Soft Machine
album in
pagina
-
Soft
Machine
- Volume
Two
- Third
- Fourth
- Fifth
- Six
- Live
In France
- Alive
And Well
- Legacy
Live In Zaandam
- Jet
Propelled
Tutto
iniziò dall'altra parte dell'oceano; sembrava forse
allora, come oggi il Paisley, una moda passeggera. Ma il
Crosby delle Eight
Miles High stava sospendendosi su trapezi sempre più
vertiginosi, e qualche I See You ormai ne faceva anche a
meno. Certo, allora correva l'anno 1965 e l'America
faceva finta di non accorgersi di tutto questo come quasi
non si accorgesse che c'era un Vietnam a pochi
meridiani di distanza.
Nonostante la precocità degli eventi, e anche se in
Inghilterra molte delle vicende sarebbero state vissute
come un dato di costume (l'origine di ogni look-ismo),
gli "enfant terrible" del Commonwealth stavano
embrionalmente organizzando un esplosivo futuro. E' vero,
non ancora dalle parti di Tottenham Court Road, ma in
qualche ampia casa d'amico zeppa di "Stockhausen e
Ligeti" come di "Rotko e Pollock", fra
spesse bollicine di birra e lunghe discussioni. Quello
stesso anno li trova già tutti alle strette fra Beatles
"fuor d'ortodossia" e qualche Screaming, Abdabs
"bluseggiante" che sta per eliminare il vecchio
chitarrista Bob Close per uno strano tizio scarmigliato;
intorno i suoni stanno inacidendosi e Pete Brown scrive
testi per i Cream, il vecchio Marquee non basta più e la
nuova "popolazione giovane" guarda di lì
dall'oceano alle "throbbing cadences" dei
neonati Velvet attraverso lo spiraglio
dell'alternatività assoluta offerto dai nuovi fenomeni
underground. E' poi vero che attrarrà quasi tutti i
consensi il ghiro di "White Rabbit", capace di
farsi mentore, sul biplano Jefferson, delle
perdizioni-Leary ("ricordati cosa disse il ghiro:
ciba la tua testa"), e anche questo è segno dei
tempi; poi l'individualismo inglese filtrerà tutto con
una buona dose di originalità. Quel che accade val bene
una similitudine: è il passaggio immediato dai giochi
piccoloborghesi della "dolce vita" alla camera
oscura di David Hemmings in "Blow Up" - il
salto è inquietante, la chitarra spezzata abbandonata
sul marciapiede non è che la violenza che i Presley
"contenevano" lasciata dirompere e che in Via
Veneto appena appariva -. La casa dei nobili, covo per le
prime "sregolatezze" di gruppo, è per le nuove
generazioni la casa "exploited" di Zabriskie
Point o quella "evacuata" di Strawberry
Statement. E sopratutto la ribellione esce dalla fontana
di Trevi, calca le moto di Easy Rider, diventa
rivoluzione in If (film di Lindsay Anderson), mostra come
è preferibile il Dean Moriarty (e Japhy Rider) rispetto
agli stereotipi della precedente generazione.
Questi gli "estremi" del nostro discorso; certo
è che allo scadere del periodo di preparazione, chi
giungerà per primo alla sala di registrazione con le
carte in regola saranno - per caso fortuito - proprio i
Soft Machine. Con le parole del Gomelsky
"psychodelico", "...di tutti i gruppi
psichedelici i Soft Machine furono non soltanto i primi -
i Pink Floyd li seguirono - ma anche i più interessanti
con una graziosa mistura di personalità e di
background". Comunque la si pensi, non è spiacevole
far notare che se oggi esiste uno spazio per gruppi quali
Skeleton Crew (relativo), Working Week - per certi versi
- Everything But the Girl, è merito dell'enorme strappo
nel tessuto dei business da loro effettuato in quel
periodo contrastato.
Un elogiatissimo Mr. Frame stilò nel '77 per una tripla
antologia Harvest del gruppo più attendibile e laborioso
albero genealogico di molti dei figli della Simon
Langston School di Canterbury di cui Ian McDonald già
disquisiva sul numero del gennaio 1975 del New Musical
Express: "...La scuola era all'avanguardia,
esclusiva, il posto ideale per l'educazione dei figli
degli intelettuali e degli artisti locali. I più anziani
- riferendoci all'anno scolastico 1961 - erano Mike
Ratledge e Brian Hopper; studiavano Hindemith e
arrangiavano le due sonate per piano e clarinetto. (...)
Di due anni più giovane era un altro Hopper, Hugh;
all'epoca tentava di imitare il fratello
"major" suonando sax e chitarra non
essendoglisi ancor detto nulla sul basso che avrebbe
fatto la sua fortuna. Pari corso di Hugh, anche se in una
delle classi del ramo artistico, il sedicenne Robert
Wyatt dipingeva e si ingegnava polistrumentista. Dave
Sinclair, più giovane di loro di un anno nonostante già
strimpellasse il piano, non fece in tempo a diventare
loro amico".
Il "ritrovo" di cui si è detto, nel quale
circolavano anche dischi del nuovo jazz di Mingus,
Coleman, Monk e Taylor è proprio la casa di Wyatt in cui
il via vai di gente è continuo e l'aspetto
"happening" della cosa ha forse la
"sbracatura" della copertina di Third. In ogni caso, si viaggia e
si fanno gli incontri più strani appena ci si libera del
fardello scolastico; Wyatt scappa in Spagna dove certo
George Niedorf lo inizia al sotori batteristico e alla
conoscenza dell'australiano Daevid Allen, dedito
all'assunzione di suoni e "visioni" a gocce su
zollette, fra le quali si consumano molteplici possibili
reali.
Ritornando a casa il nostro si unisce alla combricola di
Hopper e di un giovane cantante-bassista, Kevin Ayers,
contribuiendo alla nascita della prima formazione dei
Wilde Flowers (giugno 1963). Come pure rivelano i
geroglifici di Frame, essa fu la pietra miliare di tutto,
The
Canterbury Stone; senza di essa non ci
sarebbero stati i gloriosi Delivery, Egg, Uriel, Khan, DC
& MSb, gli 801, i National Health, gli Hatfield and
The North, gli stessi Caravan e Soft Machine e tanti
altri "del giro". Anche Ian McDonald,
nell'opera di Frame, si chiede se questo
"frammento" aveva qualche idea su ciò che
stava iniziando: piuttosto che perder tempo a
rispondergli preferiamo vedere questa prima storica
"line up" che oltre al trio Wyatt/Hopper/Ayers
affiancava il Sinclair; quasi subito se ne vanno Ayers e
Sinclair, il primo sostituito da tal Graham Flight che
non giunge alla successiva formazione. E' fisicamente
impossibile tentare di narrare tutti gli spostamenti di
"personnel" così irrequieti e volubili, un
caleidoscopico sottobosco (proprio di Canterbury) di
creature costrette frequentemente (fin troppo) ad
appendere lo strumento al chiodo - una concezione di
"musician" troppo elastica (menefreghista del
denaro, ipersensibile e di vera commistione dell'arte con
la vita), per essere accettato dal business che
conosciamo -. In ogni modo sentiamo quel che dice Hugh
Hopper a proposito di quella acerbissima esperienza:
" Il primo "gig" dei Wilde Flowers fu al
Bear & Key Hotel in Whitseable, Kent. Suonammo Chuck
Berry, Beatles e pochissimo materiale originale". Il
seguito dell'esperienza, con formazione mutata, fa si che
il gruppo riesca persino ad emergere in una qualche sorta
di "Cantagiro" locale, e talvolta - come a
Margate, in una rassegna organizzata dalla
"pirate" Radio Caroline - riescono anche a
vincere (anche se le informazioni puntualizzano che:
"Coughlan non fu in grado di esibirsi" e
"Robert (Wyatt, n.d.s.) dovette sobbarcarsi sia la
parte della batteria, sia quella del canto. Suonammo You Put A Spell On
Me,
Sunny e Papa's Got A Brand
New Bag), ma il sound rythm'n blues del gruppo è
già da tempo ostico e indigesto per gli erratici Ayers e
Wyatt.
Così, parallela alla Wild Flower Experience, se ne fanno
molte altre in viaggi para-kerouckiani per l'Europa,
partendo dal '63; certo non si prende sul serio quella
piccola celebrità e non si dà retta a nessuno. I nostri
fanno tappa frequentemente a Parigi e poi a Maiorca che
con le note Formetera e Ibiza erano un po' la sede
dell'Internazionale Freak; gli ameni paesaggi e i
misteriosi tramonti ben vengono a conciliarsi con le
sperimentazioni sul materiale sonoro che si iniziano a
concepire. Così quando Wilde Flowers si rivoltava nella
sua amaca di banalità, almeno altrettanto qui ci si
affeziona alla gioia purissima della scoperta. Si
cospargono di sabbia gli ultimi dischi rimasti sul
grammofono, quelli marcati ESP record company di New
York, quelli di Mingus, quelli di Edgar Varese: il vento
non sarà capace di scacciarla. Sono i semi del futuro
che si gettano, assieme al Dingo Virgin, alias Daevid
Allen, un tempo temporanea comparsa nel carrozzone
dell'allora sconosciutissimo Terry Riley. Non ci si
divertirà mai più così tanto, comunque, anche se i
Tape-Loops ricompariranno periodicamente in Third e successori (manovrati da
altri). Manca un tastierista, che si trova presto in Mike
Ratledge intuitivo e strutturale; si salutano i Pye
Hasting dai destini consimili anche se più oscuri e la
"separazione legale" dei "fiori
selvaggi" si consuma. Senza Wyatt, dopo il '66, il
gruppo diventa un più precisato nucleo pre-Caravan e
pre-Delivery, sopravvivendo sino al marzo del 1967.
A. S. da
Rockerilla
n° 58 giugno 1985
|
- Soft Machine
(1968) Probe CPLP 4500 x - vinile
1. Hope For Happiness (Hopper/Ayers/Ratledge) 4.22
- 2. Joy
Of A Toy (Ayers/Ratledge)
2.56 - 3.
Hope For Happines - reprise (Hopper/Ayers/Ratledge) 1.31 - 4. Why Am So I Short? (Hopper/Ayers/Ratledge) 2.33
- 5. So
Boot If At All (Ayers/Ratledge/Wyatt)
2.33 - 6. A Certain Kind (H. Hopper) 4.06 - 7. Save Yourself (R. Wyatt) 2.26 - 8. Priscilla (Ratledge/Ayers/Wyatt) 1.05
- 9.
Lullabye Letter (K. Ayers) 4.26 - 10. We Did It Again (K. Ayers) 3.40 - 11. Plus Belle Qu'Une Poubelle (K. Ayers) 1.05 - 12. Why Are We Sleeping? (Ayers/Ratledge/Wyatt) 5.26
- 13. Bos
25/4 Lid (Ratledge/Hopper)
'48
Musicians:
Mike Ratledge, Kevin Ayers, Robert Wyatt
Produced by Chas Chandler and Tom Wilson
Soft Machine,
ovvero una delle più brillanti e forti esperienze
estetiche sotterranee che mai abbiano inchiodato assieme
e con talento jazz e avanguardia, ballata rock e
inquietudine extracolta nel defluire degli anni sessanta.
Si sono già spese parole a proposito della
"storia" del gruppo, ma qui vorremmo ancora una
volta sottolineare la fantastica contaminazione, la
prestidigitazione stravagante dei suoni, l'inteccio
divertito degli stupefatti Robert Wyatt, Kevin Ayers e
Mike Ratledge, dinnanzi al baldacchino gonfiabile dellaa
"principessa patafisica". Al di là del disco,
provate un attimo ad immaginarvi i produttori Tom Wilson
e Chas Chandler alle prese con tanta materia fertile e,
ancora pià all'esterno, l'universo hippie di Hendrix,
grande amico del trio: qualcuno noterà l'apparente
inevitabile groviglio delle ispirazioni. Qualcosa di
tutto questo - e un po' di più - c'è in questa lontana
ufficiale prova (pubblicata nel 1968 dalla Probe soltanto
negli USA).
Da Hope For Happiness
a Box
25/4 Lit,
via Joy Of A Toy, A
Certain Kind e Save
Yourself, i solchi si
inventano un dadaismo inedito e - come per l'iniziale
esperienza dei componenti Caravan - un umbratile
riconoscibilissimo climax. C'è qui dentro la primitiva
vocalità (e il drumming) di Wyatt con tanti ascolti di
John Coltrane e jazz-singers in giro, c'è la primeva
arte fuggevole ed elusiva delle tastiere di Ratledge coi
suoi tocchi di performer innovatore e sperimentatore,
c'è il germoglio della trama aristocratica che Ayers
risolve con variegati "fotogrammi"
impressionati nelle sue "non strutturate" linee
di chitarra. E se poi un disco vale anche per la sua
originale copertina "gatefold" (apribile),
potete tranquillamente aggiungere anche questo Soft
Machine al resto della collezione.
Bacci,
Badino e S. (The Softmachinery Fanclubbers) da
Rockerilla n° 86 ottobre 1987
- Volume Two
(1969) Big Beat wika 58 - vinile
1. Rivmic Melodies (including):
a) Pathaphysical
Introduction (R. Wyatt) - b) A Concise British Alphabet
pt 1 (H. Hopper/R. Wyatt) - c) Hobou, Anemone And Bear
(M. Ratledge/R. Wyatt) - d) A Concise British Alphabet pt
2 (H. Hopper/R. Wyatt) - e) Hulloder (H. Hopper/R. Wyatt)
- f) Dada Was Here (H. Hopper/R. Wyatt) - g) Thank You
Pierrot Lunaire (H. Hopper/R. Wyatt) - h) Have You Ever
Been Green? (H. Hopper/R. Wyatt) - i) Pataphysical
Introduction pt 2 (R. Wyatt) - j) Out Of Tunes (R.
Ratledge/H. Hopper/R. Wyatt)
2. Esther's Nose Job (including):
a) As Long As He Lies Perfectly Still (M. Ratledge/R.
Wyatt) - b) Dedicated To You But You Weren't Listening
(H. Hopper) - c) Fire Engine Passing With Bells Clanging
(M. Ratledge) - d) Pig (M. Ratledge) - e) Orange Skin
Food (M. Ratledge) - f) A Door Opens And Closes (M.
Ratledge) - g) 10.30 Returns To The Bedroom (H. Hopper/R.
Wyatt/: Ratledge)
Musicians:
Mike Ratledge, Robert Wyatt, Hugh Hopper
Produced by Soft Machine
Engineered by Phil Smee
Cover by Byron Gotto
Dalle
notti nere dell'underground londinese all'UFO Club di
Tottenham Court Road, i Soft Machine emergono con tutta
quella carica avanguardista che avrebbe poi offerto i
capitoli più radicali del così detto Canterbury Sound.
Siamo sul finire degli anni sessanta (1969) e in
Inghilterra le istanze del pop si intrecciano a quelle
della controcultura locale grazie anche al contributo di
giornali underground con l'International Time e
l'apertura di spazi come l'UFO.
Proprio da quello e da altri ritrovi il flusso di una
corrente culturale alternativa in seno al pop britannico
si produce in senso creativo. Il fenomeno
dell'underground fa di Londra il suo quartiere generale.
E' il tempo di sintesi musicali azzardate e sorprendenti
e di menti aperte alla sperimentazione.. Nei locali
giusti si ascolta musica liberata dagli schematismi di
certo pop, aiutata dalla prassi di un'improvvisazione
qualche volta grezza. La struttura musicale che alcuni
gruppi cominciano a frequentare è più
"libera", senza l'ardimento di una liberazione
totale. Restano magari fissi i temi di apertura e
chiusura di un pezzo, ma nel mezzo le parti più o meno
improvvisate lasciano agio ad una sperimentazione anche
sonora.
In questo clima i Soft Machine incarnano una tendenza di
assoluta avanguardia. Quando elaborano il materiale per
questo Volume Two
fanno sentire più chiaramente la loro estrazione jazz.
Il gruppo è già stato in America al seguito di Jimi
Hendrix, ha registrato il suo album d'esordio, affollato
d'intuizioni sino al rischio di confondersi, e ha subito
vistosi rimaneggiamenti di formazione. Kevin Ayers se
n'è andato, subito rimpiazzato da Hugh Hopper, e così i
Soft Machine muovono ancora una volta in trio: Robert
Wyatt, Mike Ratledge e Hopper.
Registrano dunque il secondo capitolo di una vicenda
bizzarra e importante. Volume Two
ricompone elementi disparati in un lucido volo di
fantasia. E' un esempio di psicadelia colta e
avant-garde, una sintesi evoluta di ultrarock e free jazz
che recupera intuizioni dal movimento dada e trasuda
schiuma patafisica.
In ogni modo musica intelettuale che prelude alla
focalizzazione di Third,
il doppio album all'apice della creatività del gruppo.
Bacci,
Badino e S. (The Softmachinery Fanclubbers) da
Rockerilla n° 86 ottobre 1987
- Third
(1970) Columbia col 471407 - cd
1. Facelift 20.00 - 2. Slightly All The Time 18.10 - 3. Moon In June 19.20 - 4. Out - Bloody - Rageous 19.10
Musicians:
Mike Ratledge, Robert Wyatt, Hugh Hopper, Elton Dean, Rob Spall, Lyn Dobson,
Nick Evans, Jimmy Hasting
Recorded at I.B.C. Recording Studio and at Fairfield
Hall, Croyton, January 4, 1970 and at Mother's Club,
Birmigham, January 11, 1970
Engineering by Andy Knight and Bob Woolford
(...) Il
terzo album dei Soft Machine nasce nel primo debutto dei
seventies e quando arriva su vinile mostra immediatamente
l'insanabile piega che han preso le cose Machine.
Wyatt non tarda a rendersi conto che gli Elton Dean e i
Rab Spall hanno mire inquietanti appena entrati alle
dipendenze di Ratledge. Quel che accade è che
nell'imbracato e torrido jazz rock del nuovo 'Lp gli
unici attimi genuini e "smarriti" (come nel
passato recente) diventano i diciannove minuti e diciotto
di Moon In June. Ma la
voce di Robert che cerca di opporsi in ogni modo virtuoso
alle nuove spigolosità del sound dei colleghi, non è
più quella equilibrata di una precedente versione
scaturita per Top Gear
(la cui testimonianza è chiusa in Triple
Echo).
Si forma una faglia tra il pop-singer e il group, per lo
più si dissente dall'uomo: non piace ai nuovi "herr
director" suonare la "luna di giugno",
specie in concerto. Mentre il nostro si affatica
nell'apprendere le nuove formali di Slightly
All The Time e Out-Bloody
Rageous, non c'è nessuno che si sforzi
men che minimo per imparare i suoi brani. Come s'è
detto, il nuovo album CBS mostra in vitro le nuove
tentazioni davisiane e Wyatt sul rasoio delle ottave
costretto ad accomodanti imperboli vocali. (...)
A.S.
da Rockerilla n° 58 giugno 1985
- Fourth
(1970) Columbia col 473003 - cd
1. Teeth (M. Ratledge) 9.14 - 2. Kings And Queens (H. Hopper) 5.02 - 3. Fletcher's Blemish (E. Dean) 4.37 - 4. Virtually I (H. Hopper) 5.15 - 5. Virtually II (H. Hopper) 7.06 - 6. Virtually III (H. Hopper) 4.39 - 7. Virtually IV (H. Hopper) 3.18
Musicians:
Mike Ratledge, Hugh Hopper, Robert Wyatt, Elton Dean, Roy Bobbington, Mark
Charig, Nick Evans, Jimmy Hasting, Alan Skidmore
Produced by Soft Machine
Recorded at Olympic Studios, London on Autumn 1970
Engineering by George Chkiantz
Ultimo disco con Wyatt, la cui partecipazione pare svogliata e dovuta,
e infatti non firma nulla.
I brani sono quasi tutti di Hopper, composizioni strumentali con
partecipazione del consueto stuolo di jazzisti inglesi (Elton Dean,
Mark Charig, Nick Evans, Jimmi Hasting, Alan Skidmore, più il
contrabassista Roy Bobbington dei Delivery), impegnati in una serie di
strumentali di buona levatura, ben arrangiati, suonati con
professionalità, ancora impregnati di una minima patina progressiva
che va però sbiadendo. Non è un brutto disco ma mancano del tutto le
levate d'ingegno creativo di Wyatt e lo si nota subito.
Cesare Rizzi
da Progressive & Underground, ed. Giunti
- Fifth
(1972) Columbia col 473002 - cd
1. All White (M. Ratledge) 6.06 - 2. Drop (M. Ratledge) 7.43 - 3. M C (H. Hopper) 4.54 - 4. As If (M. Ratledge) 8.23 - 5. LBO (J. Marshall) 1.31 - 6. Pigling Bland (M. Ratledge) 4.23 - 7. Done (E. Dean) 3.30
Musicians:
Mike Ratledge, Elton Dean, Hugh Hopper, Phil Howard, John
Marshall, Roy Bobbington
Produced by Soft Machine
Recorded at Advision Studios London, on November/December
1072 and January/February 1972
Engineering by Garry Martin
- Six
(1973) CBS Records 682114 - vinile
1. Fanfare (K. Jenkins) - 2. All White (M. Ratledge) - 3. Between (K. Jenkins/M. Ratledge) -
4. Riff (K. Jenkins) - 5. 37% (M. Ratledge) 6. Gesolreut (M. Ratledge) 7. E.P.V. (K. Jenkins) - 8. Lefty (Soft Machine) - 9. Stumble (K. Jenkins) - 10. 5 From 13 (J. Marshall) - 11. Riff II (K. Jenkins) - 12. The Soft Weed Factor (K. Jenkins) - 13. Stanley Stamps Gibbon Album
(M.
Ratledge) - 14.
Chloe And The Pirates (M. Ratledge) - 15. 1983 (H. Hopper)
Musicians:
Mike Ratledge, Hugh Hopper, Karl Jenkins, John
Marshall
Produced by Soft Machine
Recorded at Advision Studios London on November and
December 1972 and tracks 12 to 15 recorded live at The
Dome,Brighton and at the Civic Hall, Guilford.
Engineering by Gary Martin and Roger Beale
Cover painting by Terry Pastor
Senza Dean, sostituito dal fiatista/tastierista Karl Jenkins (dei
Nucleus), i Soft Machine danno un'ultima levata di ingegno con un
album che non piace ai fans della prima ora ma che offre qualche
motivo di interesse e riflessione.
Jenkins si è subito ritagliato un ruolo di primo piano nelle
gerarchie interne, e il suo stile (l'uso dell'oboe, per esempio)
conferisce carattere a un suono che andava spegnendosi.
E' un doppio album con due facciate dal vivo, occupate da altrettante
suites, e due di studio, che mandano a compimento le lezioni di Terry
Riley e Philip Glass più volte accennate nei tre dischi precedenti:
musica minimalista, elettronica, pulsante, che è anche il canto del
cigno del gruppo, da lì in avanti avviato rapidamente verso un jazz
rock sbiadito e di routine.
Cesare Rizzi
da Progressive & Underground, ed. Giunti
- Live In France
(1995) One Way ow 31445 - cd
1. Plain Tiffs (E. Dean) 3.32 - 2. All White (M. Ratledge) 6.23 - 3. Slightly All The Time (M. Ratledge) 13.09 - 4. Drop (M. Ratledge) 7.43 - 5. M.C. (H. Hopper) 2.59 - 6. Out - Bloody - Rageous (M. Ratledge) 13.25 - 7. Facelift (H. Hopper) 17.53 - 8. And Sevens (Soft Machine) 8.55 - 9. As If (M. Ratledge) 8.30 - 10. L.B.O. (J. Marshall) 6.08 - 11. Pigling Bland (M. Ratledge) 6.05 - 12. At Sixes (Soft Machine) 11.00
Musicians:
Mike Ratledge, Elton Dean, Hugh Hopper, John Marshall
Produced by Soft Machine
Già pubblicato dalla One Way
Records come Live In France nel 1995, quest'importante concerto
parigino del 2 maggio 1972 in veste Cuneiform beneficia di una
migliore definizione audio, ma sopratutto dà l'ooportunità di
sottolineare ancora una volta l'unicità del quartetto che durò il
tempo della seconda facciata di Fifth.
Il commiato di Robert Wyatt dal gruppo a ridosso delle session di
registrazione di quell'album fu il segnale evidente di un netto cambio
di rotta musicale, la conferma che i Soft Machine non avevano più
nulla a che fare con il rock patafisico, colto e propulsivo della
scena canterburyana. Un paio d'anni prima l'arrivo dell'altoista Elton
Dean aveva smembrato con la sua logica individualista l'uniformità
del suono e acceso il fuoco a quel furore creativo e improvvisativo
che approdò ai risultati mozzafiato di Third. Lo stesso Robert
Wyatt è in qualche modo debitore nei confronti di Dean per le vesti
capricciose che in quella sede seppe cucire addosso alla magnifica Moon
In June ma la sua indole lo teneva comunque ancorato al versante
del rock e del pop, strutture sulle quali la sua bellissima voce
poteva librarsi ed esprimersi con tutta l'anticonvenzionalità di cui
era messaggera. Così l'insistente sterzata verso il jazz elettrico e
le sofisticate architetture strumentali di Fourth misero il
bavaglio sulla bocca di Wyatt che senza pensarci un attimo lasciò
amichevolmente la congrega per formare i Matching Mole. Compensare la
perdita di Wyatt non fu ovviamente facile e la difformità delle due
facciate di Fifth ne fu evidente conferma.
Se il sax di Elton Dean trovava una valida spalla nel palese vissuto
jazzistico del batterista Phil Howard, il piano elettrico di Mike
Ratledge e il basso di Hugh Hopper preservavano invece la loro
inconfondibile voce solo con la percussività poliforme e duttile di
John Marshall, in precedenza egregiamente sfruttata dal Jack Bruce di Song
For A Taylor e dai Nucleus di Elastic Rock. Elton Dean
dovette così sopportare a denti stretti l'imbarco di Marshall e il
licenziamento di Howard, ci riuscì però solo per una ventina di
concerti (e questo è uno di quelli) dopo di che abbandono i Soft
Machine per unirsi ai progetti di Carla Bley, Keith Tippett e ai già
ricelebrati Brotherwood Of Breath.
Il repertorio di Live In France prende dalle scalette di Third
e Fifth fondendole in un'unica estesa jam composizioni quali All
White, Slightly All The Time, Out-Bloody-Rageous, Facelifts,
LBO (che dura almeno cinque minuti in più rispetto alla
versione originale grazie ad uno splendido assolo di Marshall), And
Seven e At Sixes. Tutti brani suonati ed eseguiti con un
trasporto eccezionale, sopratutto da Marshall che oltre a splendide
gamme ritmiche (da quelle più tenui a quelle più vibranti e sonore)
instilla dappertutto un pathos swingante che lega bene con i fraseggi
di Dean ed il discorso contrappuntistico di Ratledge.
Un disco che dà la misura di quanto il linguaggio dei Soft Machine
fosse telepaticamente collegato a quello che Miles Davis parlava
dall'altra parte dell'oceano in quello stesso periodo.
Olindo Fortino
da Blow Up n° 74, luglio/agosto 2004
- Alive And Well
(1978) Neon 00023 - vinile
1. White Kite (K. Jenkins) - 2. Eaos (K. Jenkins) - 3. Odds Bullets And Blades I (K. Jenkins) - 4. Odds Bullets And Blades II (K. Jenkins) - 5. Song Of The Sunbird (K. Jenkins) - 6. Number Three (J. Etheridge) - 7. The Nodder (K. Jenkins) - 8. Surrounding Silence (R. Sanders) - 9. Soft Space (K. Jenkins)
Musicians:
John Marshall, Karl Jenkins, John Etheridge, Rick
Sanders, Steve Cook
Produced by Mike Thorne
Recorded in Paris at The Theatre Le Palace, Monmartre on
6th, 7th, 8th and 9th of July 1977
Engineering by Paul Northfield
Cover photo by Daniel Decamps and Peter Lavery
- Legacy Live In Zaardam
(2005) Moonjune mjr 0006 - cd
1. Ash 11.30
- 2. 1212 12.01
- 3. Baker's Street 6.52
- 4. Kings And Queens 9.11
- 5. Two Down 2.44
- 6. Big Creese 8.32
Musicians:
Hugh Hopper, Elton Dean, John Marshall, John Etheridge
Recorded live at De Kade, Zaandam (Holland) on May 10, 2005
Engineering by Henk Weltereden and Bert Konig
Produced by Leonardo Pavkivic
Cover painting by Fernando Natalici
- Jet Propelled
(1967) Spalax 14816 - cd
1. That's How Much I Need You Now 2.24
- 2. Save Yourself 2.43
- 3. I Should've Known 7.28
- 4. Jet Propelled Photograph 2.31
- 5. When I Don't Want You 2.48
- 6. Memories 2.57
- 7. You Don't Remember 3.43
- 8. She's Gone 2.12
- 9. I'd Rather Be With You 3.40
Musicians:
Mike Ratledge, Kevin Ayers, Robert Wyatt,
Daevid
Allen
Produced by Giorgio Gomelski
Recorded in London on April 1967
Sono prove di registrazione del
1967 prodotte da Gomelski in preparazione al primo album, in
formazione a quattro con Daevid Allen. E' il disco più pop dei Soft
Machine ma anche quello con le tracce psichedeliche più immediate, in
forma di melodie trasversali, memorie barrettiane, progressioni
jazzistiche, improvvise virate strumenali, e una generale
imprevidibilità compositiva, ancor più se rapportata al periodo.
Wyatt canta con voce tesa fino alla rottura e suona la batteria come
mai si era visto nel rock.
Cesare Rizzi da
Psichedelia ed. Giunti
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