David Sylvian
album in
pagina
-
Brilliant
Tree
- Words
With The Shaman
- Gone
To Earth
- Secrets
Of Beehive
- Rain
Tree Crow
- Approaching
Silence
- Dead
Bees On A Cake
- Plight
And Premonition
(with Holger Czukay)
- Blemish
- Nine
Horse/Snow Borne Sorrow
-
The Only Daughter
-
Manafon
-
The
First Day
(with
Robert Fripp)
-
When Loud Weather Buffeted
-
Died In The Wool
-
Wandermude
(with
Stephan Mathieu)
-
Flux + Mutability
(with Holger Czukay)
-
There's A Light That Enters Houses With
No Other House In Sight
-
Damage
collabora
in:
- Marco Polo
(Nicola Alesini)
- Hope In A Darkened Heart
(Virginia Astley)
- ...And Poppies From Kandahar
(Jan Bang)
-
Cartography
(Arve
Henriksen)
- Slope
(Steve Jansen)
- Adolescent Sex
- Gentlemen Take Polaroid
- Obscure Alternative
- Oil On Canvas
- Quiet Life
-
Tin Drum
(Japan)
- Dreams Of Reason Produced Monsters
(Mick Karn)
- Undark One Strange Familiar
(Russell Mills)
- Bamboo House
- Chasm
- Marry Christmas Mr. Lawrence
(Ryuichi Sakamoto)
-
Sahara Blue
(Hector Zazou)
Uno dei tratti caratteristici del percorso
musicale di David Sylvian - fin da quando terminò l'esperienza Japan
- è quella che potremmo chiamare un'attitudine tessiturale, non
solo per l'attenzione data dalla tessitura delle melodie nelle trame
musicali che fanno da sfondo, sempre elaborate e raffinate, su cui la
voce si staglia nitida, ma anche per i legami che nel tempo Sylvian ha
intessuto con i musicsti con cui ha collaborato e che hanno inciso in
modo attivo e fecondo sulla qualità e sulla direzione del suo
percorso musicale. E' curioso come per un artista che sembra essersi
ritirato in modo sempre più deciso in una specie di eremitaggio
estetico ed esistenziale - dall'abbandono dei palchi alla vita
ritirata, in una residenza solitaria e sperduta - sia tanto importante
la collaborazione con altri, come se la sua musica non potesse
consistere e avere una sua fisionomia se non in quanto sfidasse i suoi
stessi confini tracciati con tanta cura (con-sistenza ed
e-sistenza); un essere a sè che rende capace di porre
collegamenti, simboli e sintesi; una solitudine che tesse relazioni,
monade e piega.
Come introduzione all'ascolto di Manafon più che le recenti interviste, sarebbero da
rileggere le ancora attualissime righe di David Toop alla fine di Ocean Of Sound, che datano ormai quindici anni. L'attualità,
intesa come cronaca e racconto, rischia - nel caso di Sylvian - di
essere inattuale o poco utile per comprendere il suo approccio. Si
ratta più di appigli che di veri affondi nella sostanza. Forse
sarebbe più congeniale l'attualismo di un nobile ritirato e raffinato
quale Andrea Emo, ma così il discorso rischierebbe di inerpicarsi e
perdersi per qualche sentiero marginale. Pur nella diversità dei
paesaggi sonori, è ormai chiara e intelleggibile una via maestra
nella musica di Sylvian, una intenzionalità di fondo che, dicendosi
in modi diversi, ha saputo trovare una sua propria fisionomia.
Cambiano i nomi, ma il progetto sembra lo stesso.
Direi che, attraverso la scelta dei collaboratori, con Blemish e Manafon l'approccio si sia ancora più radicalizzato,
attraverso un'opera più di rinsecchimento che di potatura. Andare
alla radice del fare canzoni, non per dissotterrare chissà quale
mistero, quale recondido senso (Small Metal Gods) ma per scoprirlo, svelarlo nel suo nudo
venire (you should just let things be). Si potrebbe - almeno a me
piace dirlo - applicare a Sylvian quanto Alain Badiou dice a proposito
di Beckett a proposito della sua esausta ricerca di nominazione della
bellezza, ma scampando a quella ricerca di senso che pure Toop
vorrebbe mettere a nudo per i devoti (nel senso di fanatici?) di
Sylvian. La miseriosità del mistero è forse da cercare altrove, non
nelle parole dei critici colti ma nella syessa musica, nelle canzoni
nel loro nudo e crudo proporsi. Badiou, a proposito di Beckett, la
chiama "scaturigine pura dell'ennunciazione". Si potrebbe
evidenziare qualche analogia tra il linguaggio del premio Nobel, il
suo modo di trattare la lingua e le parole nella prosa e nella poesia,
oltre che nel teatro (senza dimenticare i suoi lavori per la radio e
le sperimentazioni con i nastri registrati) e l'attitudine di Sylvian
nel trattare la materia sonora, sia esso accompagnamento o voce.
Quella capacità di nominazione, di cogliere le cose e presentarle nl
loro nudo, puro esistere, nella loro bellezza è una delle
caratteristiche più toccanti e incisive di un altro premio Nobel, la
poetessa Wislawa Szymborska, come - per riprendere l'immagine delle
stelle - nella poesia "Il Cielo" o in "Scrivere
Il Curriculum". Uno stare di fronte al mondo in assoluta
libertà, ossia quasi depauperata del proprio sguardo, con una ascesi
della parola esplorata e fatta deflagrare - in altri tempi - da poeti
e mistici, quali Juan de la Cruz o Silesius. Una nudità da
conquistare con gioia e fatica. Badiou parla, manco fosse un
trattatista gesuita della riforma, di "ascesi metodica" e,
in modo incisivo, di "esecuzione lenta e improvvisa del
Bello".
Ciò che Beckett per il teatro, la Szymborska per la poesia fanno,
Sylvian lo fa con la voce per la forma canzone. Si potrebbe parlare
della solitudine della voce, in quanto Sylvian appare effettivamente
ridotto "solo" a voce. Non ha bisogno di interloquire con
gli altri musicisti per comporre e cantare le sue canzoni, che pure
sono sue, eppure non smette di farlo. La sua è una poetica della
parola piuttosto che delle parole, una poetica della dizione, del
cantare nel suo farsi suono, del suo sgorgare prima ancora che come
canzone (parola e/o musica, con tutto il contorno di ritmi,
arrangiamenti, suoni, e via discorrendo) anche se nella canzone. I
linguisti parlano di enunciazione. Sylvian, "novello" asceta
pop, scava fino al punto in cui atto dell'enunciazione, enunciato ed
enunciante sembrano ancora limpidamente inestinguibili, quasi a dirsi
uno nell'altro, a stare uno nell'altro, a stare. Questa purezza
sorgiva, in cui la bellezza (ciò che le cose e gli eventi sono) si
dona con ritrosia, ora lentamente ora improvvisamente, richiede quel
lavorio metodico, quella spassionata capacità di elevarsi per
tuffarsi nell'oceano in cui siamo, nell'oceano che siamo.
Al riguardo, è sempre illuminante una fulminante citazione di
Friedman con cui Hador ama introdurre il suo approccio alla filosofia
antica. E non siamo del tutto fuori strada se consideriamo le canzoni
di Sylvian come "esercizi spirituali". <<Fare il
proprio volo ogni giorno! Almeno un momento che può essere breve,
purchè sia intenso. Ogni giorno un "esercizio spirituale",
da solo o in compagnia di una persona che vuole parimenti migliorare.
Esercizi spirituali. Uscire dalla durata. Sforzarsi di spogliarsi
delle proprie passioni, delle vanità, del desiderio di rumore intorno
al proprio nome (che di tanto in tanto prude come un male cronico).
Fuggire la maldicenza. Deporre la pietà e l'odio. Amare tutti gli
uomini liberi. Eternarsi superandosi. Questo sforzo su di sè è
necessario, questa ambizione giusta. Numerosi sono quelli che si
immergono interamente nella politica militante, nella preparazione
della rivoluzione sociale. Rari, rarissimi quelli che, per preparare
la rivoluzione, se ne vogliono rendere degni". La possibilità di
volo è, in questa prospettiva, intimamente legata alla tenazio
dell'introspezione. Da qui l'importanza del silenzio come spazio
sorgivo, come condizione di possibilità, e - nel caso di Sylvian - di
dizione e di canto. La scelta dei musicisti va certo in questo senso,
verso un linguaggio musicale sempre più astratto ed essenziale (è
stata notata l'influenza di Derek Bailey, con i suoi tocchi asciutti,
spigolosi, quasi sterpi in un deserto di sassi e sabbia). Vorrei
sottolineare al riguardo l'imporanza dei rumori, dei brusii, dei
crepitii. Essi, come in tanta musica attuale, sono imparentati con il
silenzio che (quasi loro malgrado) custodiscono ed evocano. Un
silenzio che è prima di tutto silenzio del soggetto (l'ascesi-ascesa
di cui sopra) che Sylvian richiama in alcuni dei suoi versi,
rialacciandosi a tutta una tradizione che pone al centro del progresso
spirituale l'indifferenza (intesa ovviamente non come astratta
freddezza, ma come coraggioso tacere della chiacchiera mondana):
"Nothing need be explained and there is no maker just exhaustible
indifference". Questa "vacanza" del soggetto non è
sterile riposo ma intima, sofferta disponibilità, un ritiro fecondo,
uno stare a parte alla Emily Dickinson: "And she wanted to stay
home with a box full of postcards and no place to send them, live like
Emily Dickinson without so much a Kiss or the confort of strangers,
withdawing in herself, but why this...and not something else?".
Non si tratta solo di un'attitudine ambientale, quasi a creare un
paesaggio minimale si cui poi qualcosa accada (fosse pure il
manifestarsi, immobile - alla Radigue - e crepitante - alla Gunter -,
dello stesso paesaggio sonoro), quanto piuttosto di un uso poetico di
questi suoni in sè astratti, amorfi, incomprensibili per cogliere (o
quasi creare) le cose come sono. Questa attitudine contemplativa è
stata illustrata in modo molto chiaro e incisivo dall'architetto
catalano Aris nei suoi essenziali saggi. Chissà, forse ai suoi
capitoli su Borges, Mies Van Der Rghoe, Ozu, Rothko potrebbe
aggiungerne uno proprio su Sylvian. Non è un caso che, nella sua
prospettiva, Cage sia assai poci interessante. C'è silenzio e
silenzio. L'artista, in questa prospettiva, assume una connotazione
quasi profetica, attraverso il lavoro di coloro "che hanno
coltivato la poetica del silenzio e che sono stati capaci di
interpretare l'ambigua e catica realtà della nostra epoca",
capaci - e qui si riprende una sfumatura alla Hadot - di una
"reazione spirituale". Ecco, allora, che l'ascesi metodica
trova il suo sbocco poetico ed epifanico, in coloro che "non
cercano di usare l'opera d'arte come espressione delle loro emozioni o
come mezzo per le loro fantasie, ma soltanto di fare in modo che la
loro opera sia capace di rivelare dimensioni e aspetti della realtà
che riguardano tutti".
Al riguardo non bisogna assolutamente confondere questo tratto
ascetico con una fredda astrazione intellettuale. Anzi, il rigore
dell'astrazione è in questo caso la via per quella che potremmo
chiamare com-passione, un mettersi in sintonia che necessita una
grande capacità di ascolto. Ne è condizione di possibilità un
profondo silenzio in cui anche i sentimenti e le emozioni, sciolte
(termine, questo, plotiniano) dal loro flusso, spesso tanto roboante
quanto inconsistente, possano risuonare nella loro limpidezza. Il
carattere emozionale di questo lavoro di astrazione si lascia ben
cogliere anche nelle canzoni di Sylvian. Ne evidenzio due tratti.
Il primo è l'attenzione data alla voce. Essa si staglia, per lo più,
nitida. Il cantato di Sylvian emerge, quasi statuario (ovviamente
siamo dalle parti di Giacometti), isolato. Non è un caso fortuito che
pure le registrazioni della voce siano avvenute in solitario. Eppure,
nella sua staccata algidità, cogliamo dei fremiti, dei tremolii, come
se il confine tra suono e silenzio, tra il canto e il suo venir meno
non potesse essere definito troppo rigidamente; qualcosa della sua
nitidezza le sfugge. Anche la parola, attraverso il suo brusio, tende
al suo altro, al silenzio; non solamente dice, ma anche si spegne (o
si riaccende) in un sussurro. Perde il controllo di sè (la sua
logica, il suo logos, la sua forza) ma non cessa di comunicare, di
dire e di dirsi. Un secondo tratto che evidenzia la dimensione
emozionale del percorso ascetico ed estetico ruota attorno ai concerti
di durata e, nel suo corrispettivo soggettivo, di memoria e nostalgia.
La durata non è nelle canzoni di Sylvian il mero susseguirsi dei
suoni. Egli non lavoro per accumulo ma - come si è visto - per
sottrazione. Ai musicisti è quindi affidato il compito di astrarre e
concentrare il loro suono per presentarne il succo, l'essenziale. Le
rielaborazioni elettroniche intervengono in modo decisivo in questo
lavorio. Ne è un esempio Fennezs che già in Blemish aveva lasciato il suo marchio. Uno dei tratti
del lavoro del musicista austriaco più in sintonia con quello di
Sylvian credo sia l'importanza data dalla ripetizione, alla
dilatazione, alla continua micro-mutazione del paesaggio sonoro, una
rielaborazione che, ritornando su se stessa, vibra sempre più di una
memoria (memoria di sè che è pure oblio di sè, un andare sempre
oltre) che si fa nostalgia. E dai tempi di Endless Summer la nostalgia, pacata, raffinata ma pure
struggente, è un marchio di fabbrica dei prodotti Fennezs. Il suono
della chitarra, rielaborato, diventa altro da sè, e poi altro e poi
altro ancora. Come un tappeto, o una folata di vento, una risacca o un
cielo impercettibilmente mutevole. Aris, in un capitolo molto
interessante su architettura e astrazione, afferma che
"l'architettura è la musica dello spazio. L'architettura sarebbe
simile a un ritmo, una specie di modulazione armonica che ci permette
di distinguere, senza vederlo, l'ordine nascosto dello spazio.
Analogicamente, si potrebbe dire che la musica è l'architettura del
tempo". Sylvian, nelle trame musicali che ha chiesto ai suoi
collaboratori, ci sembra abbia voluto creare qualcosa di simile,
rimanendo in bilico, sul crinale tra astrazione ed emozione.
E parlando di ambiente e di come in esso si collochi un artista non si
poteva non ritornare a David Toop, al suo "oceano di suono"
e ai suoi mondi immaginari. Forse, però, è altra immaginazione a cui
bisognerebbe far ricorso. Magari quella studiata da Corbin nei mistici
sciiti, quella scolpita nel tempo da Tarkowski, quella dei voli
d'amore di Bernini.
Ma Sylvian non sembra essere solo in questo suo cammino che tende ad
avanzare per forza di in-sistenza, che si traccia un cammino a furia
di con-centrazione. Tra i dischi, anch'essi diradati nel tempo, di
musicisti ancora pop - e certo meno spigolosi - possiamo indicare la
prova solista di Mark Hollis - lui pure voce ormai sciolta, assoluta,
in spazi sempre più dilatati ma non per questo meno intensi - o gli
ep di Fovea Hex, raccolti in un bellissimo cofanetto, le cui canzoni -
per una volta - si lasciano ben presentare dal titolo, Neither Speak Nor emain In Silence. La parabola che ha portato Hollis dai primi
successi pop con i Talk Talk al trapasso verso nuove forme con dischi
inattesi quali Spirit Of Eden e Laughing Stock fino al suo disco solista, non è molto
dissimile a quella di Sylvian, sebbene l'ex Talk Talk sia rimasto
ancorato a suoni, per quanto dilatati e avvolti di silenzio, più
accessibili e avvolgenti. Lo stesso si può dire di Fovea Hex, per la
quale, forse, più che la presenza palpabilissima di Brian Eno,
sarebbe più giusto (non se ne voglia l'onnipresente, onnidivulgatore
ex-Roxy Music) suggerire o richiamare altri tesitori di paesaggi
sonori e interiori, quali la Deep Listening Band, o gli estenuati,
dilatati rintocchi del Morton Feldman più minimale o, per allargare
ancora il discorso, la poetica della Dickinson oppure l'intensa,
emozionale, ascetica stesura dei colori di Rothko. Per dirla con
Sylvian "Trying to stop time in his tracks".
Girolamo Dal Maso da
Blow Up n° 138 novembre 2009
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- Brilliant Tree
(1984) Virgin CDV 2290 - cd
1. Pulling Punches - 2. The Ink In The Well - 3. Nostalgia - 4. Red Guitar - 5. Weathered Wall - 6. Backwater - 7. Brilliant Tree
Musicians:
David Sylvian, Holger Czukay, Steve Jansen, Ryuichi Sakamoto, Jon Hassell, Mark Isham, Phil Palmer, Ronnie
Drayton, Wayne Bruthwaite, Danny Thompson,
Kenny Wheeler
Produced by David Sylvian and Steve Nye
Recorded in London, Berlin 1983/84
Engineering by S. Nye and P. Williams
Cover photo by: Yuka Fujii
Il primo
album della carriera solista di David Sylvian. Come un fiore sbocciato
sulla tela di un pittore ispirato, come un mosaico di
solitudine e contemplazione. David Sylvian è unico. Ed
è così umano. La sua personalità di musicista
intelligente lo ha fatto progredire ad ogni nuova prova,
permettendogli di manifestare un'identità artistica
poliedrica e sorprendente. Jon Hassell, Joni Mitchell,
Holger Czukay, Brian Eno, Richard Barbieri, Steve Nye,
Steve Jansen: per un motivo o per l'altro tutti questi
personaggi si materializzano fra gli alberi brillanti.
Chi suona e compone, chi è riflesso fra le fronde più
alte,. chi è modello nel silenzio. Profili mitici tra le
costellazioni del tropico amichevole. Questo album è un
grande momento di Arte Purissima, promessa e conferma di
profonde emozioni.
Sette brani: Pulling Punches,
The Ink In The Weil, (ispirata
all'opera di Pablo Picasso), Nostalgia,
Red Guitar (video
eternità per un bellissimo poema di creature in bianco e
nero), Weathered Wall (firmato
da Sylvian e Jon Hassell, come la secolare title-track), Back
Water, Brilliant Tree
(se solo si potessero dipingere le sensazioni dei più
fedeli fans di David Sylvian quando ascolteranno questo
brano per la prima volta...).
David Sylvian si è allontanato dal suono dei Japan, ma
non li ha rinnegati, si è spinto ancor più lontano, con
l'infinita eleganza dello stile che spinge la sua
creatività verso definizioni sempre più intense e
complesse. Se la cosa avesse qualche utilità,
emotivamente, potrei accostare Brilliant
Tree a Low,
Another Green World e For
Your Pleasure.
Diciamo che esistono ancora dei dischi in grado di
stimolare l'animo umano, delle opere enormi e
imprevedibili, come bellissimi animali in via
d'estinzione..., e l'arte è inestinguibile, come la
musica, come il sogno: David Sylvian vive in una
dimensione di dolcezza subacquea e malinconia siderale, i
suoni scaturiscono dalla sua sensibilità, scivolano tra
i sensi e i sentimenti.
I paesaggi del mondo, i brividi e le lacrime, le nuvole e
gli oceani, la paura di non essere amati, tutto ciò che
fa ridere gli altri. Brilliant Tree
potrà donare molto ad alcune persone, renderà più
completi i loro momenti di riflessione, d'incantesimo e
abbandono. La musica è importante. La musica significa. Brilliant
Tree è il quadro di molti quadri, è
il suono della mente sospesa che interroga il suo mondo.
Alessandro
Calovolo da Rockerilla n° 48 luglio-agosto 1984
- Words With The Shaman
(1985) Virgin VINX 99 - vinile
1. Ancient Evening - 2. Incantation - 3. Awakening
Musicians:
David Sylvian, Holger Czukay, Steve Jansen, Jon Hassell, Percy Jones
Produced by David Sylvian and Nigel Walker
Recorded in London, 1985
Engineering by Nigel Walker
Cover painting by Amanda Faulkner
Era
matematicamente
impossibile
estrarre altri singoli dall'iper-sfruttato 'Lp Brilliant
Tree: David Sylvian, con un'operazione
giusto in bilico tra l'artistico e il furbesco, ha
allentato i cordoni della borsa e fa prendere un po'
d'aria a tre composizioni strumentali per collegare tra
loro in concerto alcune sue canzoni più famose.
Ci si potrebbe sentire traditi, se Sylvian non fosse
Sylvian, se non ci fosse Jon Hassell, se questi tre brani
strumentali non fossero completamente favolosi, comè del
resto lecito aspettarsi.
Marco
Pandin
da Rockerilla n° 65 gennaio 1986
- Gone To Earth
(1986) Virgin vdl 1 - vinile
1. Taking The Veil - 2. Laughter And Forgetting - 3. Before The Bullfight - 4. Gone To Earth - 5. Wave - 6. River Man - 7. Silver Moon - 8. The Healing Place - 9. Answered Prayers - 10. Where The Railroad Meets
The Sea -
11. The
Wooden Cross -
12. Silver
Moon Over Sleeping Stepless - 13. Camp Fire: Coyote Country - 14. A Bird Of prey Vanishes
Into A Bright Blue Cloudless Sky - 15. Home - 16. Sunlight Seen Through
Towering Trees -
17. Upon
This Earth
Musicians:
David Sylvian, Steve Jansen, Robert Fripp, Ian Maidman, Phil Palmer,
John Taylor, Kenny
Wheeler, Bill Nelson, Richard Barbieri, Harry
Backett, Mel Collins, B.J. Cole, Steve Nye
Produced by David Sylvian and Steve Nye
Recorded in London, Oxfordshire 1985-86
Engineering by Steve Nye
Cover by Russell Mills
Se non
riuscissi a trovare un modo per descrivere la musica di
David Sylvian, troverei comunque il modo di affermare che
ci si trova senza dubbio a che fare con un Artista, nel
vero senso del termine e non secondo il vocabolario
discografico che laura ogni "stipendiato" con
questo termine. David non difetta certo di coraggio,
qualità fondamentale dell'arte e parola dimenticata nel
torbido mondo della "musica" contemporanea:
prima lascia i Japan all'apice del successo (1983),
dimenticandosi alle spalle sopratutto quel decadente
gusto della forma e della grazia un po' profumata di
carta macera che percorre tutti i dischi di quel gruppo.
Un anno dopo riemerge e ci propone uno degli album più
brillanti degli ultimi anni, sia per la forte volontà di
scendere davvero nel fondo delle caverne spirituali
invece che limitarsi a suffragarne l'esistenza, sia per
linearità espressiva, fluente, ordinata, ben condotta
dalla prima all'ultima nota di Brilliant
Trees.
Da ogni parte acclamatissimo, inclusa la schiera degli
indifferenti Japan (incluso chi scrive), quel lavoro può
essere, con l'ultimissimo senno di poi, definito un
momento fondamentale di un cammino artistico che risponde
a ritmi temporali reali e non discografici; ecco perchè,
nel dicembre dell'85 Sylvian torna a farsi sentire con un
Ep e una casetta a tiratura limitata che invece di
dipanare l'altissimo potenziale a favore di una più
immediata gratificazione auditiva, cresce dubbi e
entusiasmi.
Ora, dopo più di due anni Sylvian impugna la spada del
coraggio e ci dona un album doppio, dicasi due dischi,
cosa che visto lo stato attuale delle varie vene creative
e del businness è a prima vista il gesto di uno
sconsiderato, ma a primo ascolto il dono altruistico di
uno splendido personaggio, che discretamente spinge
avanti con convinzione la Musica e non se stesso, il
processo creativo intangibile e inafferrabile e non tante
parole che si significano addosso da copertine e articoli
di riviste musicali. Sylvian ci dice: Gone
To Earth, verso la terra, in un cammino
dove giorno per giorno le spoglie eleganti della materia
svaniscono per lasciare spazio alla roccia nuda della
musica senza tempo.
Il primo 'Lp è cantato, costruito con amore utilizzando
solo sette canzoni, sette poesie e tutitoli che una volta
tanto centrano in pieno e con potenza il contenuto
naturale del mondo emotivo. Apre l'album Taking
The Veil che sin dal titolo non lascia
molti dubbi: ma la musica è discreta e le emozioni si
confondono perchè non abituate o meglio atrofizzate
dalle solite quattro note che girano. Dopo due brani di
inebriante spessore, Gone To Earth,
chiude il primo lato ribadendo una simpatica volontà di
muoversi tenendo d'occhio il Naturale, gli elementi della
Vita, i Valori di fondo in rapporto all'anno 1986 dopo
Cristo, con tutte le sue tecnologie, tutti i suoi
inganni, tutte le ricchezze inespresse e le nefandezze
che dominano le azioni quotidiane. Non può essere
comunque questa una recensione. Non sarebbe mai
sufficiente, eppure come di rado, ho voglia di descrivere
The Great Sea, un
boomerang di sensazioni, River Man,
scorrevole affermazione di tempo naturale e il tocco
celeste di Silvermoon,
l'ultimo dei brani cantati. Ogni pezzo è in sè
compiuto, finito, capace di vivere e di restare fermo e
sicuro di fronte a qualsiasi folata di vento. Tutti
questi guadi, uniti in questo modo sprizzano amore ed una
scorrevolezza figlia di una ispirazione pura come la
missione che l'ha richiesta. Lo spazio stringe. Ma il
concetto finale resta Grey Earth,
che apre il disco musicale, le piccole sinfonie dove
difficilmente le note si ripetono con gli stessi effetti,
riesce addirittura a scagliare i sensi e il corpo
attraverso le seguenti Answered Prayers,
Where The Railroad Meets The Sea
e una sequenza senza fine di acque che tornano a riva e
salpano verso il mare aperto, riflessi incondizionati,
idee fatte emozioni, attimi che salgono in cattedra e
diventano lunghi suoni senza tempo. Addirittura dieci
pezzi strumentali e sinceramente, forse è meglio
chiudere qui, ricordando la sensibilità di pezzi come Home
e il gran finale Upon This Earth.
Tecnicamente, di rilievo il ritorno in primo piano della
chitarra e l'economia strumentale qualitativa che va
tutta a favore della purezza musicale alla quale è
permesso tornare in evidenza e stagliarsi con fermezza
sopra la visuale comune. Questo doppio 'Lp, è diretto
verso il centro della terra ed è un capolavoro perchè
non sale mai in cattedra per raccogliere celebrazioni e
medaglie ma si "limita" a rimanere sopra la
terra per toccarne i centri vitali.
Alla fine, dopo un'ora e mezza, sembra di avere viaggiato
in un calesse magico, col fiato sospeso, perchè tutti i
luoghi visitati non erano mai stati visti, mai segnati su
nessuna cartina. E così, David Sylvian continua a
sfondare l'invisibile barriera del mondo fisico che
abbiamo davanti e a farci credere che esiste davvero un
Oltre nella musica, che può solo nascere dalla vita. E
quando si parla di Oltre, si dimenticano pregiudizi,
affermazioni presuntuose e il fatto che anche questo sarà
un "prodotto industriale", con un "numero
di catalogo" e cifre di vendita.
Davide
Sapienza da Buscadero n° 62 settembre 1986
- Secrets Of Beehive
(1987) 4 AD CDV 2471 - cd
1. September - 2. The Boy With The Gun - 3. Maria - 4. Orpheus - 5. The Devil's Own - 6. When Poets Dreamed Of
Angels - 7. Mother And Child - 8. Let The happiness In - 9. Waterfront - 10. Forbitten Colours
Musicians:
David Sylvian, Ryuichi Sakamoto, David Torn, Danny Thompson, D.
Cummings, Phil Palmer, Mark Isham, Steve Jansen
Produced by Steve Nye
Recorded London and Bath, England - Chateau Miraval, Le
Val, France and Wisseeloord Studios, Hilversun, Holland
Engineering by Steve Nye and Peter Williams
Cover photo by Yuka Fujii
Anche se
non rivoluziona
la
coerenza estetica di David Sylvian, questo album riserva
sottili sorprese ai suoi estimatori. Anzitutto Davis ha
intensificato notevolmente il suo ritmo di lavoro, il
disco è stato registrato nell'arco di soli quattro mesi
ed escea poco più di un anno dal precedessore (mentre Gone
To Earth era uscito ventisei mesi dopo Brilliant
Tree, contando Words
With The Shaman come una parentesi a
parte); altro dato importante è la ripresa del sodalizio
con Ryuichi Sakamoto, dopo il clamoroso litigio dell'anno
scorso. Infine Sylvian ha cambiato metodo di
realizzazione dei brani: in Gone To
Earth molte soluzioni erano affidate
all'estro degli strumentisti, nell'ambito di strutture
aperte, mentre in questo 'Lp tutti i dettagli sono
coordinati al millimetro in fase compositiva e
focalizzati con preciso gusto in fase esecutiva. (...)
In pratica, l'ascolto trasmette immagini più precise e
concrete, pur mantenendo quel morbido alone mistico che
ha sempre contraddistinto le creazioni soliste di Sylvian.
Le percussioni sono limitate al minimo, ovattate, come se
non volessero turbare gli equilibri fra i colori tenui.
Gli strumenti acustici predominano, regalando i synth
alle sfumature cromatiche dei fondali; una sezione
d'archi e una di strumenti a fiato rispondono al
pianoforte e alla voce con estrema grazia, riconquistando
un ruolo che sembrava ormai obsoleto nella musica
contemporanea. Il merito e anche degli arrangiamenti
scritti da Sakamoto, delicatissimi e quasi femminei,
senza cadere nella sdolcinatura o nella banalità.
Gli esempi più cristallini di questa sottile sono The
Devil's Own, accarezzata da lievi ombre
cameristiche condotte dall'oboe, e Waterfront
dove gli archi disegnano splendidamente tappeti armonici
che in qualsiasi altro disco moderno sarebbero stati
affidati ai synth. Tutti i brani sono costellati di
sottili suggestioni: la ballad evocativa The
Boy With The Gun impreziosita da un
superbo assolo di David Torn (un vero genio della
chitarra futurista); l'andatura altalenante di Orpheus,
sospesa da una pausa di riflessione per sfociare in una
splendida ripresa strumentale guidata da tromb e slide
guitar; l'atipica Mother And Child,
condotta dal corposo contrabasso di Danny Thompson su un
lento blues notturno, mentre Sakamoto spruzza pennellate
free di pianoforte (sorprendente l'improvviso finale a
metà battuta). E non dimentichiamo Let
The Happiness In, scelta
provocatoriamente come singolo, dove tromboni e corni
inglesi scandiscono un crescendo lento e maestoso
trasmettendo un clima di profonda speranza.
Un episodio totalmente inusuale per lo stile di Sylvian
è When Poets Dreamed Of Angels,
affidata a due chitarre acustiche dialoganti accanto a un
falò, con sfumature spagnole accentuate dalle
percussioni afose.
I testi sono gioiellini impressionisti, ricchi di
immagini sfumate su una metrica suadente: rendono
benissimo anche scissi dalla musica, in quanto sono
autentiche poesie dotate di vita propria.
La voce di Sylvian è sempre calda e sognante, quasi
volesse cullarsi da sola in un limbo fuori dal tempo; il
suo timbro soffice, suadente, è ormai un inconfondibile
marchio di fabbrica ma anche un appiglio per le possibili
critiche di eccessivo decadentismo. In effetti David ha
rinunciato totalmente alle tinte accese e ai ritmi più
decisi, tuffandosi in un universo crepuscolare che
scompone ogni emozione al rallentatore: l'unico rischio
per le sue future opere è proprio quello di rinchiudersi
eccessivamente nello "spleen" che rammollisce
l'ispirazione (qualche presagio sbuca dalla tombale Maria)
e incupisce le energie, uniformando tutti gli spunti in
un lento flusso ipnotico. (...)
Massimo
Bracco
da Buscadero n° 75 novembre 1987
- Rain Tree Crow
(1991) Virgin CDV 2659 - cd
1. Big Wheels In Shanty Town 7.08 - 2. Every Colours You Are 4.44 - 3. Rain Tree Crow 2.03 - 4. Res Earth 3.36 - 5. Pocket Full Of Change 6.05 - 6. Boat's For Burning '45 - 7. New Moon At Red Deer Wallow
5.10 - 8. Blackwater 4.18 - 9. A Reassuringly Dull Sunday 1.20 - 10. Blackcrow Hits Shoe Shine
City 5.11
- 11.
Scratching On The Bible Belt 2.45 - 12. Cries And Whispers 2.29
Musicians:
David Sylvian, Steve Jansen, Mick Karn, Richard Barbieri, Djene Doumbouya, Michael Brook, Djanka Diabate, Bill Nelson, Phil Palmer
Produced by David Sylvian
Engineering by Pat McCarthy
Cover photo by Shinya Fujiwara
Seppure per spazi brevi. è tempo di reunion. Alla dolce
tentazione non sono sfuggiti nemmeno David Sylvian,
Richard Barbieri, Mick Karn e Steve Jansen ovvero i Japan
che dopo tre anni di sodalizio, nel 1981 decisero di
sciogliersi per imboccare carriere solistiche. Ora si
ritrovano in studio per registrare ancora una volta
insieme, una tantum, questo Rain Tree
Crow.
La tentazione di una musica globale, universale, è
sempre stata la grande utopia del gruppo ed eccoli ora ad
esplorare gli elementi di filosofica memoria. "Pioggia,
albero e corvo" non sono infatti altro che "Acqua,
Terra e aria"; non a caso manca il fuoco, segno di
pulsionalità, con il quale ci si può scottare, che
viene prudentemente accantonato.
L'album consiste in una dozzina di pezzi, alcuni dei
quali solo suonati e altri caratterizzati anche
dall'accompagnamento vocale di Sylvian, che si muovono in
una dimensione eterea, vagamente surreale dove le
influenze sono probabilmente più da addebitare alle
esperienze post-Japan che non a quelle che hanno portato
alla formazione del gruppo. Una sorta di New Age cosmica
fatta di suoni frammentati e siderali che si alternano ad
altri esoterici in cui si distinguono brani come Big
Wheels In Shanty Town, Pocket
Full Of Change e New
Moon At Red Deer
Wallow. L'album è basato
sull'improvvisazione, i musicisti si sono trovati per
mettere in comune l'esperienza accumulata in questi anni
di separazione ed esplorare nuove dimensioni evitando
volutamente di comporre materiale prima della reunion in
sala d'incisione. Rain Tree Crow
è dunque un parto spontaneo, il libero fluire di menti
sincrone, ma indipendenti alla ricerca di sempre nuovi
territori da coltivare.
La parola d'ordine era di captare soluzioni disparate
provenienti dai quattro punti cardinali, l'assemblaggio
è pretenzioso ma certamente non mal riuscito.
Roberto
Caselli da Hi Folks n° 47 maggio/giugno 1991
- Approaching Silence
(1999) Virgin 7243 48177 - cd
1. The Beekeeper's Apprentice 32.52 - 2. Epiphany 2.24 - 3. Approaching Silence 38.17
Musicians:
David Sylvian, Frank Perry, Robert Fripp
Produced by David Sylvian
Recorded in Metropolis Studio, Atma Sound, Minneapolis
Engineering by Noel Harris
Cover photo by Shinya Fujiwara
Dopo il
successo ottenuto dall'ottimo Dead Bees
On A Cake, Sylvian pubblica questo
album di musica ambient in cui vengono raccolti i
commenti sonori approntati per due installazioni
multimediali giapponesi Ember Galces:
The Permanence Of Memory (allestita nel
1990 con l'artista Russell Mills e a suo tempo pubblicata
su un ormai introvabile EP), e Redemption:
Approaching Silence allestita con
Robert Fripp nel 1994.
In definitiva due lunghe suite (ognuno si aggira sui 35
minuti) in cui suoni, respiri, atomosfere e architetture
sonore impalpabili definiscono la camponente più "sperimentale"
di Sylvian (sono molte le somiglianze, specie
nell'approcio con Plight And Premonition
e Flux + Mutability i
due album realizzati con Holger Czukay). Unisce il tutto
il breve interludio Epiphany.
Quindi non un episodio fondamentale della discografia di
Sylvian (che purtroppo in queste incisioni non ci fa mai
sentire la sua magnetica e profondissima voce) ma
comunque un capitolo importante per entrare appieno nel
mondo dell'ex Japan, da sempre incline ad esplorare il
silenzio e a confrontarsi con espressioni artistiche
diverse.
Approaching Silence può
forse apparire come una pubblicazione solo per fans e
completisti, ma queste "ambientazioni sonore"
sprigionano un fascino e un magnetismo non comuni.
Marco
Grompi
da Buscadero n° 208 dicembre 1999
- Dead Bees On A Cake
(1999) Virgin CDV 2876 - cd
1. I Surrender 9.24 - 2. Dobro 1.30 - 3. Midnight Sun 4.00 - 4. Thalhiem 6.07 - 5. God Man 4.02 - 6. Alphabet Angel 2.06 - 7. Krishna Blue 8.08 - 8. The Shining Of Things 3.09 - 9. Cafè Europa 6.58 - 10. Pollen Path 3.25 - 11. All Of My Mother's Names 6.11 - 12. Wanderlust 6.43 - 13. Praise 4.02 - 14. Darkest Dreaming 4.01
Musicians:
David Sylvian, Marc Ribot, Riuichi Sakamoto, Lawrence Feldman, Shree Maa, Steve Jansen, Kenny Wheeler, Bill Frisell, John Giblin, Tommy
Barbarella, Talvin Singh, Steve Tibbetts, Ingrid Chavez, Ged Lynch,
Scooter Warner, Chris Mimi Doky
Produced by David Sylvian
Engineering by Dave Kent
Cover photo by Shinya Fujiwara
Fin dalle
prime note di I Surrender
si capisce che David Sylvian ha intenzione di riprendere
il discorso interrotto dodici anni fa con quel Secrets
Of The Beehive che aveva lambito vette
raramente sfiorate con le collaborazioni che si sono
susseguite negli anni successivi.
Quattro anni di lavorazione che sono coincisi con una
rigenerazione personale interiore e che si riflettono in
ognuno di questi 14 brani prodotti dallo stesso autore
sebbene Riuichi Sakamoto abbia contribuito in modo
determinante con idee, arrangiamenti, stile e contenuti.
Se proprio la lunga, meditativa I
Surrender ha già in sè i germi del
capolavoro (con quel suo incedere ipnotico e quieto
tipico delle cose migliori di Sylvian solista), l'album
regge bene tutti quasi i 70 minuti che lo riempiono: i
testi sono tutti profondamente impegnativi (ritornano
continuamente concetti legati alla ricerca di una luce
interiore e di una sublimazione del proprio io attraverso
la meditazione e il libero flusso di coscienza), ma è la
varietà dei linguaggi musicali ad affascinare e a
guidare l'ascoltatore in un mondo in cui la componente
"visuale" di questa musica è essenziale. Dobro
è un brevissimo sogno ad occhi aperti (impreziosita
dall'apporto di Bill Frisell), Midnight
Sun prende le mosse dal campionamento
di un celebre riff di John Lee Hooker rimanendo avvolta
in una surreale aura da delta blues che risulta inusuale
perfino per Sylvian. Il tipico incedere stanco ed
evocativo dei tamburi di Steve Jansen accompagna il lento
dipanarsi di Thalhiem dove,
come in molti altri brani, la timbrica profonda e intensa
della voce di Sylvian ci racconta luci e ombre del suo
percorso interiore.
Determinante anche l'apporto di musicisti di prim'ordine
come Kenny Wheeler, Marc Ribot e Talvin Singh (suonatore
di tabla e produttore anglo-asiatico che impreziosisce
l'orentaleggiante Krishna Blue),
ma anche quando la voce resta sola, accompagnata solo da
una sezione d'archi come in The Shining
Of Things la magia è intatta e
cristallina, rasentando la perfezione di un battito
cardiaco o di un respiro. Il toccante canto di Praise
si basa sulla voce si Shree Maa, una religiosa orientale
che oggi conduce una vita di devozione nelle Napa Hills (e
che è stata negli ultimi anni una delle guide spirituali
di Sylvian), mentre non si possono non citare tra gli
episodi più scintillanti dell'album Cafè
Europa e la conclusiva Darkest
Dreaming.
In definitiva Dead Bees On A Cake
ha l'unico difetto di non apparire come un disco "cool"
al passo con i tempi; qualcuno potrà obiettare che
Sylvian si è fermato (oppure è ritornato) agli stilemi
di Secrets Of The Beehive.
Poco male: il ritorno di David Sylvian ha il passo del
capolavoro e chi si lascerà avvolgere dalla magia di
questi suoni non faticherà a indicarlo come uno dei
primi veri grandi album del '99.
Marco
Groppi
da Buscadero n° 201 aprile 1999
- Plight And Premonition
with Holger Czukay
(1988) Venture ve 11 - cd
1. Plight - 2. Premonition
Musicians:
David Sylvian, Holger Czukay
Produced by Holger Czukay
Recorded at Can Studio, Cologne
Cover photo by: Yuka Fujii
Spesso le
collaborazioni tra grandi artisti rischiano di naufragare
a causa dei conflitti di personalità che si vengono a
creare nelle varie fasi del lavoro in comune, quando gli
alchemici equilibri tra le diverse esigenze comunicative
corrono il pericolo di frantumarsi sotto le imposizioni,
forse inconscie, dettae dallurgenza ispirativa di
coloro che collaborano al progetto sonoro.
Nel caso di Plight And Premonition
sembra invece sia successo il contrario: frenati
probabilmente da unammirazione reciproca, del tutto
giustificata, ma forse, eccessiva. Non si trova infatti
in esso nè le meraviglie intimistico-melodiche di David
Sylvian, nè lirriverente ironia musicale del
veterano Holger Czukay, in quanto lopera si muove
nei meandri di unambient music decisamente
pregevole ma non molto originale e se questo,
contrariamente allipotesi precedentemente
formulata, può essere un risultato che corrisponde
perfettamente alle intenzioni degli autori; è comunque
impossibile, pur con sommo e sincero dolore, nascondere
un certo spiazzamento.
Molto probabilmente tale sentimento di insoddisfazione ha
la sua origine non tanto nelleffettivo valore del
lavoro, quanto piuttosto nelleccesso di aspettative
in esso riposte, dovuta ad una smisurata, e comunque
ancora intatta, ammirazione nelle virtù musicali degli
autori.
Resta comunque il fatto che la strutturazione delle due
suites che compongono lopera, è decisamente
similare e piuttosto elementare: il minimo comune
denominatore è dato da un bordone costituito da una
bassa nota di synth a cui si sovrappongono senza un
apparente ordine telelogico interventi di tastiere
alonate ed echeggianti, rade note di pianoforte alla
Harold Budd, inserti radiofonici e uninfinità di
microelementi sonori la cui ricchezza può essere
valutata solo con un attento ascolto in cuffia.
Anche se è difficile ammetterlo, sembra quindi che ci si
trovi difronte ad una occasione mancata (?) o comunque
riuscita solo a metà e solo allinterno degli
stretti confini di un genere musicale a cui Plight
And Premonition non sembra apportare
alcuna istanza di rinnovamento.
Alberto
Rossini da
Buscadero n° 81 maggio 1988
- Blemish
(2003) Samadhisound 0001 - cd
1. Bleinish - 2. The Good Son - 3. The Only Daughter - 4. The Heart Knows Better - 5. She Is Not - 6. Late Night Shopping - 7. How Little We Need To Be
Habby - 8. A Fire In The Forest
Musicians:
David Sylvian, Derek Bailey
Produced by David Sylvian
Recorded at Smandhi Sound Studio February and March 2003
Engineering by Toby Hrycek-Robinson
Cover photo by: Atsushi Fukui
David ha
poco meno di cinquantanni: ne aveva appena dodici quando
prese per la prima volta la chitarra in mano; ne aveva
poco meno di trenta quando chiuse la sua esperienza con i
Japan. La sua vita artistica è un'enciclopedia musicale:
chiuso il lungo capitolo Virgin. David vive oggi
l'urgenza di continuare a esprimersi senza
condizionamenti, e scrive le prime pagine di una nuova
avventura, la Samandhi Sound Label, in studio, nel
piacevolissimo racconto di Blemish.
Nessuna crisi d'identità, nessuna voglia improvvisa di
cambiare, tutt'altro: David si ferma a riflettere,
davanti a un computer, a un microfono, a una chitarra,
cercando di esprimere l'immediatezza di un pensiero,
l'intimità di un'idea, trascritta in un pentagramma. Da
tempo David ci stava pensando, da tempo aveva maturato
l'idea di potersi esprimere liberamente, ma non lo aveva
mai fatto. Perchè David Sylvian è un musicista, più
che un mercante delle proprie intuizioni.
L'eredità del passato è la dimensione del confronto:
prima Ryuichi Sakamoto, Robert Fripp, Holger Czukay, Bill
Frisell, Jon Hassell, ma anche Russell Mills, Bill
Nelson, Marc Ribot, Kenny Wheeler, Steve Tibbetts; oggi
la chitarra free di Derek Bailey - che firma tre momenti
intensi di sperimentazione - e gli arrangiamenti
elettronici di Christian Fennesz, nelle atmosfere
rarefatte della conclusiva A Fire In The
Forest.
La musica di Blemish
ha il solito interessante eclettismo di fondo: gli stili
diversi palesano l'estro e la creatività, la ricerca
della perfezione e dell'armonia che ha sempre
accompagnato il messaggio più inspirato del carismatico
musicista. La sua voce è autentica, il suo carattere, il
suo modo di fare è autentico: David resta solo con se
stesso. per scrivere le musiche delle genti di ogni dove.
David, il solito David.
Giancarlo
Currò
da Rockerilla n° 275 luglio agosto 2003
- Nine Horses/Snow Borne Sorrow
(2005) Samandhisound ss 006 - cd
1. Wonderfull World -
2. Darkest Birds -
3. The Banality -
4. Atom And Cell -
5. A History Of Holes -
6. Snow Borne Sorrow -
7. The Day The Earth Stole Heaven -
8. Serotonin -
9. The Librarian
Musicians:
David Sylvian, Steve Jansen, Ryuichi Sakamoto, Danny Thompson, Keith Lowe, Neil Southerland,
Riff Pike, Morten Gronvad, Carsten Skev, Hayden Chisholm, Thomas Hass,
Theo Travis, Marcina Arnold, Tommy Blaize, Derek Greem,
Beverly Brown, Andrea Grant, Tim Motzer, Tim Elsenburg, Joseph Suchy,
Daniel Schroeter, Burnt Friedman, Arve
Henriksen
Produced by David Sylvian
- The Only Daughter
(2004) Samadi Sound ss005 - cd
1. The Only Daughter -
2. Blemish
- 3. The Heart Knows Better
- 4. A Fire In The Forest -
5. The Good Son
- 6. Late Night Shopping -
7. How Little We Need To Be Happy -
8. The Only Daughter 2 -
9. Blemish 2
Musicians:
David Sylvian, Fabienne Dussenwart, Pascal Moreau, Wilbert Aerts,
Dominica Eyckmans, Jean-Paul Zanutel, Ryoji Ikeda, Hayden Chisholm,
Alphonse Elsenburg,
Nils Peter Molvaer
Produced by David Sylvian
Tradizione ha voluto che un remix
aggiungesse caratteristiche ballabili ad un pezzo non necessariamente
nato per la discoteca: dimentichiamocene. Più di recente ha voluto anche
che un remix estremizzasse il brano originale portandolo in luoghi più
vicini all'avanguardia che al pop. Ma quando si parte da un lavoro già
carico di estremizzazioni, oltre il pop, oltre il proprio pop, un disco
di per sé di svolta, si farebbe ardua la prospettiva di chi
eventualmente dovesse remixare i pezzi di tale lavoro secondo
tradizione.
The Only Daughter, The Blemish Remixes, spiazza invertendo
la rotta. Ai pezzi viene donata un'ariosità melodica di cui gli
originali erano privi, dove la melodia era solo ed esclusivamente
ottenuta da quella voce. Ed è così che How little we need to be
happy in mano a Tatsuhiko Asano (chi sia non no so, ma la
copertina diligentemente elenca il sito quasi per ogni remixatore),
partendo da pezzo in cui la melodia intrinseca veniva sfregiata dalle
improvvisazioni di Derek Bailey, diventa un pezzo più tradizionalmente
sylviano non dimenticando componenti acquisite lungo la carriera: ha
qualcosa di francese, di Gainsbourg, o dei Blonde Redhead, e si candida
in questa veste ad essere uno dei migliori pezzi di Sylvian da sempre.
Ryoji Ikeda, che conoscevamo sotto altre vesti, rende un pezzo rarefatto
come The Only Daughter un quadretto di classica
contemporanea, con flauto, piano e archi. Anche Blemish
a cura di Burnt Friedman e The Heart Knows Better
a cura di Sweet Billy Pilgrim diventano più acustiche, si arricchiscono
di un clarinetto, e dalla prima si ottiene un jazz che non sfigurebbe
nel catalogo ECM, mentre la seconda si tinge di un tono progressive e
psichedelico. Lo stesso Friedman interviene anche su Late
Night Shopping, facendo brillare il potenziale gospel
tirandone fuori una versione oscura e sarcastica (con l'idea di mettere
un beep di censura sulla parola shopping ). Readymade, che già aveva
collaborato con Sylvian nel primo album e di cui si attende il seguito
(sia dell'album che della collaborazione), ha il difficile compito di
mettere le mani su A Fire In The Forest, già apice dell'intevento
di Fennesz: riesce con stile ma non con originalità restituendo un
pezzo-carillon degno dei Plaid. The Good Son, altro pezzo in
origine accompagnato dalla sola improvvisazione di Bailey, si tinge di
glitch e downtempo ad opera di Yoshihiro Hanno, piacevole ma è forse il
risultato più tradizionale dell'intera raccolta.
Mancano all'appello altre due versioni di The Only Daughter e
Blemish: la prima a cura di Jan Bang and Erik Honoré che hanno il
solo pregio di aggiungere al pezzo originale la tromba di Nils Petter
Molvaer, già alle prese con Sylvian in passato. Akira Rabelais, pur
avendoci abituato a ben altro genere di trasfigurazioni, si limita a
fare il compitino senza esagerare e non lasciando pressoché traccia.
Ma forse l'album era questo e Blemish una raccolta di remix.
Fidelio
- Manafon
(2009) SamandhiSound ss 016 -cd
1. Small Metal Gods
- 2. The Rabbit Skinner -
3. Random Acts Of Senseless Violence -
4. The Greatest Living Englishman -
5. 125 Spheres -
6. Snow White In Appalachia -
7. Emily Dickinson -
8. The Department Of Dead Letters -
9. Manafon
Musicians:
David Sylvian, Buckhard Stangl, Werner Defeldecker, Michael Moser,
Christian Fennesz, Toshimaru Nakamura, Otomo Yoshihide, John Tilbury,
Evan Parker, Marcio Mattos, Joel Ryan, Keith Rowe, Franz Hautzinger,
Tetuzi Akiyama, Sachito M.
Produced by David Sylvian
Recorded between 2004 and 2007
Engineering by David Sylvian
Cover art by Ruud Van Empel
"It's
the farthest place I've ever been/it's a new frontier for me".
Nel proemio (Small Metal Gods) è l'epitome del punto di
arrivo. L'approdo di un sentiero ascensionale e desolato. Di un
racconto mistico e allucinato già concepito e in parte declamato ma
giunto qui forse ai suoi esiti terminali. Blemish declinava in
un vortice metafisico di scarnificate e tetre trame psicoambientali,
appena irradiate dalle striature droniche orchestrate da Christian
Fennesz e sfiorate dalle libere sfasature tonali della chitarra di
Derek Bailey.
Manafon conserva indubbiamente i tratti formali del lavoro
precedente, spingendone però all'estremo gli accenti più
"espressionisti". Ad emergere è una sensazione forte di
claustrofobia, di isolazionismo emotivo, in ogni caso di liminarità,
in tutti i sensi. Una foresta di suoni a mezz'aria stralunati,
ipnagogici, spettrali, al cui manifestarsi contribuiscono a turno Evan
Parker, John Tilbury, Keith Rowe, otomo Yoshihide, Sachiko M ed ancora
una volta Christian Fennesz.
La traccia di apertura si dischiude in un lento, armonioso soliloquio
che stringe voce e chitarre in un caldo sviluppo, che si frange già
nella successiva The Rabbit Skinner, costruita sui rintocchi
cacofonici tra piano, strumenti a corda ed un cantato quasi
salmodiato. Il suono si svuota progressivamente di consistenza
materica diventando esangue, filiforme, illusorio come nella sinistra Random
Acts Of Senseless Violence, pièce da camera in cui lo spazio
acustico è saturato di risonanze come in un gioco infinito di
specchi,, o come nella lunga suite The Greatest Living Englishman,
sabbia senza calce in un fraseggio frantumato e dissonante di Glitch,
corde e drammatiche corde vocali, che si chiude nello sfarfallio delle
onde sinusoidali.
Non c'è tristezza nè gioia in questi versi. Non c'è malinconia nè
piacere. le sequenze si dissolvono in pochi attimi, come nel wester
bianco e nero di Jarmush, e si naviga a vista nella sospensione dei
sensi, nel deliquo emotivo. Come in una deriva, nelle atmosfere
rarefatte e nebbiose di un fiume senza approdi (la strumentale The
Department Of Dead Letters e Emily Dickinson, con una fosca
appendice di fiati e rumori sottocutanee) in balia delle onde,
nell'eterno ritorno dell'uguale (la chiusura finale del cerchio, nella
title track Manafon). L'epifania e il crepuscolo. L'alfa ed
omega dell'ultimo, visionario Sylvian.
Leandro Pisano da
Blow Up n° 136 settembre 2009
- The First Day
with Robert Fripp
(1993) Virgin cdvx 2712 - cd
1. God's
Monkey (D. Sylvian/R. Fripp/T.
Gunn/D. Bottrill) - 2. Jean The
Birdman (D. Sylvian/R. Fripp/T.
Gunn) - 3. Firepower (D.
Sylvian/R. Fripp/T. Gunn) - 4.
Brightness Falls (D. Sylvian/R.
Fripp/T. Gunn) - 5. 20th Century
Dreaming (D. Sylvian/R. Fripp/T.
Gunn) - 6. Darshman (D.
Sylvian/R. Fripp/T. Gunn/D. Bottrill) - 7.
Bringing Down The Light (R.
Fripp)
Musicians:
David Sylvian, Robert
Fripp, Trey Gunn, David
Bottrill, Jerry Marotta, Marc Andersen, Ingrid Chavez
Produced by David Sylvian and David Bottrill
Recorded at Dreamland Studios, Woodstock, N.Y. and Kingway Studios,
New Orleans on December 1992 and March 1993
- When Loud Weather Buffeted
(2007) Samadhisound ss 0011 - cd
1. Naoshima
Musicians:
David Sylvian, Clive Bell, Christian Fennesz, Arve Henriksen, Akira Rabelais
Produced by David Sylvian
Recorded at Samandhisound Studios
Engineering by David Sylvian
Cover by Sachiyo Tsurumi
- Died In The Wool
(2011) Samadhisound ss 0021 - cd
1.
Small Metal Gods
- 2. Died In
The Wool - 3.
I Should Not Dare (for N.O.) - 4.
Random Acts Of Senseless Violence - 5.
A Certain Slant Of Light (for M.K.) - 6.
Anomaly At Taw Head - 7.
Snow White In Appalachita - 8.
Emily Dickinson
- 9. The
Greatest Living Englishman (coda) - 10.
Anomaly At Taw Head (a haunting) - 11.
Manafon - 12.
The Last Days Of December - 13.
When We Return You Won't Recognise Us
Musicians:
David Sylvian, Christian Fennesz, Arve Henriksen,
Jennifer Curtis, Erik Carlson, Margaret Dyer, Chris Gross, Dai Fujikura,
Eddie Prèvost, Steve Jansen,
Toshimaru Nakamura, Keith Rowe, John Butcher,
Jan Bang,
Erik Honorè,
Evan Parker, John
Tilbury, Werner Defeldecker, Michael Moser, Franz Hautzinger, Michi
Wiancho, Wendy Richman, Katinka Kleijn, Helge Sten, Sachiko M., Marcio
Mattos, Tetuzi Akiyama, Otomo Yoshihide, Claire Chase, Emma Smith,
Jennymay Logan, Vincent Sipprell, Laura Moody, Ros Stephen
Produced by David Sylvian
Recorded at Samandhisound Studi
Cover by George Bolster
Non è il seguito di Manafon, l'album
del 2009 che è stato l'apice "antipop" della già complessa discografia
di Sylvian, nè una sua versione riveduta e corretta così come avvenne
per The Good Son Vs. The Only Daughter, la raccolta di remix di
brani tratti da Blemish. Died In The Wool è una catarsi in
forma di doppio cd che utilizza Manafon come (s)punto di partenza
per disintegrare il senso di distacco ed isolamento che era il fil rouge
di quell'album così radicale. Affiancato da Jan Bang, Erik Honorè e dal
compositore Dai Fujikura, Sylvian raccoglie sei variazioni di brani di
Manafon (Small Metal Gods e Random Acts Of Senseless
Violence sono le "mutazioni" più affascinanti) e sei composizioni
nuove, tra le quali due poesie di Emily Dickinson tradotte in musica (A
Certain Slant Of Light, I Should Not Dare, con la chitarra di
Christian Fennez liquefatta su un sample della tastiera di Stale
Storlokken dei Supersilent).
Il secondo cd è occupato da When We Return You Won't Recognise Us,
un brano composto da Sylvian per un'installazione alla Biennale delle
Canarie del 2008/09 che fa la sua prima apparizione su formatp "fisico":
diciotto minuti di improvvisazione circolare con un cast stellare (John
Butcher, Arve Henriksen, Gunter Muller, Eddie Prevost) ed un sestetto
d'archi diretto dallo stesso Fujikura.
Sylvian scende a patti con le sue stimmate: dopo Manafon niente
sarà più lo stesso.
Raffaele Zappalà
da Rock&Rilla n° 371 luglio 2011
- Wondermude
(2013) Samandhisound ss023 - cd
1. Saffron Laudanum
8.35 - 2. Velvet Revolution
7.50 - 3. Trauma Ward
6.00 - 4. The Farther Away I Am
(minus 30 degrees) 11.10 - 5. Dark Pastoral
4.05 - 6. Telegraphed Mistakes
14.04 - 7. Deceleration
5.20
Musicians:
David Sylvian, Stephan Mathieu, Christian Fennez, John Tilbury
Produced by David Sylvian and Stephan Mathieu
Cover photo by Vincent Fournier
- Flux + Mutability
(1989) Virgin VE43 - vinile
with Holger Czukay
1. A Big, Bright, Colourful World
16.52 - 2. A New Beginning Is In The Offing
21.02
Musicians:
David Sylvian, Holger Czukay,
Michael Karoli, Markus Stockhausen, Jaki
Liebezeit, Michi
Produced by David Sylvian and Holger Czukay
Recorded live on Can Studio on December 1988
Engineering by Holger Czukay
Cover art by: Yuka Fujii
- There's A Light That Enters Houses With No
Other House In Sight
(2014) SamandhiSound ss 024 - cd
1. There's A Light That Enters Houses With No
Other House In Sight 64.20
Musicians:
David Sylvian, Christian Fennez, Franz Wright, John Tilbury
Produced by David Sylvian
Engineering by David Sylvian
Cover photo by: Nicholas Hughes
- Damage
(1994) EG dgm 0523 - cd
with Robert Fripp
1.
God's Monkey
- 2.
Brightness Falls - 3.
Every Colour You Are - 4.
Jean The Birdman - 5.
Firepower - 6.
Damage - 7.
Gone To Earth - 8.
20th Century Dreaming ( A Shaman's Song) -
9. Wave
-10.
Riverman - 11.
Blinding Light Of Heaven - 12.
The First Day
Musicians:
David Sylvian, Robert Fripp,
Trey Gunn, Pat Mastellotto,
Michael Brook
Produced by David Sylvian
Recorded live in London, December 1993
Engineering by Dave Kent
Produced by David Sylvian
Cover photo by: Masataka Nakano
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