John Surman
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Morning
Glory
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Private City
collabora in:
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(Misha
Alperin)
- Fragments
- In The Evening Out There
- Paul Bley Quartet
(Paul
Bley)
- Thimar
(Anouar Brahem)
- In Pa(s)Sing
(Mick Goodrick)
- Brotherhood Of Breath
(Chris McGregor)
- Extrapolation
(John McLaughlin)
- Journal
Violone II
- Mountainscapes
(Barre
Phillips)
- From
The Green Hill
(Tomasz Stanko)
Dal 1972 a oggi, John Surman ha pubblicato
sette album in perfetta solitudine, affiancando al proprio bagaglio di
dottissimo fiatista un armamentario espressivo elettronico, fatto di
sovraincisioni, loops e sequencers. Il capitolo più recente di tale
saga, che a buon diritto si può considerare l'espressione di un corpus
narrativo unico, è Saltash Bells (2012), che ha completato un ciclo ideale dopo
quarant'anni esatti. Il primo album della serie,
Westering Home, fu inciso per la Island. Successivamente, nel
1979, il primo disco di Surman per l'ECM, di cui rappresenta tutt'ora
una delle figure iconiche (come pure, en passant, una delle più feconde
cash cows), fu proprio un solo:
Upon Reflection. Hanno poi fatto seguito, sempre per
l'etichetta di Manfred Eicher,
Withholding Pattern (1985),
Private City (1987),
Road To Saint Ives (1990),
A Biography Of The Rev. Absalom Dawe (1994), fino a giungere all'album del 2012.
Westering Home è un disco che, riascoltato oggi, rivela ancor
più la sua importanza. Non solo -e non tanto- perchè è il primo passo di
un percorso che all'epoca rappresentava una novità ma piuttosto per
l'enunciazione, sia pure parzialmente acerba o disorganica, di tutti gli
elementi estetico-artistici già indicati, quasi l'arsenale di un giovane
(e già sapiente) trovarobe. In esso inizia dunque a delinearsi quel
mèlange di jazz, temi tradizionali, folk reale e immaginario che poi
verrà messo a punto nei titoli successivi, diventando cifra stilistica.
Esso è, fuori di dubbio, il progetto dove risulta più pertinente la
parola "jazz", risacca delle ondate d'avanguardia che avevano increspato
How Many Clouds You Can See (Deran, 1969). Colpisce, rispetto le opere
successive, la presenza del pianoforte (in
Mock Orange, brano evocativo di una suggestiva atmosfera,
che non avrebbe stonato, già allora, nel catalogo ECM) e delle
percussioni, oltre alla moltitudine di fiati, tastiere e sovraincisioni
(Jynjyg,
Outside The Scorpion e
Walrus). Il titolo e la foto di copertina rimandano
chiaramente a luoghi e percorsi della memoria, iniziando ad adimbrare la
tematica del ritorno.
Con Upon Reflection è più compiuta la definizione di uno stile
fatto di perizia strumentale, spunti personali, visioni ora legati ai
luoghi, ora puramente astratte ma sempre evocative. La capacità di far
dialogare le linee dei fiati sovraincisi, chiaro retaggio della pratica
in big band (ma anche di Sos, trio di ance i cui membri erano peraltro
tutti pluristrumentisti), caratterizzerà d'ora in poi tutti gli album di
Surman. Nelle note di copertina viene rammentata un'altra delle
esperienze formative di Surman: la collaborazione, a partire dal 1974,
con la danzatrice e coreografa statunitense Carolyn Carson, per balletti
inscenati all'Operà di Parigi e altrove; i brani
Edges Of Illusion e
The Lamplighter sono ispirati e composti appositamente nel
solco di quel sodalizio.
Non vi è alcun modo di dubitare dell'originalità della posizione
distillata dal duido Surman, se si considera che in
Prelude And Rustic Dance sono riproposti alcuni loops e ostinati e già
uditi nei primi anni Settanta nel trio formato da Surman con Jack Bruce
e Jon Hiseman. Infine, in
Costellation, ritorna la passione di Surman per gli
arpeggi.
Withholding Pattern nella foto di copertina sembra alludere ancora
una volta a reminescenze legate a luoghi fisici. Tali luoghi tuttavia
non si disvelano apertamente nei titoli dei brani, come altrove
avvenuto, trasfigurandosi piuttosto in immaginifiche astrazioni
musicali. O forse sono legati a un percorso abilmente celato, come
lascerebbe intendere il titolo dell'album. In
Daxology si presenta, per la prima volta in modo così
chiaro, un pensoso rimando alla musica sacra, che tornerà in opere
successive, non necessariamente solitarie.
Notevoli sono le parti al sax baritono e al clarinetto basso (All Cat's Whiskers And Bee's Knees,
The Snooper), che fanno riflettere sull'assoluto controllo
da parte di Surman delle possibilità espressive della propria formula,
colte appieno nella continua interazione tra gli strumenti, i loro
multipli sovraincisi o echeggiati e i fondali campionati, costante punto
per ulteriori ripartenze improvvisate,
Holding Pattern II sembra voler trasportare l'ascoltatore in una
sorta di spirale, in cui il percorso surmaniano rimane solo accennato e
si fa misterioso, benchè rimanga fonte di una sollecitazione emotiva
diretta.
In Private City -album sognante, di rara delicatezza,, che
esprime forse nel modo più pieno, fin dal titolo, la privateness
surmaniana- ritorna anche la musica per balletto: la splendida
Portrait Of A Romantic e
Not Love Perhaps erano state composte per la rappresentazione
dalla quale l'album trae il titolo. Le eteree filigrane disegnate da
Surman drappeggiano l'aria, delineando melodie incantate (On Hubbard's Hill), intense e dolenti (The Wanderer), mentre la sua maestria nell'esplorazione del
timbro, arricchito dai flauti dolci, ammalia, escludendo radicalmente
ogni possibile apparentamento con le più pigre forme di ambient music,,
imperanti nelle mode coeve.
Road To Saint Ives torna a palesare l'interesse per la musica
sacra (esplicito in Tintagel) ed è caratterizzato (se non nel senso
dell'esplicita descrizione, che Surman espressamente nega nelle note di
copertina) da un'evocazione nominalistica di luoghi della Cornovaglia e
del loro spirito, riemergente come da vorticosi brandelli di memoria.
Introspettivo e quieto, si segnala per l'alternanza tra brevi cammei
bucolici (Polperro,
Lostwithiel,
Kelly Bray) e per le maggiori complicazioni consentite
dall'elettronica (Trethevy Quoit,
Perranporth,
Bedruthan Steps). Contiene, probabilmente, alcune delle
migliori parti di sax soprano mai suonate da Surman.
Lo splendido A Biography Of The Rev. Absalom Dawe, dedicato a un remoto avo di Surman, è
composto (tornando ad attingere allo stesso armamentario espressivo,
ora arricchito dal timbro del clarinetto contralto) dalla consueta serie
di pannelli, accostati con rinnovata originalità. L'opera e tra le
più evocative, sebbene il narratore non possa essere altri che Surman,
che ne possiede il filo conduttore interiore e può così alterare il
sacro( A Monastic Callng,
Twas But Pietry) al profano (Druid's Circle), creare accostamenti a più voci (la
delicatissima Three Aspects, per sax soprano), invitare l'ascoltatore a
percorrere strade sconosciute (The Long Narroe Road,
Wayfarer), forse senza approdo (The Far Corners).
Infine Saltash Bells risulta forse l'opera in cui è più apertamente
evidente il flusso dei ricordi. Essi restituiscono le consuete visioni
incantate, inframezzate da brani più incalzanti. Alla panoplia di Surman
si aggiungono il tenore, il clarinetto contrabasso e l'armonica..
L'autorevolezza del solista è ai suoi massimi livelli esprimendosi con
grande serenità, senza l'aggiunta di una nota di troppo. Alle più
consuete stratificazioni sui fondali programmati (Whistman's Wood,
On Staddon Heights,
Winter Elegy) si aggiungono brani a cappella (Glass Flower, per clarinetto basso.
Aelfwin, per sax baritono), mentre
Triadichorum intreccia in sovraincisione tre baritoni. Nel
brano eponimo si ascoltano appunto le campane di Saltash, in
Cornovaglia, mentre la cavalcata finale di
Sailing Westwards sovrappone, tra gli strumenti, anche il suono
dell'armonica. E' persino superfluo sottolineare l'enorme talento di cui
Surman è dotato: le opere in solitaria rappresentano soltanto piccola
parte della sua carriera (caratterizzata da una discografia tanto
nutrita nei numeri -invero impressionante- quanto multiforme). Tuttavia
è una parte d'importanza tutt'altro che secondaria, per varie ragioni:
innanzi tutto, attraverso gli album in solo ha trovato piena espressione
il profondo radicamento surmaniano nell' "attitudine culturale"
specificatamente propria degli anni Settanta, in cui si è inizialmente
formato, innervata dalla bulimica urgenza di "sapere quanto più
possibile su tutte le opzioni musicali disponibili".
L'argomento va letto nella sua proiezione oggettiva: non è nè
secondario, nè frutto di un'ubbia di Surman ma è legato a doppio filo
alla questione nodale dello sviluppo dello sviluppo autonomo di un jazz
"europeo". Rispetto a tale questione, sia gli anni di maggiore frequenza
per le solitarie divagazioni surmaniane (gli Ottanta), sia la definitiva
scelta della partnership discografica di ECM non rappresentanoopzioni
casuali. Come icasticamente osservato da Mike Westbrook, primo
bandleader e sodale di Surman.
Ma, in aggiunta, la manciata di album in disamina offre, in una chiave
di lettura squisitamente soggettiva, scorci fortemente personali della
poetica di Surman, delle sue attitudini e dei suoi percorsi formativi,
tali da consentirne un inquadramento di privilegiata sintesi, in una
sorta di volontaria messa a nudo di fronte al proprio pubblico: Surman
si rivela lasciando che sia la musica a parlare di sè.
Ecco dunque emergere, nel progressivo disvelarsi di un'emozionante e
caleidoscopica tavolozza, il giovane corista studioso del National Song
Book, le conseguenti influenze in termini di folkish tinge, il
clarinettista in erba cui vengono inculcati il senso dell'intonazione e
la ricerca del buon suono, il solista torrenziale e intenso ma anche il
disciplinato componente di big band, il creatore di fondali musicali per
balletti mediante il ricorso all'elettronica (nel quale parte della
critica ha voluto vedere una parentela filosofica con Terry Riley,
peraltro espressamente negata da Surman in un'intervista a The Wire.
Perciò, se la sua specificità autoriale è in questo intreccio tra
(cercata) identità e luoghi, così frequentemente evocati proprio nelle
opere solitarie (come spesso fatto palese dalla titolazione dei dischi e
dei brani), Surman finisce per celebrare un certo genius loci
prettamente europeo o, se si preferisce, una personale "memoria
emotiva", interazione di luogo e di personalità.
Surman ha elaborato negli anni uno stile del tutto personale, ove si
fondono indiscusse capacità tecniche, una inconfondibile voce
strumentale, seppure declinata attraverso una moltitudine di strumenti,
la capacità di uso e di pieno dominio (tale da fugare il rischio di
appiattimento creativo) dell'elettronica, un personale vissuto. Ciò nel
quadro della nascita, dello sviluppo e del definitivo consolidamento di
un linguaggio musicale nuovo, seppure non privo di radici, pertinente a
una definita area continentale. Perciò la sua musica è anche una sintesi
delle sorti del jazz europeo (e ciò spiega la convinta adesione al
manifesto estetico dell'ECM).
Per di più, nelle opere solitarie ha pienamente rivelato al pubblico se
stesso, il proprio gusto per strutture musicali reiterate, per gli
arpeggi, per sonorità elettroniche. echi, sintetizzatori, ampliando così
la propria tavolozza espressiva forse più di quanto abbia potuto fare in
un dialogo con partner reali. L'eccezionalità di questo evento è ben
comprensibile a fronte della smisurata area coperta dai suoi interessi,
tale da far ritenere questa epifania ai limiti dell'impossibile. Il
risultato, che resta comunque frutto di un ragionato atteggiamento
complessivo, non è soltanto soggettivo, poichè comporta anche
l'affermazione di una specifica heimat, che trascende i modelli di
partenza. Così Harry Carney e John Coltrane saranno sempre sullo sfondo,
sebbene Surman abbia saputo trascenderli dando prova della propria
originalità ed essenza europea, in una peculiare sintesi di suono e
scrittura.
Sandro Cerini da
Musica Jazz n° 11, novembre 2013
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- Morning Glory
(1973) Island ILPS 9237 - vinile
1. Clodness Sky - 2. Iron Man - 3. Norwegian Steel-Septimus - 4. Hinc Illae Lacrimae-For Us
All
Musicians:
John Surman, Terje Rypdal, John Marshall, Chris
Laurence, John Taylor, Malcolm Griffiths
Produced by John Surman and Peter Eden
Recorded at the Marlowe Theatre, Canterbury 12/3/1973
Engineering by Alan Perkins
Cover photo by Fin Costello
All'inizio
degli anni '70
dopo
l'apprendistato nella big band di Mike Westerbrook, il
sassofonista lavora in coppia con John McLaughlin. al
loro sodalizio vengono fuori due album eccellenti -Extrapolation
e Where Fortune Smiles -
entrambi a nome del chitarrista. A seguire Surman
registra dal vivo Morning Glory,
un disco percorso da umori free e brividi elettrici,
nervoso, spigoloso. eccitante. Passa per l'occasione dal
baritono al soprano e raccoglie intorno a sè il meglio
del british jazz, da John Taylor (piano) a Chris Lawrence
(contrabasso) e John Marshall (batteria). Con un ospite
norvegese; l'allora sconosciuto Terje Rypdal.
Ivo
Franchi da Jam n° 65 novembre 2000
- Westering Home
(1972) Island ILPS 19194 - vinile
1. Mock Orange - 2. Whirlgig - 3. Jynjy - 4. The Druid - 5. Outside The Scorpion - 6. Watrus - 7. Hornpipe - 8. Watershed - 9. Rill A Ree
John Surman, solo
Produced by John Surman
Cover photo by Ken Foster
-
Private City
(1988) ECM 1366 - cd
1. Portrait Of A Romantic
6.56 - 2. On Hubbard's Hill
4.29 - 3. Not Love Perhaps
5.15 - 4. Levitation
3.57 - 5. Undernote
2.41 - 6. The Wanderer
5.39 - 7. Roundelay
5.10 - 8. The Wizar's Song
8.50
John Surman, solo
Produced by Manfred Eicher
Recorder on December 1987 at Rainbow Studio, Oslo
Engineering by Jan Erik Kongshaug
Cover design by Dieter Rehm
Portrait Of A Romantic and Not Love Perhaps are written for Private City
, a ballet choreographen by Susan Crow and premiered by Sadler's Wells
Royal Ballet, 1987
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