Nick Drake



album in pagina:

- Five Leaves Left
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Brayter Layter
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Pink Moon




Il segnale è indecifrabile e magnifico; si perde al tramonto degli anni sessanta in una Londra incredibilmente fertile e vitale, inosservato, trascurato, compreso da pochi. Forse a far paura è la grande semplicità, la pulizia, l'ingenua caparbietà di un disegno potente e tenero, le tenui suggestioni suicidarie, i colori che svaniscono, le forme che si vanificano, il soffio leggero di quella voce inimitabile che racconta una favola troppo intima, o il granse senso di quei solchi cui è demandato il disperato compito di comunicare qualche cosa di tanto grande che altrimenti, per una disponibilità naturale, potrebbe soffocare, inascoltato, nel cuore.

Nick viveva a Cambridge, solitario, i prati verde cupo, l'atmosfera malinconica e distante dei colleghi gotici,, la nebbia, quei poeti romantici francesi consumati con foga giovanile, Tim Buckley e Van Morrison, gli unici ad essere ascoltati,, gli unici a rompere il plumbeo silenzio di una nostalgia diffusa. Le sue canzoni, lucide farneticazioni schizoidi, visioni malate, sconvolte, illuminazioni prese a prestito dai simbolisti francesi, culturalmente risentono della fragile innocenza della controcultura degli anni sessanta, ma poi ne evolvono i contenuti verso una ricerca sempre più interiorizzata. Musicalmente lo stile è svolazzante, delicatamente descrittivo, incline a mille sottigliezze allusive, sfiora il jazz, la bossa-nova, il blues, il folk, ma non affonda mai nella dimostrazione.

Five Lives Left, prodotto nel '68, è paragonato da molti ad Astral Weeks di Van Morrison. L'intensità, la coerenza espressiva, la purezza del segno, legano indissolubilmente queste fragili creazioni. La voce incantatrice di Nick non si altera mai, alita leggera, le sue parole di collera non accusano mai, la musica, mai aggressiva, mai passiva, fugge malinconicamente dolce.

Il gioco di chitarra, confidenziale ma lontano, evoca perfettamente la brezza infantile della voce, sufficientemente elusiva per soffiare via, sufficientemente sensitiva e calorosa per celebrare la poesia, a tratti fortemente impressionistica, delle splendide canzoni. Un canto così alto, così bello, da generare orrore per la meschinità del mondo, un fremito tanto energico da segnare per sempre le pieghe più remote dell'emozione. L'album è accolto positivamente dalla critica; con John Martyn e Fairport Convention Nick appare alla Royal Festival Hall of London. Esegue i suoi brani, mai rivolto al pubblico, lo sguardo smarrito a inseguire qualche cosa che esula dalla stessa situazione,, un'atroce barriera, forse una diffidenza congenita lo separa irrimediabilmente dalla gente. Nè l'atmosfera del club lo aiuta, troppo esile, troppo soffuso è il messaggio per non vanificarsi tra vetri, parole, risate, circomprensioni. A Londra prepara il secondo lavoro
Bryter Layter; Nick si astrae, si allontana dalla sua stessa immagine, gioca ad osservarvi dal di fuori, la sua tristezza diviene piano piano autocommiserazione. La produzione è impeccabile, gli arrangiamenti sofisticati, i ritmi jazzy del piano e del basso sembrano deridere la malinconia dei testi. L'atmosfera è magica, eterea, un incanto che può rompersi per un sospiro più greve: Bryter Layter, fanciullesco, ingenuo, Fly quasi sereno, vibrante, Sunday troppo commovente per essere semplicemente ascoltato e non intimamente patito ogni volta.

Joey Boyd, il produttore, e John Wood, l'ingegnere del suono, credono al capolavoro, ma il disco non vende. Nick è schiacciato da un peso insopportabile, la sua sensibilità un po' segreta, quasi fantomatica è troppo acuta nella percezione del dolore: una forte crisi depressiva lo stringe.

Chris Blackwell, suo nuovo produttore, gli offre un soggiorno sulla costa spagnola, Nick accetta.

Al suo ritorno, in due notti registra
Pink Moon, solo voce e chitarra, l'essenziale. E' la logica conseguenza, l'ultimo capitolo di una tormentata maturità interiore, il più profondo, il più difficile.

La malinconia visionaria di Nick risolve in autentica disperazione, spoglia, sorda, imponente nella sua bellezza inquietante.

Poi l'ospedale psichiatrico, qualche lavoro subito abbandonato, l'incapacità di reagire, parlare, muoversi.
Nick registra ancora quattro canzoni, le ultime:
Voice From The Mountain e Rider On The Wheel rievocano delicatamente i suoni di Five Leaves Left, Black Eyed Dog, invece, è asettica, distaccata, la voce è tirata, non prova più alcuna emozione, la paura, il terrore divengono soluzioni irreversibili, razionalmente previste; Hanging On A Star (attaccandosi ad una stella) l'ultima visione ed il silenzio.

Nick non ha più voglia di ridere o di piangere, si sente intorpidito, morto dentro. La cronaca lo vuole a Parigi, sulla Senna, quasi sereno, felice, deciso a scrivere nuove canzoni per Francois Hardy.

Il 25 novembre 1974, sul piatto i concerti Branderburghesi di J.S. Bach, poco distante un libro acquistato a Parigi per la madre, un silenzio troppo perfetto. Nick sul letto assopito per sempre.

Quel libro, forse un messaggio, forse no, inizia con queste parole "Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia" (dal
Il MitoDi Sisifo di Albert Camus).

Ugo Bacci da Rockerilla n° 3 marzo 1980


-Five Leaves Left
(1969) Island Records imcd 8 - cd

1. Time Has Told Me - 2. River Man - 3. Three Hours - 4. Way To Blue - 5. Day Is Done - 6. 'Cello Song - 7. The Thoughts Of Mary Jane - 8. Man In A Shed - 9. Fruit Tree - 10. Saturday Sun

Musicians:
Nick Drake, Paul Harriss, Richard Thompson, Danny Thompson, Rocki Dzidzomu, Clare Lowther, Tristan Fry

Produced by Joe Boyd
Engineering by John Wood
Cover photo by Keith Morris


Five Leaves Left, l'album d'esordio, è costruito su due tematiche fondamentali; la prima è quella della ricerca conoscitiva, oscillante fra i due poli blakiani dell'innocenza e dell'esperienza, il "river man", l'uomo del fiume è l'immagine della calma saggezza anziana, della fonte a cui attingere certezze. (...)
Se si considera che
Five Leaves Left è l'opera d'esordio di un autore soltanto ventenne i suoi contenuti musicali appaiono di una profondità addirittura stupefacente specie nelle cinque tracce che compongono la prima faciata (davvero splendida quanto a continuità) e nel brano che apre la seconda, Cello Song. Molto del merito va attribuito a Robert Kirby, amico di Drake e all'epoca anch'egli giovanissimo, a cui vengono affidati gli arrangiamenti orchestrali di alcune canzoni, su tutte spiccano When The Day Is Done e Way To Blue il cui arrangiamento per sola voce e archi lascia ancor oggi senza parole. In ogni caso tutto l'album si mantiene su livelli altissimi con l'unica lieve pecca in Saturday Sun più che altro perchè costringe Drake a forzature del canto per lui innaturali. Proprio la voce è un'altro punto essenziale della sua dimensione artistica: il tono è sempre quieto tuttavia mai monocorde, più che cantare Drake "racconta" ma nonostante questo la sua voce sembra che fluttui sempre un palmo sopra agli strumenti, così come anche Nick, forse, era un palmo sopra a tutti noi.
Antonio Vivaldi da Rockerilla n° 61 settembre 1985

- Brayter Layter
(1969) Island Records ilps 9134 - cd

1. Introduction 1.33 - 2. Hazey Jane II 3.42 - 3. At The Chime Of A City Clock 4.42 - 4. One Of These Things First 4.46 - 5. Hazey Jane I 4.24 - 6. Bryter Layter 3.16 - 7. Fly 2.56 - 8. Poor Boy 6.30 - 9. Nothern Sky 3.42 - 10. Sunday 3.39

Musicians:
Nick Drake, Dave Pegg, Dave Mattacks, Richard Thompson, Ray Warleigh, Mike Kovalski,
John Cale, Chris McGregor, Lyn Dobson, Ed Carter, Paul Harris

Produced by Joe Boyd
Engineering by John Wood
Cover photo by Nigel Waymouth


Quando incide
Brayter Layter Drake si è da poco trasferito a Londra e il disco risente del nuovo ambiente metropolitano in modo evidente. L'ascolto si fa assai più scorrevole rispetto all'opera d'esordio in special modo per il tocco lieve e jazzato che viene dato agli arrangiamenti; di certo è questo il suo lavoro più accessibile che si avvale per di più della cospicua partecipazione di session-men di chiara fama come Richard Thompson, i pianisti Paul Harris e Chris Mc Gregor, Ray Warleight e, in un brano, John Cale.
L'incanto di
Brayter Layter sta nell'accostamento fra la dolcezza profumata delle atmosfere e la sostanziale depressa tristezza che emerge dalle liriche; il Drake poeta appare qui molto cresciuto rispetto al lavoro precedente anche se certi passaggi piuttosto oscuri anticipano già la scarsa decifrabilità dei testi di Pink Moon. Lontane sono qui le possibilità ancora aperte di Five Leaves Left, Nick si allontana giorno dopo giorno sempre più dal mondo ma non c'è rabbia nè sarcasmo nelle sue frasi, anche l'angoscia sa, o per pudore sembra, essere tenuta a distanza, c'è invece la capacità di sapersi descrivere in profondità, di osservare con cura se stessi e gli altri per poi poter raccontare esattamente ciò che si è capito con il timore sempre di dire troppo o di alzare troppo la voce. In Bryter Layter il rapporto interpersonale, sempre problematico, viene cercato nel segno della necessità se non proprio nella richiesta d'aiuto, ma ormai si è fatto scuro, le macchine sull'autostrada corrono troppo veloci e sul cielo del nord sta per sorgere, già carica di presagi, la luna rosa. (...)
Antonio Vivaldi da Rockerilla n° 61 settembre 1985

- Pink Moon
(1972) Island Records IMCD 94- cd

1. Pink Moon 2.00 - 2. Place To Be 2.39 - 3. Radio 1.58 - 4. Which Will 2.56 - 5. Horn 1.19 - 6. Things Behind The Sun 3.23 - 7. Know 2.23 - 8. Parasite 3.30 - 9. Ride 2.57 - 10. Harvest Breed 1.00 - 11. From The Morning 2.25

Nick Drake solo

Produced by Wircherson Production, Ltd.
Engineering by John Wood
Cover art by Michael Trevithick

Fino al 1986, anno più o meno, nessuno parlava di Nick Drake. Poi se n'è cominciato a parlare così tento che oggi sembra proprio che su di lui tutto sia stato detto. Eppure qualcosa di non risaputo si può ancora pensare, magari uscendo dall'ambito strettamente musicale, ambito nel quale è ormai inevitabile definire indispensabili i tre dischi che Nick Drake pubblicò in vita: Five Leaves Left, Bryter Layter e Pink Moon.
Un tale allargamento di prospettiva permette di considerare il cantautore di Tanworth-in-Arden quale figura paradigmatica del '900, artista desideroso di consenso ma incapace di comunicare serenamente con gli altri se non attraverso le proprie canzoni.
Leggendo
Il Libro dell'Inquietudine, opera di un personaggio a Drake affine quale Fernando Pessoa, si incontra un passo che dice: "è meglio pensare che vivere". La frase farebbe supporre paralisi emotiva, non fosse che nel "pensare" di Bernardo Soares, il protagonista dell'opera di Pessoa, è in realtà racchiusa una straordinaria quantità di vita. La stessa che si ritrova nelle canzoni sommesse di Nick Drake, il bel cantautore che odiava salire sul palco, che parlava poco o nulla, che appena possibile scappava a casa dei genitori.
Pink Moon, undici brevi, bellissime canzoni per voce, chitarra e poche note di piano, è considerato il lavoro che chiude definitiamente la porta sul mondo.
Drake lo incide nel corso di due sessions notturne alla sola presenza del tecnico del suono John Wood, poi affida i nastri a una segretaria della Island Records e se ne torna a casa senza dire parola. Eppure
Pink Moon non è un disco totalmente disperato, è un disco in cui i sentimenti sanno ancora agire dialetticamente (proprio come Il Libro dell'Inquietudine è carico di momenti di grande gioia). E se si vuole leggervi un percorso lineare, allora questo sembra portare dall'apocalittica visione di Pink Moon ("La luna rosa vi prenderà tutti?") alla quasi panteistica serenità di From The Morning ("E ora sorgiamo/E siamo ovunque/E ora sorgiamo dalla terra"). Purtroppo l'azzurro del mattino sarebbe durato lo spazio di pochi minuti.
Antonio Vivaldi da Musiche di Repubblica n° 367 - 10 aprile 2003