John Mayall



album in pagina:

- Jazz Blues Fusion
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Moving On
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Looking Back
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Blues From The Lauriel Canyon
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Usa Union
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The Turning Point
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A Hard Road
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Back To The Roots
- Bare Wires
- The Blues Alone
- Crusade




collabora in:

- Living The Blues
  (Canned Head)



John Mayall fu per anni il punto di riferimento della scena blues inglese. Amante dei cambiamenti, con le sue continue evoluzioni ha effettivamente caratterizzato un'epoca.

Vecchio all'anagrafe e nello spirito, è sempre rimasto al di fuori dei movimenti giovanili, badando unicamente a cesellare il proprio stile e a scoprire talenti.

Dopo anni di oscuro apprendistato nella nativa Manchester, Mayall giunge trentenne a Londra con i suoi Bluesbreakers.

Il suo blues bianco, elettrico e naif, veloce e rockeggiante, che concede ben poco ai fiati, ruba in breve tempo il posto all'impacciato rhythm and blues di Korner. Quattro anni dopo, nel 1965, Mayall scopre una chitarra imberbe di nome Eric Clapton, che si è fatto le ossa nel complesso beat degli Yardbirds, diligente e ordinato, in grado di propellere una grinta e un ritmo più sostenuti, proprio ciò che manca al suo sound cristallino. Gli ingenui assoli di Clapton e i timidi ruggiti del leader, e sopratutto il fatto che siano improvvisati, sconvolgono la Swinging London ormai sazia di canzoncine beat. Dei brani originali svettano i lenti (
Double Crossing Time e la lunga Have You Heard) e un vivace rhythm and blues, Key To Love. Le sigle dei concerti sono però All Your Love (di Dixon) e lo strumentale Steppin' Out.

Nel 1967, con il più fantasioso Peter Green allo strumento e Aynsley Dumbar alla batteria, il blues chicagoano di Mayall diventa lo stile classico del blues revival:
Hard Road è il disco che lo incorona re del movimento (anche se in Supernatural compaiono le prime avvisaglie di una diserzione fantastica). Alla fine dell'anno, quando il leader comincia a dar segni di megalomania, l'organico si rinnova, assumendo Mick Taylor alla chitarra e due fiati. Il risultato, Crusade, è l'altro polo dello stile classico: libertà stilistica e abbondanza strumentale (protagonista però sempre l'arrangiamento di Mayall, come in Checking Up With My Baby e Death Of J.B. Lenoir). I dischi di questo periodo contengono le direttive di tutto il blues revival inglese, e sullo scheletro delle formazioni mayalliane nascono diversi complessi di primo piano, fra i quali Cream, Colosseum e Fleetwood Mac.

Con Mick Taylor alla chitarra, Dick Heckstall-Smith al sax e Jon Hiseman alla batteria, i Bluesbreakers compiono nel 1968 (
Bare Wires) un passo storico, seppellendo il blues sotto un cumulo di raffinatezze jazzistiche. La voglia di rinnovare per correre dietro ai tempi è però fatale al vecchio lupo, che fuori dal blues è come un pesce fuor d'acqua, respira con affanno e strabuzza gli occhi paonazzo.

Turning Point (1970), con Jon Mark alla chitarra e Johnny Almond al sax, riesce a suggestionare con un sound più sofisticato e una struttura più libera dei brani: il travolgente jug di Room To Move, uno dei capolavori di Mayall all'armonica e al canto, e la lunga ballata acustica swingante California, con un assolo jazz del sax e un assolo arabo del flauto. USA Union (1971) torna alla forma-canzone e, grazie ad una spalla di lusso come il violinista jazz Don Sugarcane Harris, riesce a inventare alcune brillanti ballate jazz-blues (Night Flyer, Deep Blue Sea) e altre fedeli trasposizioni dello stile dei neri (Took The Car). Nonostante queste sporadiche riuscite, la jazz-blues fusion progettata da Mayall si rivela a lungo andare un ben misero fallimento. E di quel passo finisce anche per perdere i palafrenieri più fidi.
Complessivamente la sua opera monumentale non ha eguali nella storia del blues moderno. Mayall ha creato più brani di ogni altro bluesman ed è l'unico ad aver tentato e (seppur saltuariamente) raggiunto la fusione sia con il rock sia con il jazz. Ma, per quanto finemente cesellati, i numerosi classici del "Re Lear" del blues inglese sono rimasti lettera morta e tutti i suoi seguaci hanno prima o poi disertato la causa, chi per il jazz chi per l'hard rock chi per la canzonetta.

Piero Scaruffi da:
Storia del Rock (Underground & Progressive 1967-1973) - 1989 ed. Arcana


- Jazz Blues Fusion
(1972) Polydor 2391 032 L - vinile

1. Country Road 6.55 - 2. Mess Around 2.40 - 3. Good Time Boogie 8.20 - 4. Change Your Ways 3.25 - 5. Dry Throat 5.20 - 6. Exercise In C Major For Harmonica, Bass And Shufflers 8.10 - 7. Got To Be This Way 6.15

Musicians:
John Mayall, Blue Mitchell, Clifford Solomon, Larry Taylor, Ron Selico, Freddy Robinson

Produced by John Mayall
Recorded live in Boston on 18th November 1971 and Hemler College New York on 3rd and 4th December 1971

La migliore formazione di Mayall degli anni '70 per un disco strepitoso. Un'incisione dal vivo che rimane una delle più belle pagine del blues jazzato dell'artista. Un Tourbillon di suoni e un treno ritmico senza soste si accompagnano ad assoli e peripezie di vario genere. Si parte con Contry Road, poi ci si infila in Good Time Boogie e, attraverso i funambolici esercizi per armonica, basso e fiati, si arriva all'apoteaosi finale di Got To Be This Way.
Mauro Zambellini da Rock Blues ed. Giunti

- Moving On
(1972) Polydor PD 5036 - vinile

1. Worried Mind 8.45 - 2. Keep Our Country Green 3.25 - 3. Christmas '78 4.54 - 4. Things Go Wrong 6.11 - 5. Do It 4.56 - 6. Moving On 4.22 - 7. Red Sky 3.47 - 8. Reason 3.10 - 9. High Pressure Living 6.59

Musicians:
John Mayall, Freddy Robinson, Blue Mitchell, Victor Gaskin, Keef Hartley, Charles Owens, Fred Jackson, Ernie Watts, Larry Taylor, Clifford Solomon

Produced by John Mayall
Recorded live at Whiskey A GoGo, Los Angeles on the 10th, July 1972

- Looking Back
(1969) Decca SKL 5010 - vinile

1. Mr. James 2.48 (Mayall) - 2. Blues City Shakedown 2.21 (Mayall) - 3. Stormy Monday 4.33 (Walker) - 4. So Many Roads 4.44 (Paul) - 5. Looking Back 2.34 (Watson) - 6. Sitting In The Rain 2.56 (Mayall) - 7. It Hurst Me Too 2.52 (London) - 8. Double Trouble 3.18 (Rush) - 9. Suspiction 5.27 (Mayall) - 10. Jenny 4.38 (Mayall) - 11. Picture On The Wall 3.01 (Mayall)

Musicians:
John Mayall, Jack Bruce, Eric Clapton, Roger Dean, Aynsley Dumbar, Mick Fleetwood,
Peter Green, Keef Hartley, Mick Taylor, Dick Heckstall-Smith

Produced by Mike Vernond

- Blues From The Laurien Canyon
(1969) Decca SKLI 4972 - vinile

1. Vacation 2.47 - 2. Walking On Sunset 2.50 - 3. Lauriel Canyon Home 4.33 - 4. 2401 3.42 - 5. Ready To Ride 3.32 - 6. Medicine Man 2.43 - 7. Somebody's Acting Like A Child 3.27 - 8. The Bear 4.40 - 9. Miss James 2.30 - 10. First Time Alone 4.49 - 11. Long Gone Midnight 3.27 - 12. Fly Tomorrow 8.59

Musicians:
John Mayall, Mick Taylor, Stephen Thompson, Colin Allen

Produced by Mike Vernon

Il primo album americano, diario sonoro di un viaggio in California nel periodo più intenso della nuova musica e della controcultura.
Accantonate le ampie formazioni degli ultimi anni, Mayall si fa accompagnare da un combo ridotto all'osso, in cui le chitarre sono affidate a Mick Taylor, il basso a Stephen Thompson e le percussioni a Colin Allen. Il risultato è un blues desertico, i cui i riferimenti sono i Canned Head (The Bear), Mike Bloomfield e i nuovi soggetti del revival americano. Sussurri vocali (First Time Alone) e atmosfere tra il blues e il jazz (Lauriel Canyon Home, Miss James), ma anche chitarre abrasive e fendenti di armonica (2401 e Ready To Ride) e un blues jammato di concezione psichedelica (Fly Tomorrow).
Mauro Zambellini da Rock Blues ed. Giunti

- Usa Union
(1970) Polydor 527 458 - cd

1. Nature's Disappearing 5.56 - 2. You Must Be Crazy 3.55 - 3. Night Flyer 5.33 - 4. Off The Road 2.47 - 5. Possessive Emotions 5.20 - 6. Where Did My Legs Go 3.45 - 7. Took The Car 4.08 - 8. Crying 6.27 - 9. My Pretty Girl 4.21 - 10. Deep Blue Sea 5.06

Musicians:
John Mayall, Don Harris, Larry Taylor,
Harvey Mandel

Produced by John Mayall
Recorded ar Larrabe Studios, Los Angeles on 27th and 28th July 1970
Engineered by John Judnich
Cover photo by Tapani Tapanainen

- The Turning Point
(1969) Polydor 24 28 309 - vinile

1. The Last Must Change (J. Mayall) 6.13 - 2. Saw Mill Gulch Road (J. Mayall) 4.38 - 3. I'm Gonna Fight For You J.B. (J. Mayall) 5.11 - 4. So Hard To Share (J. Mayall) 6.43 - 5. California (Mayall/Thompson) 9.14 - 6. Thoughts About Roxanne (Mayall/Thompson) 7.50 - 7. Room To Move (J. Mayall) 4.24

Musicians:
John Mayall, Jon Mark, Steve Thompson, Johnny Almond

Produced by John Mayall
Recorded live at The Filmore East, New York City on July 29, 1969
Engineering by Eddie Kraner

Nel luglio del 1968 John Mayall scioglie i Bluesbreakers con cui aveva inciso
Bare Wires e va in vacanza a Los Angeles. Di ritorno dalla California ordina i ricordi in una sorta di concept album, Blues From The Lauriel Canyon, dagli umori americani in cui dedica una canzone (The Bear) voluminoso cantante dei Canned Head Bob Hite. Quando, nel 1969, anche Mick Taylor lo lascia per unirsi ai Rolling Stones, l'indomito Mayall si ritrova a un bivio. Il suo contratto con la Decca è chiuso ma la Polydor gli offre la possibilità di continuare la sua avventura artistica in piena libertà. Piuttosto che replicare la formula di successo con cui si era fatto conoscere in giro per il mondo, ovvero attraverso quel british blues di cui è padre riconosciuto, John Mayall realizza l'opportunità di espandere i tradizionali confini del blues micelando questo col jazz e con elementi di folk. L'ispirazione gli deriva dall'ascolto della colonna sonora del film Jazz On A Summer's Day del jazzista texano Jimmy Giuffre.. Giuffre si era conquistato una certa reputazione nel 1947 come compositore di Four Brothers per Woody Herman e all'inizio degli anni '50 si era imposto come sassofonista tenore e baritono. Ma l'ammirazione dei critici e dell'avanguardia jazzistica gli arrivò nel 1955 quando Giuffre studiò la possibilità di usare un unico clarinetto e di fare del jazz eliminando uno degli strumenti cardine, la batteria. Stimolato dal lavoro di Giuffre, Mayal riduce il suo blues all'essenzialità melodica, facendo a meno di quei chitarristi elettrici (Clapton, Green, Taylor) che lo avevano accompagnato in passato e ponendo, nell'economia della band, gli strumenti sullo stesso piano, dando a ognuno la stessa voce.
Mettendo in discussione quella formula che gli aveva procurato successi, Mayall si ritrova a lavorare con un combo ridotto costituito dal bassista di
Blues From The Lauriel Canyon Steve Thompson, dal chitarrista Jon Mark e dal sassofonista e flautista Johnny Almond, un veterano delle session di Bluesbreakers With Eric Clapton.
Piuttosto che incidere le canzoni in studio, la piccola orchestra le porta direttamente "on the road" sperimentando dal vivo il nuovo show con l'uso degli strumenti acustici e l'assoluta mancanza della batteria. L'accoglienza del pubblico è entusiasmante, prima in Inghilterra e Germania e poi negli Stati Uniti dove il 12 luglio del 1969 al Filmore East di New York viene registrato, con l'ingegnere del suono Eddie Kramer, T
he Turning Point uno dei più bei album di Mayall e uno dei lavori più originali mai fatti nell'ambito del blues bianco. Un album di una bellezza stupefacente, dal feeling e dalla verve contagiosa, con canzoni da antologia. Un disco dal suono morbido e soft, che, appoggiandosi sulla strumentazione acustica e su una ritmica ridotta all'osso, riesce a infondere una energia e una intensità incredibili. Un miracolo di atmosfere rarefatte, di sfumature e silenzi, di strumenti che si intrecciano e creano uno stato di sospensione e di delicata tensione, di colpi decisi e di eleganti rifiniture jazzistiche. L'ascoltatore ne viene coinvolto in un viaggio senza ritorno, in una sorta di blues spaziale a quattro dimensioni.
Mayal canta con il suo tipico falsetto da alte quote, suona l'armonica, la slide e la Telecaster, il diligente Steve Thompson si occupa di fare il ritmo mentre il pindarico Jon Almond con il flauto e il sax crea situazioni atomosferiche di grande fascino e Jon Mark con la chitarra acustica disegna un folk blues dalle linee accattivanti. Il risultato è un soffice ed etereo jazz/blues acustico che lascia spazio all'improvvisazione strumentale e vocifera un blues sottpelle di grande feeling. Tutto l'album è a livelli stratosferici, dalla polemica anti-polizia di
The Laws Must Change al jazzato e soffuso mood in Saw Mill Gulch Raod, dall'omaggio al bluesman J.B. Lenoir (una delle influenze maggiori di Mayall) di I'm Gonna Fight For You J.B. alla strepitosa California e alla contagiosa Room To Move.
La prima è una lunga e notturna suite, avvolgente e sinuosa, che dura più di nove minuti, la seconda è una travolgente esibizione di ritmo, scat e armonica che arriva dritta nelle radio americane, facendo di
The Turning Point il più grande successo della carriera di Mayall.
Maurizio Zambellini da Buscadero n° 234 aprile 2002

- A Hard Road
(1967) Decca skli 4853 - vinile

1. A Hard Road (Mayall) - 2. It's Over (Mayall) - 3. You Don't Love Me (Cobbs) - 4. The Stumble (King/Thompson) - 5. Another Kinda Love (Mayall) - 6. Hit The Highway (Mayall) - 7. Leaping Christine (Mayall) - 8. Dust My Blues (James) - 9. There's Always Work (Mayall) - 10. The Same Way (Grren) - 11. The Supernatural (Green) - 12. Top Of The Hill (Mayall) - 13. Someday After Awhile (King) - 14. Living Alone (Mayall)

Musicians:
John Mayall,
Peter Green, John McVie, Aynsley Dumbar, John Almond, Alan Skidmore, Ray Watleigh

Produced by Mike Vernon
Recorded at West Hampsted Studios on October 11, 12, 19, 24 and November 11, 1966
Engineering by Gus Dudgeon
Cover painting by John Mayall

A Hard Road è una delle tappe storiche della creazione di un "suono nuovo" e segue di un anno l'altro importante passo di John Mayall With Eric Clapton.
Nel 1966 il pianista/armonicista/chitarrista e cantante John Mayall, dopo Alexis Korner il più grande divulgatore di blues in Gran Bretagna, si trova a lavorare con Hughie Flint alla batteria, John McVie al basso e con il giovane Eric Clapton, allora completamente sconosciuto, alla chitarra. Il disco che ne esce è una intesa interpretazione di blues urbano in cui il particolare stile di canto di Mayall è sorretto da una solida e puntuale base strumentale. La varietà degli arrangiamenti è assicurata dall'impiego di organo, piano e fiati mentre brani di Otis Rush e Freddy King permettono a Clapton di imporsi in modo perentorio. Sembra l'inizio di una grande collaborazione ed invece poco dopo Clapton abbandona il campo e il suo posto viene preso da un'altro giovane emergente, il dicianovenne chitarrista Peter Green. Hughie Flint viene rilevato da Aynsley Dumbar e con i Bluesbreakers così sistemati Mayall dà alle stampe il seminale
A Hard Road, album che evidenzia il nascente stile di Peter Green, rigoroso nei brani più tradizionalmente blues e innovativo per certe aperture in chiave psichedelica che saranno il marchio di riconoscimento dei Fleetwood Mac periodo inglese.
La nuova enfasi chitarristica di Green si traduce in giochi pirotecnici e in un suono dall'eco spaziale, ne sono dimostrazione
Dust My Blues e sopratutto l'esotico strumentale The Supernatural la cui atmosfera e i cui effetti proto-psichedelici presagiscono l'onda mistica che travolgerà Green.
John Mayall è stato la grande mente del British Blues e
A Hard Road rimane ancor oggi un disco imprescindibile nella storia del genere.
Mauro Zambellini da Buscadero n° 251 novembre 2003

- Bach To The Roots
(1971) Polydor 25-3002 - vinile

1. Prison On The Road 4.16 - 2. My Children 5.08 - 3. Accidental Suicide 6.15 - 4. Groupie Girl 3.52 - 5. Blue Fox 3.41 - 6. Home Again 4.55 - 7. Television Eye 7.31 - 8. Marriage Madness 3.34 - 9. Looking At Tomorrow 6.53 - 10. Dream With Me 5.19 - 11. Full Speed Ahead 5.20 - 12. Mr. Censor Man 4.42 - 13. Force Of Nature 6.32 - 14. Boogie Albert 2.16 - 15. Goodbye December 5.23 - 16. Unanswered Questions 4.40 - 17. Devil's Tricks 7.45 - 18. Travelling 4.38

Musicians:
John Mayall, Sugar Cane Harris, Eric Clapton, Larry Taylor, Paul Logos, Johnny Almond,
Harvey Mandel, Keef Hartley, Jerry McGee, Steve Thompson, Mick Taylor

Produced by John Mayall
Recorded between the 15 and 25 November 1970

Se il John Mayall attuale è in stato di ottima forma, come ha puntualmente notato Zambo, quello di
Back To The Roots, anno di grazia 1971, veleggiava intorno al paradiso. Qui, l'idea di blues è espansa ai massimi livelli con il meglio dei musicisti che, nel corso degli anni, hanno popolato le bands di John Mayall. Memorable man, li chiama il sottotitolo di Back To The Roots e non è una esagerazione: c'è un piccolo plotone di chitarristi guidato da un Eric Clapton in stato di assoluta grazia a cui non sono meno Mick Taylor e Harvey Mandel. Conosciutissimo il primo, per via della lunga e pericolosa frequentazione con i Rolling Stones (compreso Exile Main Street, rock'n roll masterpiece a cui diede un contributo non indifferente), un po' meno il secondo (tra l'altro era uno dei nomi destinato a succedere a Mick Taylor negli Stones) che comunque è uno strumentista di grande gusto. Senza trascurare Jerry McGee, anche se di suo in Back To The Roots non ci mette granchè. Notevoli, invece, i mezzi che mettono a disposizione Larry Taylor (bassista che è passato attraverso John Mayall, partendo da Jerry Lee Lewis e dai Canned Head per approdare, guarda un po', a Tom Waits), i batteristi Keef Hartley e Paul Lagos nonchè Johnny Almond (fiati, flauto compreso, già noto per le sue performance in The Turning Point) e Sucar Cane Harris il cui violino se ne va a zig zag quasi in tutte le canzoni. In poco più di una settimana, tra il 15 e il 25 novembre 1970, loro e un John Mayal particolarmente ispirato (anche come songwriter) registrano tra Los Angeles e Londra le tracce fondamentali di Back To The Roots che, è un ritorno alla base, allo stile più consono del leader dei Bluesbreakers. Non solo, c'è un'esplorazione delle possibilità del blues che riporta direttamente alla poliedricità dei Fleetwood Mac di Peter Green, a certi frangenti degli Yardbirds o ai primissimi album dei Jethro Tull (provate a sentire il flauto di Johnny Almond in Travelling o Dream With Me) con una carica innovativa che è rimasta inalterata a distanza di trent'anni.
In
Back To The Roots le canzoni vibrano in tutte le tonalità del blues, senza perdere di vista il songwriter di John Mayall (qui al meglio) eppure provando in continuazione nuove soluzioni, con il sovrapporsi delle chitarre elettriche (da urlo), del violino, dell'armonica dello stesso Mayall o dei fiati di Johnny Almond. Creatività sembra essere stata la parola chiave e, nel giro di pochi giorni, l'idea di base che John Mayall aveva di Back To The Roots (quella di andare a reincidere con i migliori musicisti con cui aveva collaborato in precedenza) diventa una super session stratosferica.
Marco Denti da Buscader n° 224 maggio 2001

- Bare Wires
(1968) Deram 820 538 - cd

1. Bare Wires Suite 22.54
a) Bares Wires - b) Where Did I Belong - c) Startwalking - d) Open A New Door - e) Fire - f) I Know Now - g) Look In The Mirror
2. I'm A Stranger 5.11 - 3. No Reply 3.06 - 4. Hartley Quits 2.53 - 5. Killing Time 4.45 - 6. She's Too Young 2.20 - 7. Sandy 3.45

Musicians:
John Mayall, Chris Mercer,
Dick Heckstall-Smith, Jon Hiseman, Henry Lowther, Mick Taylor, Tony Reeves

Produced by Mike Vernon and John Mayall
Recorded Decca Studios, West Hampstead, London on 3rd, 9th, 24 th and 30th April 1968
Engineering by Derek Varnals
Cover photo by Pete Smith

Se Crusade è una sorta di tributo ai maestri che hanno ispirato Mayall, quest'album rappresenta per il linguaggio blues un balzo in avanti in senso progressivo. I Bluesbreakers ampliano il range introducendo violino, chitarra hawaiana, clavicembalo e harmonium, in un mosaico sonoro in cui blues, jazz, freeform e originali episodi d'atmosfera si compongono con effetti di grande suggestione e mistero.
Fondamentale è l'apporto del batterista, Jon Hiseman e del tenore sassofonista Dick Heckstall-Smith, i due jazzisti che contribuiscono a destrutturare le regole classiche del blues.
Mauro Zambellini da Rock Blues ed. Giunti

- The Blues Alone
(1967) Deram 820 535 - cd

1. Brand New Start 3.23 - 2. Please Don't Tell 2.29 - 3. Down The Line 3.40 - 4. Sonny Boy Blow 3.46 - 5. Marsha's Mood 3.11 - 6. No More Tears 3.08 - 7. Catch That Train 2.16 - 8. Cancelling Out 4.17 - 9. Harp Man 2.41 - 10. Brown Sugar 3.41 - 11. Broken Wings 4.12 - 12. Don't Kick Me 3.06

Musicians:
John Mayall solo

Produced by John Mayall and Mike Vernon
Recorded at Decca Studios, West Hampstead, London on May 1st 1967
Engineering by Gus Dudgeon and David Grinstead
Cover photo by John Mayall

- Crusade
(1967) London 820 537 - cd

1. Oh, Pretty Woman - 2. Stand Back Baby - 3. My Time After Awhile - 4. Snowy Wood - 5. Man Of Stone - 6. ears In y Eyes - 7. Driving Sideway - 8. The Death Of J.B. Lenoir - 9. I can't Quit You Baby - 10. Streamline - 11. Me And My Woman - 12. Checkin' Up On My Baby

Musicians:
John Mayall, Mick Taylor, John McVie, Keef Hartley, Chris Mercer, Rip Kant

Produced by Mike Vernon
Engineering Gus Dudgeon

Una crociata a favore del blues e contro il dilagante pop canzonettaro vede i Bluesbreakers in formazione a sestetto, con una piccola sezione di fiati. La ritmica è affidata a Keef Hartley e John McVie, mentre Nick Taylor, giovanisimo enfant prodige del blues bianco, è il nuovo chitarrista.
Formato per la parte da cover di Albert King, Buddy Guy, Freddy King, Eddie Kirkland, Otis Rush e Sonny Boy Williamson, è un lavoro fedele ai modelli originali. The Death Of J.B. Lenoir rende maggio al misconosciuto maestro di Mayall, morto in quel periodo dopo una vita di stenti e censure.
Mauro Zambellini da Rock Blues ed. Giunti