Nucleus
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-
Elastic
Rock
- We'll
Talk About It Later
- Alleycat
- Under
The Sun
Ian
Carr ha compiuto da poco settantanni e gli hanno
recapitato un paio di graditi regali: due album inediti
dei Nucleus, la nobile formazione che Carr fondò sul
finire dei '60 e condusse poi tra alti e bassi per una
quindicina d'anni. Più alti che bassi, va detto, in una
postazione strategica; con la sua tromba e una mutevole
band elettro-acustica. Carr contribuì infatti in maniera
decisiva a diffondere in Europa il verbo di Miles Davis e
delle sue "new directions in music",
fiancheggiando nello stesso tempo il movimento
progressive dalla parte degli sperimentatori più colti,
come Soft Machine e Matching Mole. Per alcuni anni,
diciamo 1969-73, i Nucleus furono una limpida voce
influente, con idee interessanti e un bel cast di
collaboratori. Più avanti la musica perse di smalto e
d'attualità, la discografia si annacquò. La diecina di
albums da Labyrinth in avanti sono una miniera
solo per gli storici e certi Indiana Jones della musica
'70: ma i primi dischi, da Elastic Rock a We'll Talk About It
Later,
da Solar
Plexus
a Belladonna (accreditato come album
"solo" di Carr) vanno ricordati fra le pagine
più vibranti di quel periodo nell'aria della nuova
musica oltre il jazz - guai a parlare banalmente di
"jazz rock", sarebbe un modo di mortificarla.
Carr è scozzese di Dumfries ma ha studiato Lettere
all'Università di Newcastle e lì, nella ricca scena
cittadina, mosse i primi passi tra la fine dei '50 e
l'inizio dei '60. Trovò posto in una formazione chiamata
Emcee Five, suonando bop e assorbendo le influenze
R&B che circolavano in città. Gli Animals sono di
Newcastle, e Carr ricorda un giovanissimo Eric Burdon che
ben prima di House
Of The Rising Sun si agitava nei Kansas City
Seven, gomito a gomito con lui e altri musicisti
rampanti. Da Newcastle si trasferì a Londra e con il
sassofono Don Rendell fondò un gruppo che durò per
tutti i '60, incidendo "musica molto creativa"
per cinque apprezzati albums; non girano facilmente ma
nel primo sopratutto, Shades Of Blue per la Columbia, si dicono
buone cose. A un certo punto, come tanti musicisti della
sua generazione, Carr si stancò di suonare "un
tema, seguito da qualche assolo per e poi ancora il
tema", e puntò altrove le sue antenne. Era
l'autunno 1969. Dilagava il rock nella sua stagione più
creativa e Carr vi colse alcuni spunti importanti: idee
ritmiche e sopratutto timbriche, tutto uno spettro di
nuovi suoni elettrici "che facevano respirare la
musica in un altro modo". I Nucleus nacquero da
quell'intuizione, con alcuni giovani musicisti fra i
tantissimi di una memorabile scena londinese: l'oboista
Karl Jenkins, il batterista John Marshall, Chris Spedding
alla chitarra elettrica, Jeff Clyne al basso e, dalla
lontana Nuova Zelanda, il sassofonista Brian Smith.
La prima spinta, decisiva, venne al gruppo da una
circostanza fortuita. I Nucleus avevano appena inciso un
po' alla chetichella il primo album, Elastic Rock, quando Carr venne invitato
dalla BBC a partecipare a un torneo jazz al Festival di
Monteaux. Quel tipo di competizioni non erano proprio il
suo amore ma i ragazzi del gruppo insistevano e Carr
decise di provare comunque - un modo di promuoversi, in
ogni caso. "Avevamo vento minuti a disposizione,
venti minuti contati; c'era un tipo della giuria tra il
pubblico che cronometrava e avrebbe scandito la fine. A
noi piaceva suonare senza soluzione di continuità e
così facemmo, un set continuo di 20 minuti, intrecciando
temi molto dinamici e un finale che avevo scritto proprio
pensando di poterlo interrompere in qualsiasi momento.
Quindi fummo precisissimi e facemmo un figurone, mentre
altri vennero squalificati per essere andati oltre il
tempo stabilito. Vincemmo la gara: contro gente come John
Tchicai, Art Farmer, Wolfang Dauner, Eberhard
Weber".
Come premio i Nucleus volarono in America a suonare al
Festival di Newport; un motivo d'orgoglio ma anche un bel
modo di verificare le loro idee con la nuova musica
dall'altra parte dell'oceano. Bitches Brew e tutti quei germogli. Al
ritorno registrarono in due soli giorni We'll Talk About It
Later,
segnato profondamente da quell'entusiasmo, da quella
vertiginosa idea di nuovo e anche da un certo spirito
polemico (in copertina, una foto dei moti dublinesi del
1916, a ricordare la ferita ancora aperta del popolo
irlandese). Era una grnade band che sembrava solo
all'inizio di una lunga strada, e chissà dove avrebbe
potuto andare se avesse potuto rimanere compatta. Invece
perse i pezzi un po' per volta, e i due dischi nuovi di
queste settimane testimoniano proprio i primi mutamenti
all'interno del gruppo.
The
Pretty Redhead della Hux presenta tre brani della
formazione originale che suona alla BBC per una delle
ultime volte. E' il 9 marzo 1971, il complesso è in
forma spettacolosa e sceglie un repertorio con cui non
può sbagliare: Song For The Bearded Lady, il dolce forte tema di
Jenkins che aveva incoronato We'll Talk About It
Later,
Elastic
Rock,
tema-chiave del del primo album, e Snakehip Dream, un brano dedicato al
ballerino Ken "Snakehip" Johnson, che più
avanti intitolerà un album (Snakehip Etcetera, 1975). Arriva la
primavera, il gruppo va in tournèe in Europa e la
formazione è già cambiata. Quando suonano a Brema, il
25 maggio, e vengono registrati dalla radio tedesca.
Spedding non c'è già più così come Clyne, sostituiti
rispettivamente da Ray Russell e Roy Babbington. Quel
nastro ha dormito nei cassetti per più di trentanni ma
ora la Cuneiform lo ha pubblicato in un doppio cd di
oltre 100 minuti, Live In Bremen, distribuito in Italia da
Demos. L'ascolto di un intero show è istruttivo, perchè
immerge i Nucleus nel tipico chiaroscuro dell'epoca: una
musica che ha grandi lampi di energia ma che ogni tanto
si assopisce, che trova stimolo nell'improvvisazione
senza però sfruttare sino in fondo quel grimardello di
fantasia. La band oltretutto è nuova, e non è ancora
perfettamente rodata: basta paragonare la Song For The Bearded
Lady che
inizia lo show con quella di due mesi e mezzo prima per
trovare differenze e titubanze.
Meglio i Nucleus in studio, più compatti, più misurati.
Nel periodo di quei concerti viene un terzo album, Solar Plexus che chiude la stagione
migliore. Se ne va Jenkins (nei Soft Machine di Six) ed è una perdita grave,
non solo per i suoi oboe, sax e tastiere ma anche per la
qualità compositiva. Carr è musicista attento e
puntiglioso ma limita i voli di fantasia; piano piano la
musica prederà una piega più disciplinata, si
accomoderà nei tempi con eleganza e senza troppa voglia
di rischiare. Unica eccezione, se vogliamo Belladonna, il disco "solo"
del 1972: un gioiello di quella "open music"
britannica che sapeva spaziare dagli esperimenti di Wyatt
al "blues da camera" di John Mayall, dal
progressive dei King Crimson fino a Canterbury. Un cast
notevole. oltretutto: il produttore era Jon Hiseman e a
fianco di Carr e del fido Brian Smith si esibivano ave
McRae e Alan Holdsworth, Roy Babbington e Gordon Beck -
si notino i diversi legami con i Soft Machine, un altro
gruppo dalle molte edizioni.
Il disco Hux non si limita ai tre brani del 1971 ma
presenta un'interessante coda undici anni dopo. Carr ha
condotto i Nucleus in maniera dispotica, li ha fatti e
disfatti più volte seguendo un'idea di musica che ha
espresso non solo su disco ma anche in numerosi e
apprezzati libri (Carr è uno dei migliori saggisti di
jazz in Europa); spendendo amore amore amore per Miles e
i grandi classici, diffidenza per la scena free e un
atteggiamento distaccato per quella "fusion"
nata (distortamente) dai grandi entusiasmi anche suoi dei
primi '70. (...)
Riccardo
Bertoncelli da Rockerilla
n° 275 luglio-agosto 2003
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- Elastic Rock
(1970) Linam LM 9.00688 - cd
1. 1916 (K. Jenkins) 1.11 - 2. Elastic Rock (K. Jenkins) - 3. Striation (J. Clyne/C. Speding) 2.14 -
4.
Taranaki (B.
Smith) 1.52 - 5.
Twisted Track (C.
Spedding/Brown) 4.56 - 6. Crude Blues I (I. Carr/K. Jenkins) '54 -
7. Crude
Blues II (I.
Carr) 2.38 - 8.
1916-The Battle Of Boogaloo (K. Jenkins) 2.58 - 9. Torrid Zone (K. Jenkins) 8.54 - 10. Stonescape (K. Jenkins) 1.46 - 11. Earth Mother (Nucleus) 6.01 - 12. Speaking For Myself,
Personally, In My Own Opinion I Think (J. Marshall) 1.19 - 13. Persephones Jive (I. Carr) 2.14
Musicians:
Ian Carr, Karl Jenkins, Brian Smith,
Jeff Clyne, John Marshall, Chris Spedding
Produced by Pete King
Recorded at Trident Studio 12, 13, 16 and 21st January
1970
Cover by Roger Dean
Con un titolo sufficientemente
programmatico e a doppio senso, il "rock elastico" dei
Nucleus è in realtà un jazz strumentale con qualche inclinazione
progressiva, sopratutto nell'incede dei brani, senza asperità nè
fiammate, che alla lunga lascia però affiorare una certa freddezza
interpretativa.
E' un progetto collettivo senza virtuosismi individuali, guidato dai
fiati (Jenkins firma gran parte dei brani), con qualche arpeggio
chitarristico a tenere insieme gli assoli. Musica che scorre uniforme
e un po' distaccata dall'inizio alla fine, in un graduale mutamento
armonico senza stacchi, pause o virate: ogni brano si fonde con il
successivo, così come la materia elastica, cangiante, magmatica del
titolo. Non a caso la foto di copertina si riferisce alla nascita
dell'isola vulcanica islandese di Surtsey.
Cesare Rizzi
da Progressive & Underground, ed. Giunti
- We'll Talk About It Later
(1970) Linam LM 9.00729 - cd
1. Song For The Bearded Lady (K. Jenkins) 7.22 - 2. Sun Child (Clyne/Marshall) 5.16 - 3. Lullaby For A Lonely Child (K. Jenkins) 4.21 - 4. We'll Talk About It Later (K. Jenkins) 6.13 - 5. Oasis (K. Jenkins) 9.44 - 6. Ballad Of Joe Pimp (Clyne/Carr) 3.45 - 7. Easter 1916 (Jenkins/Carr) 8.49
Musicians:
Ian Carr, Karl Jenkins, Brian Smith,
Jeff Clyne, John Marshall, Chris Spedding
Produced by Pete King
Engineering by Roger Wake
Cover by Roger Dean
E' un sestetto più affiatato e maturo che registra il secondo album,
riuscendo a conferire ai brani una maggiore carica interpretativa,
avvicinandosi anche a un'inedita forma di jazz rock progressivo che
non era per esempio riuscita ai Soft Machine orfani di Wyatt.
La chitarra di Spedding guadagna spazio, Jenkins si conferma il punto
di riferimento dei Nucleus; i due raggiungono l'equilibrio strumentale
nel pezzo che dà il titolo al disco. La delicata Lullaby For A
Lonely Child, con Spedding al bozouki, è una composizione dai
toni struggenti r dall'incedere lento, Ballad Of Joe Pump è
invece un'inattesa dedica zappiana, primo di pochissimi brani cantati:
tra questi la conclusiva Easter 1916, il cui titolo
rimanda alle lotte repubblicane irlandesi di inizio secolo, a cui si
riferisce la foto di copertina, rielaborata da Roger Dean.
Cesare Rizzi
da Progressive & Underground, ed. Giunti
- Alleycat
(1976) Vertigo 6360 124 A - vinile
1. Phaindeaux Corner (R. Sutton) 6.20 - 2. Alleycat (I. Carr) 14.05 - 3. Splat (I. Carr)11.40 - 4. You Can't Be Sure (I. Carr/ K. Shaw/ R.
Sutton) 4.40 - 5. Nosegay (B. Berties) 4.40
Musicians:
Ian Carr, Bob Bertles, Ken Shaw,
Geoff Castle, Roger Sutton, Roger Sellers, Trevor Tomkins
Produced by Jon Hiseman
Engineering by Steve Lillywhite
Cover by Lars Hokansen
- Under The Sun
(1974) Vertigo 6360 110 - vinile
1. In Procession (I. Carr) 2.53 - 2. The Addison Trip (B. Spring) 3.53 - 3. Pastoral Graffiti (I. Carr) 3.28 - 4. New Life (R. Sutton) 7.01 - 5. A Taste Of Sarsa Parilla (I. Carr) '40 - 6. Theme 1 Sarsa Parilla (I. Carr) 6.45 - 7. Theme 2 Feast Alfresco (I. Carr) 5.56 - 8. Theme 3 Rites Of Man (I. Carr) 9.58
Musicians:
Ian Carr, Bob Bertles, Gordon Beck,
Geoff Castle, Jocelyn Pitchen, Ken Shaw, Roger Sutton,
Bryan Spring, Keiran White
Produced by Fritz Fryer
Recorded and mixed in March 1974 at Phonogram Studios,
London
Engineering by Roger Wake
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