Sonny Rollins
-
Falling
In Love With Jazz
-
The Cutting Edge
collabora in:
- Dig
(Miles
Davis)
Fossimo costretti a
identificare il "jazz" con solo un musicista, nel sommo
imbarazzo della scelta, non è difficile che la scelta ricada su Sonny
Rollins. No, non siamo impazziti e nemmeno ci siamo dimenticati del
Mingus, del Davis, degli Ellington e del Coltrane, artisti che spesso
sono anche ben di più che solo "jazz", ma se c'è un
artista che, per simbiosi con il proprio strumento,
personalità del lessico solista e capacità di rimanere saldamente
legato alle radici della musica afroamericana, può aspirare al titolo
di "colosso" dell'improvvisazione (oltre a quello,
acquisito, di colosso del sax) è certamente Theodore Walter detto
"Sonny" Rollins da Harlem, New York, classe 1930.
Come ha detto una volta Luciano Berio, "Il virtuosismo nasce
spesso da un conflitto, da una tensione fra l'idea musicale e lo
strumento, fra il materiale e la materia musicale" e il concetto
è certamente illuminante per comprendere al meglio la storia di
questo fenomenale sassofonista, che molti jazzisti contemporanei
-anche espressivamente molto distanti da lui- citano come una delle
influenze più importanti della propria musica (un paio per tutti, Ned
Rothemberg o Ken Vandermark, per non dire dello scomodo
"erede" David S. Ware): il lavoro di scavo e di invenzione,
la straordinaria architettura narrativa, la potenza sessa della
"voce" rollinsoniana è un mirabile trattato di
forma/sostanza, che spesso la mancanza di una band stabile o di una
progettualità definita ha distolto dall'attenzione degli appassionati
più irrequieti.
Crescere ad Harlem negli anni Trenta/Quaranta è la circostanza ideale
per un ragazzo come Sonny, nella cui famiglia la musica riveste un
posto di rilievo, tanto che il fratello e la sorella frequentano una
scuola specializzata come la High School Of Music And Arts e il sax
alto di un cugino diventa oggetto del desiderio per il quattordicenne
Rollins. Sono gli anni del boom del be-bop e di Charlie Parker, ma
anche gli anni nei quali l'influenza dei due grandi "padri"
del sax tenore, Coleman Hawkins e Lester Young, si fa sentire sulla
nuova generazione di strumentisti, alla quale si aggiunge anche
Rollins, passato definitivamente al tenore e lasciato l'alto all'amico
Jackie McLean.
Grazie alla frequentazione e all'amicizia dei due geni pianistici del
momento, Thelonius Monk e Bud Powell, il nome del sassofonista passa
presto di bocca in bocca come quello della più talentuosa delle
promesse e, finiti gli studi, gli vale prime incisioni, a fianco del
cantante Babs Gonzales o del più rappresentativo trombettista J.J.
Johnson, nonchè al fianco dello stesso Bud Powell in alcune
memorabili tracce incise per la Blue Note.
Con la fama, i concerti, la frenetica vita nei club, arriva puntuale
anche lo spettro dell'eroina, elemento molto diffuso nei musicisti
jazz di quegli anni e dipendenza dalla quale Rollins, così come
Coltrane, uscirà solo alla metà degli anni Cinquanta, con un
faticoso quanto deciso percorso di rinascita, fisica e spirituale. In
quegli anni comunque -è il momento di transizione dal bop alle
differenti articolazioni del linguaggio moderno- l'attività di
Rollins è intensissima: il musicista suona o incide con un numero
impressionante di maestri, senza mai venire incasellato perfettamente
in un genere (l'etichetta di musicista hard-bop per eccellenza è,
seppure non errata, certamente emplicistica). Tra i dischi di questo
primo periodo di attivotà del nostro Newk (soprannome che Rollins si
è guadagnato grazie alla somiglianza fisica con il giocatore di
baseball Don Newcombe e che tornerà in alcuni titoli di sue
composizioni) segnaliamo certamente la collaborazione con Miles Davis
in Bags Groove,
disco nel quale compaiono alcuni "classici" rollinsiani come
Doxy e
Oleo,
e Moving Out,
lavoro a proprio nome che riunisce due sedute di registrazione dal
mood differente, una delle quali impreziosita dall'inconfondibile
apporto di Monk.
A coronamento un intenso percorso di definitiva riabilitazione dalla
tossicodipendenza, Rollins si allontana temporaneamente dalle scene
musicali e si sposta nel 1955 a Chicago (tra l'altro
"costringendo" così Miles Davis a "ripiegare" su
John Coltrane). Si mantiene facendo altri lavori, ma quando in città
passa il fenomenale quintetto di Clifford Brown e Max Roach, Rollins
si unisce a loro per sostituire Harold Land: di questo gruppo abbiamo
già parlato nel ritratto di Max Roax e c'è poco da aggingere a
quanto possa dire la musica straordinaria di quella formazione,
sublime fusione di energia e architettuta sonora. Peccato che la
tragica morte di Brown (e del pianista Richie Powell) interrompa
l'incanto solo dopo pochi mesi e dal punto di vista discografico ci
resti alla fine una manciata di dischi, tra cui lo spettacolare Sonny Rollins
Plus 4, viva testimoninza di
come il sassofonista sia ulteriormente cresciuto dal punto di vista
espressivo: un pazzesco senso del blues, un'ironia pungente, la
capacità di costruire gli assoli con una straordinaria coerenza sono
caratteristiche che diventeranno, insieme alla potenza del suono
strumentale e all'energia della pronuncia, il marchio di garanzia
della musica di Rollins.
Dopo la morte di Brown, Rollins resta nel gruppo di Roach e si tuffa
così in un biennio, quello tra il 1956 e il 1957, che si rivela di
stupefacente creatività: in nemmeno un mese tra maggio e giugno del
'56 il nostro registra due pilastri del jazz moderno come Tenor
Madness (contiene, nel blues
omonimo, uno storico incontro con Coltrane, che di Rollins era ottimo
amico anche quando le cronache lo volevano "rivali") e Saxophone
Colossus, vero e proprio
scrigno di "hits" una su tutti quella St.
Thomas che legherà
indissolubilmente il calypso al nome del sassofonista. Parte in quel
periodo anche la collaborazione con l'etichetta Blue Note (fino al
allora Rollins era stato un artista della Prestige), che frutterà
cinque dischi da prendere a scatola chiusa, i due volumi semplicemente
intitolati Vol. 1
e Vol. 2,
i due live al Village Vanguard e l'intenso Newk's
Time, sospesi tra il
migliore hard-bop e quel progressivo asciugamento sonoro che lo
porterà a esplorare -con eccelsi esiti- la formula del trio senza
strumento armonico, solo con contrabbasso e batteria.
La summa di questa triangolazione giunge poso dopo, con due lavori che
si collocano al vertice del jazz moderno: Way
Out West e Freedom
Suite, rispettivamente con
Ray Brown e Shelly Manne e con Oscar Pettiford e Roach: con pochi
elementi a disposizione l'architettura rollinsiana si fa ancora più
evidente nei suoi emozionanti sviluppi, sia nel disco
"western" che nella suite, vero e proprio prototipo, per
essenzialità ed efficacia dei temi, di quella struttura base su cui
si innerveranno molti lavori del free a venire.
Lo sviluppo dei soli di Rollins è ormai epico: a partire da una
cellula tematica il sassofonosta si tuffa -grazie anche a un lessico
di ineguagliabile varietà- in una serie di variazioni che crescono
secondo una traccia narrativa irresistibile, tra le maglie della quale
emergono citazioni e rimandi che ricatturano ogni volta l'ascoltatore.
Al termine degli anni Cinquanta, che si chiudono con due dischi come Trio+Brass
e Sonny Rollins And The
Contemporary Leaders, il
sassofonosta prende la clamorosa decisione di ritirarsi per una pausa
di riflessione: se a uno sguardo superficiale può apparire
incomprensibile che un musicista al top del successo si allontani
dalla scena (tra l'altro proprio in anni di grande fervore artistico),
vanno tenuti certamente in conto una serie di problemi personali e di
insicurezze che per la grande sensibilità di Rollins richiedevano
riflessione, mancanza di pressione e ulteriore studio.
Molto si è detto dei leggendari esercizi che Rollins si trova
nottetempo a fare (per motivi di disturbo del vicinato e di sviluppo
del suono) sul ponte di Williamsburg: un giornalista lo scopre
fortuitamente e la trovata pubblicitaria che ne deriva -più o meno
volontaria- lo riproietta, siamo ormai nel 1961, nel pieno di una
scena in grande trasformazione. Sono gli anni di sviluppo della New
Thing, cui Rollins rimarrà sostanzialmente estraneo, ma con cui
dialogherà in modo trasversale, in particolar modo nello
straordinario quartetto con Don Cherry alla tromba, Henry Grimes al
contrabasso e Billy Higgins alla batteria, a cui si deve un disco di
"confine" (se possiamo così definirlo) e bellissimo come Our
Man In Jazz.
Per un motivo o un altro, pur nella loro diversità, i dischi della
prima metà degli anni Sessanta, incisi per la RCA e per la Impulse,
sono da avere e da vivere con grande attenzione: se The
Bridge,
What's
New, Sonny
Meet Hawk (simbolico
ricongiungimento con il "padre" Coleman Hawkins) brillano
per varietà di atmosfere e di reinvenzione della tradizione, i lavori
per la più spregiudicata Impulse - tre nel giro di un anno, più il
recuperato There Will Never
Be Another You- spingono il
musicista a esplorare con ulteriore coraggio la propria vorace sete di
improvvisatore, in particolare con il controverso East
Broadway Run Down,
registrato con la tromba di Freddie Hubbard e la sezione ritmica
dell'eterno "rivale" Coltrane, Jimmy Garrison al contrabasso
e Elvin Jones alla batteria. In questo lavoro il materiale tematico si
riduce davvero all'osso, ma questo non significa che i solisti possano
andare dove gli pare, anzi: la filosofia rollinsiana dello scavo
legato allo sviluppo improvvisativo è portata qui ai propri limiti
massimi, dilaniata tra lo sguardo del coevo linguaggio free (nel
catalogo dell'etichetta il disco uscì subito dopo Expression
di Coltrane) e la propria
vorace capacità di autoconoscenza attraverso la musica.
East Broasway Run Down
(ma anche gli altri due disci per la Impulse, Alfie
e On Impulse
sono assolutamente da avere) rappresenta un po' il punto di non
ritorno della musica di Rollins e una serie di fattori vanno
evidenziati: l'avvento del rock, innanzi tutto, che sulle vicende del
jazz avrà un impatto produttivo ed espressivo fondamentale, isolando
(nel bene o nel male) moltissime esperienza. Ma anche la sempre più
forte identificazione di Rollins con il proprio personaggio, quasi un
isolamento dal fluire degli eventi: non solo le sue ultime incisioni
non da leader si fermano alla fine degli anni Cinquanta, ma anche
d'ora in poi i gruppi che lo accompagneranno saranno prevalentemente
formati da onesti e muscolari comprimari, fondamentalmente funzionali
solo a esaltare le devastanti doti improvvisative del musicista. Ecco
quindi che la sua produzione dagli anni Settanta a oggi -su cui si
sofferma con acume il sassofonista italiano Maurizio Giammarco nel suo
prezioso libro su Rollins edito da Stampa Alternativa nel 1997-
va a costituire una bella lista di dischi mediamente bruttarelli o
inutili (citiamo qui come eccezione, anche per la particolarità
dell'operazione, The Solo
Album, registrato in
ispirata solitudine nel Giardino delle Scultere del MOMA nel 1985),
cui si affianca un'attività solista che anche negli ultimi anno desta
comunque interesse ed entusiasmo, quasi un rito, scandito da
torrenziali calypso, che celebra il suono, il linguaggio,
l'individualismo del musicista.
Come tutte le grandi figure del jazz, anche quella di Rollins ha la
capacità di dirci molto sul linguaggio di questa musica, ma è anche
pronta a contraddire e a mettere in crisi le stesse certezze che
sembrano acquisite: geniale artista o solenne egoista, mistico o
gigione, personalissimo interprete delle istanze strumentali di un
genere o vittima (in)consapevole della mitizzazione della figure
dell'improvvisatore? La mancanza di una risposta certa è quello che
alla fine ci conforta maggiormente e che ci consente di accostarci
ancora oggi a molte delle sue incisioni tra i primi anni Cinquanta e
la fine degli anni Sessanta con la stessa perturbante emozione che
può cogliere chi si affacci su un abisso. E scorgere laggiù in
fondo, le radici ballare.
Enrico Bettinello
da Blow Up n°126 novembre 2008
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- Falling In Love With Jazz
(1990) Millestone m 9179 - vinile
1. For All We Know 7.38
- 2. Tennessee Waltz 6.13
- 3. Little Girl Blue 7.37
- 4. Falling In Love With Jazz 4.46
- 5. I Should Care
7.29 - 6. Sister 7.01
Musicians:
Sonny Rollins, Branford Marsalis, Tommy Flanagan, Jerome Harris, Jeff
Watts, Mark Soskin, Bob Cranshaw,
Jack De Jonette, Clifton Anderson
Produced by Sonny and Lucille Rollins
Recorded at Clinton Recording Studios on New York City
Engineering by Tim Geelan and Glen Kolotkin
Cover art by Henry Matisse
- The Cutting Edge
(1974) Millestone hbs 6033 - vinile
1. The Cutting Edge (S.
Rollins) 6.47 - 2. To A Wild Rose (E.
MacDowell) 8.39 - 3. First Moves (S.
Rollins) 6.57 - 4. A House Is Not A Home (Bacharach/David)
5.29 - 5. Swing Low, Sweet Chariot (trad.
arr. S. Rollins) 14.43
Musicians:
Sonny Rollins, Stanley Cowell, Masuo, Bob Cranshow, David Lee, Mtume,
Rufus Harley
Produced by Orrin Keppnews
Recorded live during concert performance at Montreaux Jazz Festival on
Saturday, July 6, 1974
Engineering by Jim Stern
Cover photo by Tony Lane
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