocean,
A Passage In Time e Musica Eternal. Quest'ultima una vera e propria confessione fatta di passione e di straziante bellezza. Una sorta di avvincente mania erotica possiede questo disco, che si nasconde tra lamenti vocali ed improvvisi arpeggi di chitarra.
Non crediamo di andare molto lontano dal vero affermando che questo album è imperdibile: non capitano tutti i giorni dischi come questo e noi non vogliamo passare il tempo a rimpiangerlo.
Luca Jandelli da Rocherilla n° 44 aprile 1984

- Spleen And Ideal
(1985) 4 AD cad 404 - vinile

1. De Profundis (out of the depths of sorrow) - 2. Ascension - 3. Circum Radiant Dawn - 4. The Cardinal Sin - 5. Mesmerism - 6. Enigma Of The Absolute - 7. Advent - 8. Avatar - 9. Indoctrination (a design for living)

Musicians:
Brendan Perry, Lisa Gerrard, Gus Ferguson, Martin McGarrick, James Pinker, Tony Ayres, Richard Avison, Simon Hogg, Andrew Hutton, Carolyn Costin

Produced by Dead Can Dance

Recorded at Woodbine St. Recording Studios during September - November 1985
Engineering by John A. Rivers and Jonathan Dee
Cover photo by Colin Gray


(...) I Dead Can Dance catturano questi attimi fugaci in cui i sensi riecheggiano la stessa melodia, e cantano di un amore sinceramente vissuto, offrendocelo per intero su di un piatto diamantato, omaggio incommensurabile ad un grande ispiratore, omaggio che trasparisce delicatamente tra i forti riverberi tratteggiando vaghe linee dpaffinità elettive.
Silenziosi, Lisa Gerrard e Brendan Perry, senza alcun vezzo, e mettendosi in mostra forse nemmeno lo stretto necessario (ricordiamo solo in contributo offerto a This Mortal Coil), dopo l'ottimo esordio di circa un anno e mezzo fa, approdano ora, al loro secondo album che segue indicativamente le tracce male illuminate lasciate dal suo precedessore, maturando un'espressione ancor più raffinata, più completa, nella sua esposizione, di ricchi particolari che ne sanciscono l'assoluta originalità d'estro e fantasia.
Se il primo omonimo 'Lp
Dead Can Dance soffriva ancora, seppur minimamente, degli usuali, antipatici paragoni che riesumevano, non a torto, le spoglie dei soliti Joy Division & Co., quest'altro Spleen And Ideal si erge in tutta la sua pienezza di opera scevra di precedenti e ricolma di uno stile proprio, generoso nell'elargire i suoi racconti inediti. Le atmosfere che tinteggiano i Dead Can Dance non si discostano eccessivamente da quelle comuni ad una certa area musicale, e di cui la 4AD, se vogliamo, nè è la principale etichetta fautrice, ma purtuttavia riescono a caratterizzarsi autonomamente grazie allo sfruttamento di una strumentazione unusuale comprendente anche violini, violoncelli (noti quelli del "peccatore volontario" Martin McGarrick), timpani, che enfatizzano la struttura centrale dei brani rendendoli antichi, sinfonici, classicheggianti.
Maestoso è quindi l'incedere di questi due paladini di un suono che tanti vorrebbero ormai ai suoi ultimi sussurri e che invece si scopre a volte denso di nuove prospettive, e solenne è la loro poesia musicale che rimane sospesa nell'aria, impalpabile, per poi adagiarsi al suolo come una foglia morta, in lenta ondulazione quasi religiosa. Suddette inclinazioni all'imponenza sonora che, puntualizziamo, non è mai fine a sè stessa e, oltre a ciò. è sempre mitigata dalla delicatezza delle composizioni, si captano in modo più esplicito tra le belle geometrie della side A che si apre con il brano più che esemplificativo
De Profundis, sommessa recita di gregoriana memoria che vede il soprano Andrew Hutton accompagnare la voce della brava Lisa Gerrard in una coralità possente e miseriosa.
Ma anche il seguente strumentale
Ascension e la rilasciata The Cardinal Sin offrono simili ambientazioni emananti una serietà e una compostezza quasi regale atta a significare la specialità degli eventi, la specialità di queste armonie pacate eppur così sgomentevoli. Ad esclusione della sostenuta Enigma Of The Absolute, splendida nelle sue ardimentose evoluzioni, i brani che appaiono sul lato opposto sembrano invece intenti a disegnare più semplici figure, per sempre torbide nei contorni e cupe nei colori. Ecco allora Advent in cui l'Angoscia si apre a visioni cosmiche dilatate e serene, oppure Avator, più vicina alle sofferte emozioni del primo album, o ancora Indoctrination, canto finale innalzato alla libertà incodizionata d'esser ciò che si è senza alcuna limitazione restrittiva, e che lascia senza parole per descrivere la bellezza dei suoi cangianti fraseggi, realmente liberi come il volo di una farfalla.
Un plauso particolare va ai Dead Can Dance per il loro cantato, equamente spartito tra i due, che riflette un'immedesimazione alquanto ricercata e possiede vibranti modulazioni, in special modo quello di Lisa, tra i migliori d'oggi, che similmente alla Frazer si libra nell'aria lasciandosi cullare dal vento in interpretazioni soavi e conturbanti al tempo stesso. Ma al di là di ogni elogio che può esser proferito, artisticamente, al gruppo v'è ancora prima, da parte mia, il riconoscimento di due persone non ancora intaccate dalle leggi che regolano il businnes discografico, due persone segretamente pure, dall'animo inviolato, e che proprio per questo riescono a comunicare con sincerità e senza compromessi il loro messaggio, ciò che noi siamo soliti chiamare Arte.
Clara Cortellazzi da Buscadero n° 55 gennaio 1986

- Within The Realm Of A Dying Sun
(1987) 4 AD cad 705 - vinile

1. Anywhere Out Of The World - 2. Windfall - 3. In The Wake Of Adversity - 4. Xavier - 5. Dawn Of The Iconoclast - 6. Cantara - 7. Summoning Of The Muse - 8. Persephone

Musicians:
Brendan Perry, Lisa Gerrard, Peter Ulrich, Alison Harling, Emlyn Singleton, Piero Gasparini, Tony Gamage, Gus Ferguson, Mark Gerrard, Richard Avison, John Singleton, Andrew Claxton, Ruth Watson

Produced by Dead Can Dance
Recorded and mixed at Woodhine Street Recording Studios
Enginerring by John A. Rivers and Francisco Cabesa
Cover photo by Bernard Oudin

Nel regno del sole che muore gli australi Dead Can Dance celebrano la loro tera liturgia musicale. Definitivamente svaniti i flebili ma irridescenti richiami ad un’iconografia sonora impropriamente denominata “dark”, ancora presenti nel lavoro di esordio, è quella fulgida vena di mistico sinfonismo, caratterizzante la prima facciata della loro precedente opera Spleen and ideal, ad essere qui ripresa e sviluppata per arrivare a risultati di una bellezza talora difficilmente descrivibile.
L’immagine di copertina può esserci in questo senso di aiuto in quanto sembra voler simbolicamente suggerire quella metafisica e romantica tensione all’infinito che luminosamente traspare dai solchi dell’album. I Dead Can Dance trovano espressione per questo angoscioso e mai pago desiderio di un’elevata alterità creativa ed esistenziale conferendo alla materia sonora una forma progettata secondo quella che può essere definita una sorta di dialettica compositiva. Lisa Gerrard e Brendan Perry si protendono infatti verso una mirabile sintesi musicale nel cui seno confluiscono i momenti antiteci del recupero della tradizione classica e dell’esplorazione dei territori impervi dell’avanguardia espressiva. Il minimalismo strutturale dei Dead Can Dance si veste dunque di forme sinfoniche che, grazie ad una misurata duttilità, si lasciano plasmare in configurazioni musicali che si deliano talora mediante momenti di onirica rarefazione tal’alta in pieni orchestrali attraverso i quali si libera felicemente l’incontrollabile turgore creativo dei due artisti. Nell’universo sonoro di questo lavoro sembrano d’altro canto convivere in pantica fusione una singolare disposizione verso un misticismo che potremmo senza timori definire religioso, manifestandosi attraverso modalità estetiche che richiamano quelle di certa musica liturgica, si pensi alla conclusiva Persephone (sei minuti di sublime incanto); una serie di elementi dal sapore vagamente etnico, anche se difficilmente localizzabili, quanto alla loro origine, dal punto di vista geografico ed avvertibili sopratutto in certe cantilenanti trame vocali di di Lisa Gerrard; un richiamo, non sempre esplicito, ad una eleganza sensuale e talvolta piuttosto torbida propria del decadentismo europeo. Queste eterogenee fonti ispirative, riviste attraverso la cristallina ed inarrivabile sensibilità artistica dei Dead Can Dance, danno vita a composizioni di vivida bellezza ma che talora fanno sorgere il sospetto di un compiaciuto ermetismo estetizzante che ci costringe a rimanere all’esterno delle stesse, senza poter penetrare esaustivamente la loro natura. Forse però è proprio questo che i Dead Can Dance vogliono, suggerendoci così di frenare il nostro aggressivo desiderio di possesso conoscitivo e di avvicinarsi a questo lavoro con il pudore e la delicatezza che essa merita.
Alberto Rossini da Buscadero n° 74 ottobre 1987

- The Serpent's Egg
(1988) 4 AD conte 124 - vinile

1. The Host Of Seraphin - 2. Orbis De Ignis - 3. Severance - 4. The Writing On My Father's Hand - 5. In The Kindom Of The Blind - 6. Chant Of The Paladin - 7. Song Of Sophia - 8. Echolalia - 9. Mother Tongue - 10. Ullyses

Musicians:
Brendan Perry, Lisa Gerrard, David Navarro Sust, Alison Harling, Rebecca Jackson, Sarah Buckley, Andrew Beesley, Tony Gamage

Produced by Dead Can Dance

C'è chi ipotizza che l'uomo che fece la sua comparsa sulla Terra nel Terziario provenisse da altri mondi. Componenti di una civiltà extraterrestre in fuga o sperduti nell'Universo sarebbero approdati sul nostro pianeta. In quel momento nacque l'uomo. O forse essi, o gli stessi umani raggiunto un avanzato grado evolutivo, uccisero l'idea di Dio, innescando anche un processo di autodistruzione, e Dio li fece regredire a uno stato primordiale facendo ricominciare la vita umana daccapo. Un'altra versione propende per una regressione dovuta a una guerra nucleare.
Fatto sta che Lisa Gerrard e Brendan Perry sembrano fornire, con la loro musica, una sintesi di codeste ardite teorie; una musica che nei solchi di questo 'Lp miscela con sorprendente maestria aneliti dello spirito e ritmi tribali, ossessivi e solenni. Non v'è dubbio alcuno che quest'uovo sia frutto di serpente: vocalizzi e cadenze avvolgono l'ascoltatore nelle loro spire concentriche e stregate. Imprigionati in essi, si è costretti a seguire l'ensamble nel suo viaggio al di là del tempo alla ricerca delle radici perdute. L'Odissea pare interminabile e dolorosa, giacchè non tutti gli ostacoli vengono superati senza senza perdite, visto che gli dei, irati da tanto coraggio, con le loro maledizioni offuscano talvolta l'ingrato cammino; percorrendo all'inverso l'itinerario dell'umanità, passando fra cicliche sventure (guerre, epidemie, persecuzioni, schiavitù), segnalate da costanti litanie, i Nostri cavalcano il serpente (il fiume tortuoso, che come il fluire della vita può essere duramente seguito a ritroso sino alla foce, ai più inacessibile) e ritrovano la "lingua madre" (la ritmica è finalmente libera, e il suono dell'acqua rivela la vicinanza della verità).
E' un viaggio inusuale e caparbio, che probabilmente molti non si sentiranno di affrontare: non tutti possono assaggiare "uovo di serpente" senza subirne le conseguenze psicologiche. Tra coloro che correranno il rischio, alcuni rimarranno persino delusi, poichè questi Dead Can Dance sono in questa occasione più ostici del solito nel concedersi; ciò nondimeno, regalano ancora momenti di rara tensione emotiva.
Maurizio Lucenti da Velvet n° 3 dicembre 1988

- Into The Labyrinth
(1993) 4 AD 45384 - cd

1. Yulunga - 2. The Ebiquitous Mr. Lovegrove - 3. Thw Wind That Shakes The Barley - 4. The Carnival Is Over - 5. Ariadine - 6. Saldek - 7. Toward The Within - 8. Tell Me About The Forest - 9. The Spider's Stratagem - 10. Emmeleia - 11. How Fortunate The Man With None

Musicians:
Brendan Perry, Lisa Gerrard

Produced by Brendan Perry

Gruppi come i Dead Can Dance ne sono rimasti pochi. Veterani della 4AD, Brendan Perry e Lisa Gerrard perseguono da anni un progetto musicale che, per le sue qualità intrinseche, non ha mai trovato e mai potrà trovare che l'attenzione ed il consenso di un ristretto gruppo di fedeli ascoltatori. E ciò nonostante i Dead Can Dance hanno continuato a crederci, lavorando in un'ottica strategica caratterizzata da rigore, coerenza e, sopratutto, da un obiettivo di natura esclusivamente artistica. Questo tipo di condotta, per certi versi enconiabile, aveva tuttavia portato Brendan e Lisa ad una sorta di ripiegamento emotico ed ispirativo, ad una introversione che appariva con tutta evidenza in Aion, album scarsamente comunicativo, disomogeneo ed avaro di vive emozioni, soprafatte da una tendenza freddamente estetizzante, sintomo, a nostro avviso, di una profonda crisi creativa. Crisi che, d'altro canto, aveva radici lontane.
Nei Dead Can Dance, infatti, sono sempre state presenti due distinte anime: quella romantico-decadente di Perry e quella sinfonica-etnico-arcaicizzante della Gerrard. Nei primi tre album esse hanno convissuto in perfetta armonia, realizzando sinergie creative dagli entusiasmanti risultati. In seguito, tuttavia, questo equilibrio ha cominciato ad incrinarsi e le due linee espressive a divaricarsi in maniera preoccupante, a giustapporsi anzichè confondersi.
Into The Labyrinth non rappresenta un compiuto momento di riunione, ma comunque un primo, significativo passo in questa direzione anche se, paradossalmente, gran parte del materiale sonoro è stato composto da Brendan e Lisa in modo del tutto indipendente, vivendo l'uno in Irlanda ed in Australia l'altra.
Se non nei contenuti strettamente musicali, in qualche misura ancora dicotomici, l'album gode di un'omogeneità "atmosferica" di fondo: gli arrangiamenti d'archi sono molto misurati, il ricorso a strumenti di antica fattura strettamente funzionale e non frutto di un vezzo archeologico, mentre le percussioni vengono ad assumere spesso un ruolo di primo piano, fungendo da base unificante e conferendo alle composizioni un senso di orientabilità molto marcato.
Quel che più conta, tuttavia, è il riaffacciarsi nella musica dei Dead Can Dance dell'elemento emozionale, ancora contenuto e timoroso ma, perlomeno, non più imbavagliato dal formalismo esasperato e talvota sterile che caratterizzava
Aion. Rileviamo dunque in Into The Labyrinth il ritorno ad un'espressività più sincera, forse meno colta ed attenta dal punto di vidta filologico, ma certamente più apprezzata da quanti, come noi, hanno in passato profondamente amato il suono del gruppo.
Alberto Rossini da Buscadero n° 159 settembre 1993

- Spiritchaser
(1996) 4 AD cad 6008 - cd

1. Nierika 5.43 - 2. Song Of The Stars 10.12 - 3. Indus 9.23 - 4. Song Of The Dispossessed 4.55 - 5. Dedicacè Outò 1.14 - 6. The Snake And The Moon 6.11 - 7. Song Of he Nile 8.00 - 8. Devorzhum 6.13

Musicians:
Brendan Perry, Lisa Gerrard, Peter Ulrich, Renaud Pion, Lance Logan, Ronan O'Snodaigh

Produced by Brendan Perry and Lisa Gerrard
Recorded at Quivvy Church
Cover by Chris Bigg

Toward The Within aveva segnato uno dei momenti più alti nella carriera del duo Perry-Gerrard. La resposnsabilità che un risultato del genere comportava, era necessariamente quella di non vanificare le proprie conquiste artistiche. E' bastato mescolare le carte in tavola per risolvere questioni d'impostazione o indirizzo, accentuando l'impatto fisico con ritmi ancora più incalzanti, pescati nel reame acid-jazz come nelle ritualità del vodoo haitiano.
Spiritchaser è un lavoro che segna un ulteriore passaggio nella vicenda dei due musicisti angloirlandesi. Senza per questo dover rinunciare all'insegnamento di passate, e comunque fruttuose, esperienze musicali.
Tonino Merolli da World Music n° 23 ottobre 1996

- Toward The Within
(1994) 4 AD dad 4015 - cd

1. Rakim - 2. Persian Love Song - 3. Desert Song - 4. Yunga (spirit dance) - 5. Piece For Solo Flute - 6. The Wind That Shakes The Barley - 7. I Am Stretched On Your Grave - 8. I Can See Now - 9. American Dreaming - 10. Cantara - 11. Oman - 12. Song Of The Sibyl - 13. Tristan - 14. Sanvean - 15. Don't Fade Way

Musicians:
Brendan Perry, Lisa Gerrard, Robert Perry, John Bonnar, Ronan O'Snodaigh, Andrew Claxton, Lance Hogan

Produced by Dead Can Dance
Recorded live at The Mayfair Theatre, Santa Monica, California
Enginnering by Guy Charbonneau

- Aion
(1989) 4 AD conte 152 - vinile

1. The Arrival And The Reunion - 2. Saltarello - 3. Mephisto - 4. The Song Of The Sibyl - 5. Fortune Presents Gifts Not According To The Book - 6. As The Bell Ribgs The Maypole Spins - 7. The End Of Words - 8. Black Sun - 9. Wilderness - 10. The Promised Womb - 11. The Garden Of Zephirus - 12. Radharc

Musicians:
Brendan Perry, Lisa Gerrard

Produced by Dead Can Dance


- Anastasis
(2012) Pias 1 - cd

1. Children Of The Sun - 2. Anabasis - 3. Agape - 4. Amnesia - 5. Kiko - 6. Opium - 7. Return Of The She King - 8. All In Good Time

Musicians:
Brendan Perry, Lisa Gerrard, David Klockermann

Produced by Dead Can Dance
Recorded at Outwy Studio
Engineered by Aidan Foley
Cover Art by Brendan Perry

Dopo sedici anni un ritorno tra i più graditi e che, una volta tanto, non ci riserva alcuna delusione, Anastasis, il nuovo lavoro dei Dead Can Dance, che ritroviamo grandi come un tempo nonostante la lunga interruzione, è un disco davvero bello ed importante: lo straordinario sodalizio Gerrard/Perry riprende a produrre musica di perfetta armonia.
I nuovi pezzi sono completamente in linea con il marchio Dead Can Dance: la sempre unica voce di Lisa Gerrard, insieme a quella di Perry che non è da meno, controlla il magico mondo dei loro suoni, che ci mostrano a volte cattedrali ed a volte boschi misteriosi, a volte manieri medioevali ed a volte deserti solitari, in una tempesta di emozioni che si placa solo al termine della musica.
Anastasis, dal greco antico, significa resurrezione: la scelta di questo titolo in effetti appare in sintonia con le fasi della loro storia. Nella prima traccia, Children Of The Sun, è la voce di Perry a conquistarci, accompagnata da un arrangiamento di amplissimo respiro: orchestra, archi e ritmo potente. L'inizio di Anabasis è lento e ipnotico, la voce della Gerrard incatena, scivolando dai nostri nervi, con quella che sembra un'enigmatica invocazione. Agape rispecchia le influenze mediorientali di cui i Dead Can Dance hanno in effetti parlato diffusamente: l'esordio propone appunto suggestive sonorità "arabeggianti", alle quali si aggiunge poi il seducente canto di lei a creare un'affascinante nenia di sapore mediterraneo. Ma in Amnesia è Brendan Perry ad incantare con una malinconica ed introspettiva melodia. Kiko ripresenta l'attitudine "mediorentale" ma la completa con i vocalizzi di sapore classico della Gerrard: otto lunghi minuti di un viaggio psichico che può approdare solo lì dove conducono le morbide note di una chitarra. Opium, firmata da Perry, esordisce con percussioni tribali ma "migra" in paesaggi oscuti in cui la voce di lui, elevandosi su un ricco tappeto di archi, ci racconta parole cupe e segrete. The Return Of The She-King è una storia dai suoni nordici e medioevali, con tamburi e le sorprendenti note di arcaiche cornamuse, mentre il canto della Gerrard è di una dolcezza ultraterrena; il brano si chiude con le due voci che duettano inondandoci di indscrivibile magia. Chiude Perry con la struggente All In Good Time e con solennità antica ci apre le porte del suo mondo: ma purtroppo è l'ultima traccia.
Mrs. Lovett

- Dionysus

(2018) Pias r440cdx - cd

Act I
1. Sea Born - 2. Liberator Of Minds - 3. Dance Of The Bacchantes

Act II
4. The Mountain - 5. The Invocation - 6. The Forest - 7. Psychopomp

Musicians:
Brendan Perry, Lisa Gerrard

Produced by Dead Can Dance
Recorded at Ker Landelle Studios, Bretagne, France
Cover photo by Brendan Perry