Robert Wyatt
album in
pagina
- Dondestan
- Shleep
- The Animals Film
- Old
Rotten Hat
- Nothing
Can Stop Us
- The End Of An Ear
- Rock Bottom
- Cuckooland
- Ruth Is Stranger Than Richard
- Comicopera
collabora in:
- V
(AAVV)
- Banana Moon
- Live 1963
(Daevid
Allen)
- Banana Moor
- Joy Of A Toy
- Shooting At The Moon
- Whatever She Brings We Sing
(Kevin
Ayers)
- Medùlla
(Bjork)
- Septober Energy
(Centipede)
- Another Day On Earth
- Music For Airport
- Taking Tiger Mountain
(Brian
Eno)
- Smiling And Waving
(Anja Garbarek)
- Hatfield and The North
(Hatfield and The
North)
- Concerts
- The Last Nightingale
(Henry Cow)
- Hide And Seek
- Review
- Silence
- The School Of Understanding
(Michael
Mantler)
- Diamond Head
(Phil
Manzanera)
- Little Red Record
- Matching Mole
(Matching Mole)
- Letters Home
- Sirens And Silences
(News From
Babel)
- Songs From Before
(Max Richter)
- Beauty
(Ryuichi
Sakamoto)
- Breda Reactor
- First Album
- Fourth Album
- Jet Propelled
- Second Album
- Third
- Volume Two
(Soft
Machine)
-
Voice And Instruments
(J.
Steele/J. Cage)
Un
apprendista dentista di Canterbury, attratto in ugual
misura dal free di Cecil Taylor, il bop di Charlie
Parker, l'elettronica ed i pot-head pixies dell'amico
Daevid Allen, suo compagno di viaggio nei Wild Flowers
prima e nei Soft Machine poi, bande di hobbit alla
ricerca di qualcosa.
Why are we sleeping? ci chiedeva già Robert Wyatt in
tempi lontani, dai solchi di un album inciso per caso
negli States, dopo una serie di concerti come spalla di
un promettente chitarrista di colore: Jimi Hendrix; e
già allora c'era qualcosa che ti entrava dentro, forse
l'esile roca, quasi femminea voce ed i suoi scarni
messaggi a doppio senso, <<Save yourself>>,
forse la certezza del mondo bacato e fiabesco nascosto
dietro le più sottili sfumature del suono.
Wyatt riuscirà a cantare l'alfabeto, poco più tardi,
nelle terre "psichedeliche" e dissacranti di Volume Two, tra una citazione dada ed
un'esplicita confessione della propria totale incapacità
di sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda della vita
ufficiale, del radicalismo a tutti i costi: un collage
provocatorio ma lucidissimo che è la foto di un'era,
l'autodistruzione finale che prelude a tempi
terribilmente più costruttivi.
Per esplodere: Moon
In June su
Third dei Soft Machine, un piccolo grande
miracolo che chiunque ricorda come il momento più lirico
della pur lunga storia del gruppo, e che rappresenta in
assoluto uno dei più fascinosi esempi di pop: perchè la
sua realtà è la nostra, è il nodo alla gola di chi
sente vivere dentro di sè un mondo troppo complesso,
troppo profondo per poter essere espresso con strumenti
comuni... ma che sa trovare l'estasi, la gioia, la
disperazione nelle cose più semplici e più ignorate,
una dimensione umana che dietro l'angolo della paranoia.
Un'operazione tesa a scavare impietosamente nella mente
di chi ascolta, giocando con irritante naturalezza sulla
ricettività di ogni senso. E tutto questo per un solo
istante di smarrimento o di consapevolezza, un ricordo
ancestrale ed un dolore di oggi.
Chi è dunque questo personaggio enigmatico (?) e
sfuggente, semplice ma labirintico, che tutti hanno
sentito nominare ma che pochi conoscono davvero, lo
stesso che rifiutava l'invo-incombenti sul suo vecchio
gruppo rifugiandosi in opere stupefacenti come The End Of An Ear? Che riusciva a portare un calore
quasi mediterraneo nella sua poesia, che si proclamava
ispirato da Alice Nel Paese Delle Meraviglie e che
rifiutava di parlare del suo passato, sempre teso alla
ricerca dell'attimo, del presente? The End Of An Ear, si diceva, è la chiave essenziale
per penetrare il suo mondo: sogni che il Melody Maker ha
pensato bene ignorare, e che non possono certo essere
venduti a peso, o funzionalizzati alla ricerca del
"migliore" di un referendum straccione. Sono i
tempi in cui imperversava un Ginger Baker, e ci si può
anche dimenticare di chi cerca nuove dimensioni in ogni
singolo momento della propria espressione: ma il disco
non lascia certo il tempo di perdersi in quisquiglie
tecniche, di osservare la raffinatezza e la pulizia del
gioco strumentale di Wyatt. Perchè l'impatto avviene a
mille livelli, tutti egualmente significativi ed
importanti: e l'elemento che lega e coordina ogni grido,
intuizione, l'immagine sfugge ad ogni classificazione di
comodo. Da una parte il recupero di alcuni temi, o meglio
non-temi, di derivazione jazzistica, alla ricerca di una
libertà assoluta da qualsiasi schematismo e limitazione:
il pensiero come unica forza motrice, e pochi scarni
strumenti as esplorare in assoluta autonomia il proprio
mondo, senza mai scontrarsi o castrarsi a vicenda, ma
conservando una perfetta coordinazione ed unità di
fondo. Dall'altra musica che vive ogni singolo
particolare con incredibile attenzione, ma che non perde
mai di vista i propri scopi: un messaggio importante
ripetuto in mille forme ma sostanzialmente semplicissimo.
Dove l'ascoltatore diviene finalmente il punto di
partenza, e non il terminale del suono, abbandonando la
propria "storica" passività: dove gli stimoli
al ribaltamento di ogni assioma formale si fanno
violentissimi, ed ogni stantia formula schiava della
musica-consumo muore di morte naturale.
Interpretiamo come deliri brani come Las Vegas Tango, se vogliamo: ma a ben vedere c'è
tutta una limpida chiarezza di intenti dietro alle
morbide-magiche acrobazie del suono, capace di mirare
seriamente la cultura mistificante su cui lo
show-businnes ha fondato la sua opprimente potenza. Oltre
i livelli della nostra percezione! ci ammonisce Robert
Wyatt: non è sempre tempo di "good
vibrations", e questo è il momento buono per un
radicale rinnovamento. Il simbolico orecchio del titolo,
sembra sogghignare il nostro, in realtà non ha fine: a
meno che noi stessi non vogliamo porre limiti precisi -
culturali, sensoriali ed emotivi - alla capacità di
ascoltare, di comunicare, di esprimere. Un segnale di
fumo che troppi sono impreparati a ricevere, e che cade
tristemente nel vuoto: certo, non è semplice nè comodo
accettare di rimettere in discussione ogni cosa, e
miriadi di Ten Years After e di Simon & Garfunkel
sorridono alle pagine dei giornaletti... Ma il seme è
stato gettato: ed anche se il successo commerciale
resterà sempre un sogno lontano, la figura del musicista
ne resterà comunque profondamente influenzata. Wyatt
lascia i Soft Machine, prigionieri del gelido Dean, e
tenta un'avventura davvero sua con i compagni di sempre:
Phil Miller, David Sinclair e altri ed il gruppo si
chiamerà Matching Mole: ma le strade battute saranno ben
lontane da quelle predilette da Ratledge.
Fin dal primo album: che forse non è un capolavoro come The End Of An Ear, ma che tentadi continuare il
discorso Moon
In June
con un'ancora più vasta scelta di toni e colori,
ritornando nello stesso tempo ad una maggiore linearità.
Pochi momenti sperimentali, molte atmosfere delicate e
dolcissime, da Caroline, un vecchio motivo d'amore scritto a
quattordici anni, a Signed
Courtain:
e stupende armonie vocali ad accavvallarsi e a
dissolversi, trascinando irresistibilmente ogni fibra del
corpo in meandri tutti da scoprire. Wyatt mostra di
essere, oltre che un musicista poliedrico e completo, un
abile alchimista del suono: le note del suo mellotron
godono di una fluidità incantevole, e la successione
delle atmosfere riesce sempre viva, accattivante,
convincente.
L'organo di Sinclair, il suo caratteristico timbro
"sporco" e leggero a cadenzare ogni situazione,
nebbie impalpabili e frasi appena sussurrate, o la
chitarra perennemente distorta di Miller... ogni elemento
concorre con invidiabile semplicità alla
concretizzazione di ogni spunto: l'improvvisazione
diviene automaticamente l'unica vera direttrice, ed il
respiro di chi suona entra in sincronia con la creazione
stessa. un lavoro, un'altra gemma: ma anche qui
l'aggancio con il grosso pubblico non riesce: "il
sound manca di spettacolarità", e così le figure
dei musicisti: i Bowie ed i Cooper covano nell'ombra, e
troppe persone hanno perso gusto e sensibilità nel
frastuono dei decibel in eccesso, nelle melensaggini
senza cuore dei Tops of the Pops.
Quando esce Little
Red Record
(e la copertina, con i musicsti vestiti da Guardie Rosse
a sventolare il libretto, è l'ultima amara stilettata
per chi vive di miti ed icone, di schemi e solo schemi)
la terra è già bruciata: sarà il colpo di grazia per
tutte le illusioni residue.
Dave McRee, più jazzistico, etereo e metallico di
Sinclair, è il nuovo pianista: il suono sembra ritornare
sulle strade più complesse dei migliori Soft Machine,
pur conservando i suoi caratteristici elementi fantastici
e visionari. C'è una nuova ansia di ricerca, in ogni
caso: la comprensione della necessità di un'espressione
dinamica si traduce in una continua tensione verso una
nota, un'idea diversa e più significativa, e nemmeno la
produzione di Fripp riesce a frustrare la felicità
"anarcoide" di momenti come Gloria Gloom o Righteous
Rumba. I
Matching Mole afferrano la sostanza più densa del tuo
corpo e la fanno vibrare, in una molteplice serie di
combinazioni sonore che riescono sempre ad entrare in
intimo rapporto con la sensibilità di chi ascolta; un
magma strumentale ipnotico, straordinariamente
immaginifico ed "in sintonia", destinato ancora
una volta a coinvolgere nella perfezione di ogni
sfumatura.
Ma è la fine, decretano i mostruosi conformismi dei
media, troppo occupati ad inseguire burattini
rigurgitanti lustrini: la fiaba finisce all'incontrario,
abbandonando i supi protagonisti senza gloria nè denaro,
nè fama, nè soddisfazione. McRee sceglie i Nucleus,
Miller torna con i vecchi amici di Canterbury negli
Hatfield and the North; Wyatt ha la magra consolazione di
vedere pubblicato New
Violin Summit,
con la sua esibizione al festival di Berlino nel '71, e
di essere per questo riconosciuto come uno dei "più
brillanti batteristi europei".
Il resto è cronaca. Nel giugno 197, durante un party,
Robert Wyatt vola da una finestra al quarto piano. La
prognosi è riservata e la cartella clinica parla di una
paurosa serie di fratture: il musicista vivrà ma le sue
gambe resteranno per sempre paralizzate. Un dramma che si
consuma in silenzio, solo poche righe della "stampa
specializzata" - l'uomo non fa notizia -, la
costernazione degli amici di sempre, il lavoro dei nuovi
Matching Mole (Bill McCormick, Francis Monkman, Gary
Windo) stroncato sul nascere.
Dopo dieci anni di attività Robert Wyatt si ritrova con
cinque sterline in banca e la prospettiva di una
lunghissima convalescenza. Quattro mesi dopo l'incidente,
Soft Machine e Pink Floyd - già compagni di stenti in
notti londinesi del '67, l'UFO e i primi sussulti di pop
- si esibiscono devolvendo l'intero incasso al musicista,
mentre si aprono altre sottoscrizioni. Vengono raccolte
diecimila sterline: Wyatt annuncia la sua intenzione di
continuare, anche solo come cantante o tastierista.
D'altronte - si riflette - è un vero pluristrumentista:
suonava la chitarra con Allen in Banana Moon, il basso, perfino la tromba in un
trio parigino di tanto tempo fa, accanto a Daevid Allen
ed al piano di Terry Riley: una formazione boogie woogie,
proprio così. E poi lo abbiamo ritrovato in un mattino
di maggio, una foto sull'album degli Hatfield and the
North che ce lo presenta distrutto, inchiodato ad una
sedia a rotelle, ma ancora la sua inconfondibile voce per
pochi istanti, e già centinaia di mondi si aprono...
Continuare. Robert Wyatt ci ha regalato l'incanto del
momento e la complessità del pensiero, abbandonando i
paurosi e gli imitatori sulle comode strade del
"rock-jazz" o di qualsiasi altro discorso
troppo semplice; è divenuto una paria della scena
inglese per trovare una conoscenza illimitata - e le sue
opere sono fonti inesauribili di spunti ed idee, il
passato ed il futuro... -, con una determinazione lontana
da ogni calcolo utilitaristico quanto lucida e beata,
paga della propria stupenda consapevolezza.
Marco
Fumagalli
|
- Dondestan
(1991) Rough Trade Rough 741 - vinile
1. Costa - 2. The Sight Of The Wind - 3. Worship - 4. Catholic Architecture - 5. Shrinkrapp - 6. Left On Man - 7. Lisp Service - 8. CP Jeebbies - 9. Dondestan
Robert Wyatt solo
Recorded at Chapel Studios, South Thoresby, Linconshire
1991
Engineering by Matt Kemp
Cover by Alfreda Benge
Robert Wyatt è un signore inglese sulla cinquantina.
Alla fine degli anni '60 ebbe una discreta notorietà
come batterista e cantante dei Soft Machine, definito dai
critici musicali dell'epoca gruppo di
"pop-jazz". Nel 1974, subito dopo un gravissimo
incidente che lo costringe da allora su una sedia a
rotelle, Wyatt pubblicò per la neonata Virgin Records,
lo splendido album Rock Bottom.
Da qui l'attività artistica di Wyatt si rallentò molto,
in parte a causa del suo handicap, in parte per la sua
crescente attività politica all'interno del partito
comunista inglese.
Oggi, in un momento sicuramente difficile per questa
ideologia, Wyatt pubblica in assoluta solitudine il suo
nuovo disco. La sua voce, in parte in
"falsetto" e in parte al naturale è eterea ed
allo stesso tempo pura e luminosa; il suo modo di suonare
la batteria è energico e preciso (sembra quasi
incredibile considerato che non può usare la cassa); il
piano e le tastiere mai virtuosistici, sono ispirati ed
essenziali (da sottolineare le belle e particolari
sonorità dei synths, oggi utilizzati più o meno da
tutti con suoni banali e scontati).
I brani più interessanti dell'album sono Costa,
The Sight Of The Wind,
Catholic Architecture,
Worship (con illustre
citazione del brano bop Salt Peanuts
di Charlie Parker), CP Jeebbies,
Left On Man e Dondestan
(dove una buffa cantilena e un "drumming" molto
vigoroso sono contrapposti a un testo un po' tragico e a
dei "pedali" di organo abbastanza
inquietanti...); insomma, ho citato otto brani su 10, per
cui mi sembra abbastanza evidente che sto parlando di un
disco per me molto bello. Perchè recensire proprio
questo disco su World Music? Perchè la musica di Wyatt
oggi non è nè rock nè jazz, tantomeno potrebbe essere
definita canzone d'autore: è solo la musica - molto
ispirata e completamente vera - di uno splendido bardo
che non vive in Burkin Faso o in Senegal ma nella vecchia
Inghileterra.
Pierluigi
Castellano da World Music n° 7- gen/feb 1992
- Shleep
(1997) Hanniball hncd 1418 - cd
1. Heaps Of Shleeps 4.56 - 2. The Duchess 4.18 - 3. Maryan 6.11 - 4. Was A Friend 6.09 - 5. Free Will And Testament 4.13 - 6. September The Ninth 6.41 - 7. Alien 6.47 - 8. Out Of Season 2.32 - 9. A Sunday In Madrid 4.41 - 10. Blues In Bob Minor 5.46 - 11. The Whole Point Of No
Return 1.25
Musicians:
Robert Wyatt, Brian Eno, Jamie Johnson, Evan Parker, Philip Catherine, Chucho Merchan, Chikako Sato,
Alfreda Benge, Paul Weller, Annie Whitehead, Phil Manzanera, Gary Azzukx
Produced by Robert Wyatt
Recorded at Phil Manzanera's Gallery Studio, Chertsey on
autunm and spring 1996 - 97
Engineering by Jamie Johnson
Cover by Alfreda Benge
Comprate questo disco e diffondetelo! Raramente si
gioisce per un'uscita discografica. Questa volta è il
caso di farlo. Abbiamo tra le mani il miglior disco di
jazz dell'anno (per alcuni sarà una provocazione ma è
così) e, al tempo stesso, uno dei dieci dischi del
decennio.
A sei anni dall'ultimo Dondestan,
Robert Wyatt torna alle radici abbottonate del rock di Rock
Bottom, all'elegia sonora sudafricana
(la sua tromba è un caldo saluto a Mongezi Feza). I
temi, di una forza straordinaria, avvicendano azzeccate
partnership: Phil Manzanera dei Roxy Music, Brian Eno,
Paul Weller, il chitarrista belga Philip Catherine e il
sax libero di Evan Parker.
Questo disco spazza via le diatribe sul buon gusto
musicale, sulla genialità (presunta) dei Radiohead.
Veemente come l'ira veterotestamentaria, offre la spada a
quanti combattono le penose mediocrità discografiche, la
loro legge della necessità.
Luca
Perini
da World Music n° 28 settembre 1997
- The Animals Film
(1982) Rough Trade r 3172 - cd
Robert Wyatt solo
(...)
Testimonianze di umanità, di eventi, appunti di note,
ricordi ed intense emozioni di un uomo che si sente parte
attiva di una collettività che vive drammaticamente il
suo tempo. E non fa specie che Wyatt abbia aderito alla
richiesta di dare un senso sonoro alle immagini della
pellicola The Animals Film,
primo film del Animals Liberation Movement, "un
comprensivo sguardo alle ingiustizie commesse contro gli
animali nella società occidentale". Il film, un
contributo di immagini, ed interviste, commenti, su certe
atrocità cui sono sottoposti gli animali, più o meno
giustificati, motivi di ricerca scientifica.
La sound-track, ventotto minuti e undici secondi di
suoni, commenti ritmici, vocalizzi, ideati, scritti ed
eseguiti da Robert Wyatt. Nate per commentare delle
immagini, queste musiche, seguono una parabola di
allucinante lucidità, trovando persino un preciso
significato separate dalle immagini. Le forti suggestioni
di cui sono portatrici, evocano alla perfezione la
dimensione drammatica di un'atrocità patita nel
silenzio, di un urlo di dolore di cui tutti, in fondo,
siamo a conoscenza.
Ugo
Bacci
da Rockerilla n° 25 giugno 1982
- Old Rotten Hat
(1985) Rough Trade Rough 69 - vinile
1. Alliance - 2. The United States Of
Amnesia -
3. East
Timor - 4. Speechless - 5. The Age Of Self - 6. Vandalusia - 7. The British Road - 8. Mass Medium - 9. Gharbzadegi - 10. P.L.A.
Robert Wyatt solo
Cover by Alfreda Benge
Un
avvenimento, come possono esserlo solamente i fatti che
accadono una volta ogni dieci anni, che occorre
accogliere e festeggiare dunque con tutti i necessari
riguardi. Come definire altrimenti il primo album di
Robert Wyatt dal 1975 a oggi? Dieci nuove canzoni, per
chi sa quanto le sue canzoni possono valere,
rappresentano un piccolo tesoro da amministrare
parsimoniosamente negli anni a venire, così come si fece
con quelle di Rock Bottom,
il suo più intenso lavoro discografico prima di questo,
dal lontano '74 ai giorni nostri.
Ma veniamo al disco nuovo: com'era lecito e auspicabile
attendersi dal quarantenne di Bristol, Old
Rotten Hat è qualcosa di molto di più
(o molto di meno, se preferite) di un comune disco. Molto
di meno, poichè si tratta di una raccolta di pensieri,
riflessioni, ideuzze, difficilmente omologabili nel
contesto di ciò che abitualmente i dischi
"moderni" possono offrire in termini di
ricchezza di suoni e raffinatezze tecnologiche. Molto di
più, perchè, oltre le melodie (splendide), i ritmi
(carezzevoli) e le armonie vocali (ovviamente
impareggiabili), Old Rotten Hat
propone, e non impone, una sua "visione del
mondo", doviziosa di giudizi e opinioni politiche,
vivacemente polemica e mai priva di adeguate ragioni.
Wyatt, così, divaga, quasi chiaccherasse con amici e
compagni di lotta, occupandosi dell'equivoca libertà di
cui si fanno vanto gli Stati Uniti, di patto sociale e
dilagante edonismo, razzismo e mass-media. Verboso?
Tutt'altro! Ovunque l'ardore militante ben si concilia
con l'estro petico ed è musicalmente temperato da quel
suo solito, invidiabile buon gusto. (...)
(...) Ciò nonostante, dicevamo, l'enfasi filosofica non
interrompe, anzi integra e impreziosisce, il discorso
musicale, che muove dal mosaico jazz-minimale-gregoriano
della sua metà degli anni '70 evolvendo lungo
l'itinerario appena accennato nei solchi dei numerosi 45
giri pubblicati per la Rough Trade.
C'è The Age Of Self,
che nasce da quei ritmi caraibici che Wyatt predilige, ma
anche l'ostinata reiterattività della superba British
Road, e quindi via via: jazzismo
stralunato, ballate pastorali che nico amerebbe cantare,
ambizioni d'esperanto armonico (otto minuti di Gharbzadegi
se non ci credete...). Una canzone, tenerissima, d'amore
è posta in chiusura, dedicata ad Alfie, sua compagna da
lunghi anni, autrice come già in passato, della
copertina dell'album.
Pochissime altre cose: il disco è stato registrato parte
l'altro anno e parte la scorsa estate, Wyatt fa tutto da
solo (o così almeno si intuisce dalle spartane note di
copertina), c'è qualche ringraziamento, qui e là, uno
anche per l'ex-Raincoats Vicky Aspinall. Questo per la
cronaca.
Per il resto, l'esortazione a procurarvi Old
Rotten Hat suona a questo punto quasi
superflua.
Alberto
Campo
da Rockerilla n° 64 dicembre 1985
- Nothing Can Stop Us
(1982) Hannibal hncd 1433 - cd
1. Born Again Cretin - 2. At Last I Am Free - 3. Caimanera - 4. Grass - 5. Stalin Wasn't Stalin' - 6. Red Flag - 7. Strange Fruit - 8. Arauco - 9. Trade Union - 10. Stalingrad
Musicians:
Robert Wyatt, Bill McCormick, Harry Becket, Mogotsi
Mothle, Frank Roberts, Esmall Shek, Kadir Durvesh
Produced by Robert Wyatt
Cover by Alfreda Benge
Lo scorso
anno la Base Records, indipendente e coraggiosa indie
bolognese, aveva pubblicato la compilazione dei quattro
singoli Rough Trade, editi precedentemente in
Inghilterra. L'album ebbe ottime recensioni in vari paesi
europei, cosicchè la Rough Trade ha pensato bene di
pubblicare su 'Lp i quattro classici 45 giri di Wyatt
aggiungendo però altri brani.
Born Again Cretin,
già pubblicato sulla notevole cassetta NME/RT
81, e Red Flag,
canzone di indubbia estrazione politica.
Il lavoro, anche per un missaggio più completo, risulta
più omogeneo in questa edizione, che comprende, tra
l'altro, un testo di Hannah Charlton, che spiega
diffusamente le ragioni per cui Wyatt ha inciso questa
serie di canzoni, dal sapore volutamente politico.
P.C
da
Buscadero n° 16 maggio 1982
- The End Of An Ear
(1971) CBS 318 46 - vinile
1. Las Vegas Tango (part one) 8.13 - 2. To Mark Everywhere 2.26 - 3. To Saintly Bridget 2.22 - 4. To Oz Alien Daevyd And Gilly
2.09 - 5. To Nick Everyone 9.15 - 6. To Caravan And Brother Jim 5.22 - 7. To The Old World 3.18 - 8. To Carla Marsha And
Caroline 2.47
- 9. Las
Vegas Tango (part
two) 11.07
Musicians:
Robert Wyatt, Nerette Whitehead, Elton Dean, Mark Charig, David
Sinclair
Produced by Robert Wyatt
Engineering by Vic Gamm
Coraggiosa e rivoluzionaria miscela di free jazz e sperimentazione,
eseguita con uno spirito trasversale, schemi liberi e aperti, scale
indiane, e percussioni di vario tipo, suonate con estro da uno dei
più grandi batteristi di tutto il rock.
E' il disco del distacco programmatico dai Soft Machine e dal rock
jazz, verso zone di progressive underground/sperimentale. Aiutato da
un piccolo gruppo di amici (i fiatisti Elton Dean e Mark Charog, David
Sinclair, Neville Whitehead), Wyatt si impegna in un tour de force di
libera creatività che lascia un segno profondo nella musica inglese
del periodo: quello di Wyatt è uno stile poco accondiscendente,
aggressivo nel tentativo di sfondamento del rock, rivoluzionario
nell'apertura di nuove strade che dispiegano una libera anarchia
compositiva, espressiva, interpretativa.
I brani sono tutte dediche poco canoniche ma affettuose a vecchi amici
(Daevid Allen, Caravan), con due libere riletture di Las Vegas
Tango, di Gil Evans, che hanno dell'incredibile per intensità e
stravolgimento.
Cesare Rizzi
da Progressive & Underground, ed. Giunti
- Rock Bottom
(1994) Virgin 8307 - vinile
1. Sea Song - 2. A Last Straw - 3. Little Red Riding Hood Hit
The Road -
4. Alifib - 5. Alife - 6. Little Red Robin Hood Hit
The Road
Musicians:
Robert Wyatt, Richard Sinclair, Laurie Allan, Hugh Hopper, Ivor Cutler, Mongezi Feza,
Alfreda Benge, Gary Windo, Fred Frith, Mike Oldfield
Produced by Nick Mason
Engineering by Steve Cox
Cover by Alfreda Benge
<<L'incidente
è successo così: in ordine vino, whisky, Souther
Comfort, poi la finestra>>. E' lo stesso Robert
Wyatt che racconta, nella sua magnifica biografia Falsi
Movimenti, scritta da Michael King. E continua
<<gli altri pensano che io abbia dei problemi a
parlare del mio incidente, ma non è così. Semmai ho dei
problemi se devo parlare di quello che è accaduto prima
dell'incidente. Rock Bottom
è oltre, io sono queste cose. Ma il mio io adolscente,
il batterista bipede, non lo ricordo e non lo capisco.
Faccio fatica a fare i conti con ciò che era prima, è
come se la caduta abbia danneggiato la mia mente. Adesso
vedo quell'incidente come una netta linea di demarcazione
tra la mia adolescenza ed il resto della mia
vita>>.
Soft Machine e Matchin Mole sono alle spalle, ed il
presente è una sedia a rotelle, e l'amore della moglie
Alfreda Benge, che Wyatt sposerà in coincidenza con
l'uscita di Rock Bottom.
Il titolo del disco potrebbe venire tradotto come
"fondo roccioso", ma il suo vero significato è
"il fondo delle cose".
Il "batterista bipede" non c'è più. Al suo
posto, un Wyatt atrocemente libero di concentrarsi sul
canto e sulle tastiere crea il suo capolavoro, un
miracolo di poesia sonora.
Assistito dalla crema di Canterbury, tra cui Richard
Sinclair, Hugh Hopper e Mike Oldfield, e con la
produzione del batterista dei Pink Floyd, Nick Mason,
Wyatt dipana riflessioni ora assurdamente serene, ora
impastate di incubi notturni, ora ironiche, ora simili a
ninne nanne per adulti che cercano e temono il sonno.
Sea Song è
interamente affidata alle tastiere, col solo
accompagnamento del basso di Sinclair e di un ritmo
appena accennato su un tamburello; nel brano, la voce di
Wyatt pare quasi incorporea, elegiaca, e racconta di
attimi fuggenti, relazioni personalissime e da ore
piccole in cui tutta la felicità del mondo sembra
volersi rifugiare.
In A Last Straw la
batteria cristallina di Laurie Allan ed il basso di Hugh
Hopper lasciano fluttuare una melodia acquatica,
prenatale, in cui i vocalizzi di Wyatt paiono balbettii
infantili; il paesaggio è sottomarino, verde ed azzurro,
pieno di misteri che si spengono in una scala pianistica
"naif".
Little Red Riding Hood Hit The Road
irrompe sulla scena di un "sabba" infernale
animato dalle trombe apocalittiche di Mongezi Feza, una
corsa a perdifiato dentro la follia, in cui la voce si
strozza, vola altissima, cerca di abbracciare il mondo,
sommersa dall'incredibilità del reale.
Alifib è il canto
d'amore per Alfreda, Alifie,
creatura anfibia tra il giorno e la notte, qui
accarezzata in una stanchezza impastata di desideri,
anzichè di incubi, e piena di dolcezza, tanto che il
ritmo è quello di un respiro al posto della batteria. Alife
è lenta e terrificante, scandita da un
cigolio pauroso per la sua somiglianza con quello che
possono produrre le ruote di una carrozzella. Qui non
c'è altro se non assurdità, metamorfosi indesiderata,
incomprensione assoluta, con il sax tenore di Gary Windo
rabiosamente "free" in sottofondo e troppe
domande cui rispondere.
Little Robin Hood Hit The Road
inizia con un canto declamatorio quasi brechtiano, su cui
la chitarra di Mike Oldfiend innesta trame lancinanti,
sembra volersi incantare su un verso, ed infine lascia
spazio ad un duetto per la viola di Fred Frith e la voce
liturgica di Ivor Cutler. (...)
Michele
Paparelle da Buscadero N° 179 aprile 1997
- Cuckooland
(2003) Rykodisc hncd 1468 - cd
1. Just A Bit 5.07
- 2. Old Europe 4.16
- 3. Tom Hay's Fox 3.32
- 4. Forest 7.55
- 5. Beware 5.09
- 6. Cuckoo Madame 5.08
- 7. Raining In My Heart 2.42
- 8. Lullaby For Hamza 4.28
- 9. Trickle Down 6.47
- 10. Insensatez 4.29
- 11. Mister E 4.20
- 12. Lullaloop 2.58
- 13. Life Is Sheep 4.14
- 14. Foreign Accents 3.48
- 15. Brian The Fox 5.28
- 16. La Ahada Yalam 4.12
Musicians:
Robert Wyatt, Gilad Atzmon, Annie Whitehead, Tomo Hayakawa, David
Gilmour, Yaron Stavi, Alfreda Benge, Brian Eno, Jamie Johnson, Karen Mantler, Michel Evans,
Jennifer Maidman, Phil Manzanera
Recorded at Phil Manzanera's Gallery Studio, London in summer 2002 and
spring 2003
Produced by Robert Wyatt and Jamie Johnson
Engineering by Jamie Johnson
Cover by Alfreda Benge
Il bianco uccello di Shleep
ha contonuato il suo volo e sei anni dopo è approdato a questa strana
terra fantastica, a Cuckooland appunto. Wyatt, lui continua a dormire
e a sognare. E' un sonno quieto, felice, non sono più le smanie
"alla fine dell'orecchio" o le nervose agitazioni che
disturbavano certi dischi degli '80. Il vecchio signore sembra
appagato e spande di buon umore il miele delle sue fantasie, senza
però mai dimenticare il mondo che ha intorno. Così alcuni quadri di
sogno sono nostalgia pura e gioiosa, come Juliette Greco e Miles Davis
nella Parigi incantata del 1957 (Old Europe, dedicata a Mike
Zwerin); ma in altre scene il colore non è così tenue, così dolce,
e si levano allora lunghi spettri che neanche la luce del sogno può
placare: la persecuzione dei Rom in Forest, la causa
palestinese in Lullaby For Hamza e La Ahada Yalam,
Hiroshima e Nagasaki sullo sfondo di Foreign Accents.
Non chiamate questo disco "rock", farebbe sorridere. E'
piuttosto un distillato di jazz onirico con molta voglia di raccontare
delicatamente in forma di pop, con un paio di covers (Insensatez
di Jobim, Raining In My Heart dal repertorio di Buddy Holly)
che Wyatt saggiamente chiama "canzoni folk dell'era
industriale". Un quadro sfacettato e spezzettato, frammenti anche
brevi messi insieme con l'aiuto della moglie Alfreda Benge, del
produttore Jamie Johnson e di Karen Mantler, la fascinosa figlia di
Micheal e Carla Bley, che ha scritto tre belle canzoni in quella
lingua "di famiglia" che tanto ha influenzato Wyatt negli
anni (...).
(...) Registrato come la volta scorsa tra gli studi di Phil Manzanera
e casa Wyatt a Louth, Cuckooland è disco di liquide tastiere e
chitarre sottili, di trombe appassionate (la suona lui in
persona) e morbidi ritmi, on un bel giro di amici a collaborare:
Annie Whitehead, Brian Eno, Karen Mantler, Gilad Atzmon, anche Paul
Weller e David Gilmour in due apprezzati cameo. Wyatt può andare
fiero, anche se questo non scalfirà la sua invincibile modestia
understatement: "ormai la mia voce è un borbottio da
avvinazzato", mente con un bel sorriso dei suoi, e spiega lo
strano buco di 30 secondi a metà album con il che "il Cd è
venuto troppo lungo, forse ad un certo punto può venir voglia di una
pausa o proprio di cambiar disco".
Riccardo Bertoncelli
da Rockerilla n° 278, ottobre 2003
- Ruth
Is Stranger Than Richard
(1975) Virgin 8548 - vinile
1.
Soup Song 5.00 - 2. Sonia 4.12
- 3. Team Spirit 8.26
- 4. Song For Che 3.36
- 5. Muddy Mouse '50
- 6. Solar Flares 5.35
- 7. Muddy Mouse II '50
- 8. Five Black Notes And One White Note 4.58
- 9. Muddy Mouse III 6.11
Musicians:
Robert Wyatt, Laurie Allan, Nisar Ahmad Khan, Bill MacCormick, Gary
Windo, Mongezi Feza, John Greaves, Brian Eno, Fred Frith
Recorded at the Manor Studio
Produced by Nick Mason
Engineering by Steve Cox
Cover by Alfreda Benge
Soltanto un gradino più sotto
di Rock Bottom, sconta senz'altro una certa somiglianza
all'ascolto ma anche le pressioni della Virgin, che premeva per dare
un seguito e mandare nei negozi un disco che Wyatt considerava non
finito. Per tutti comunque è la seconda parte di Rock Bottom:
lo stile è quello, la malinconia pure, i musicisti quasi ( ci sono
anche Eno, Phil Manzanera, John Greaves). Il repertorio però è più
appuntito e meno melodico, con citazioni da Offenbach, la Sonia
di Mongezi Feza e Song For Che di Charlie Haden, primo segno
dell'imminente conversione politica.
Rispetto al precedente manca quell'aurea di malinconica magia, ci sono
brani meno personali e intimistici, più suonati. La cosa comunque non
piace alla Virgin, con la quale Wyatt entra subito in attrito e
sospende l'attività per molto tempo, scegliendo una vita sempre meno
pubblica, più politica (si iscrive al Patito Comunista inglese) e
meno artistica. Tornerà in scena nel 1980, sconcertando pubblico e
critica con il 45 giri Guantanamela.
Cesare Rizzi
da Progressive & Underground, ed. Giunti
-
Comicopera
(2007) Domino wigcd202 - cd
1. Stay Tuned
3.49 - 2. Just As You Are
4.21 - 3. You You 4.22 - 4. A.W.O.L.
2.56 - 5. Anachronist
3.28 - 6. A Beatiful Peace
2.27 - 7. Be Serious
2.56 - 8. On The Town Square
5.26 - 9. Mob Rule
2.16 - 10. A Beatiful War
2.40 - 11. Out Of The Blue
3.41 - 12. Del Mondo
3.29 - 13. Cancion De Julieta
7.32 - 14. Pastafari
4.37 - 15. Fragment
1.38 - 16. Hasta Siempre Comandante
4.37
Musicians:
Robert Wyatt, Brian Eno, Annie Whitehead, Yaron Stavl, Paul Weller,
Gilad Atzmon, Jamie Johnson, David Sinclair,
Phil Manzanera, Del Bartle, Orphy
Robinson, Chucho Merchan, Monica Vasconcelos, Maurizio Camardi, Alfonso
Santimone, PaoloVidaich, Gianni Bertoncini
Produced by Robert Wyatt
Recorded at Phil Manzanera's Gallery Studio and home in Louth
Engineering by Jamie Johnson
Cover by Alfie Benge
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